Ultras Palermo: Disegno ispirato alla tifoseria rosanero e alla sua parte più sanguigna. Non vuole omaggiare nessun gruppo in particolare, ma l’intero panorama Ultras palermitano (che appare oggi frastagliato e diviso). La data, non casuale – il 1980 – vuol essere altresì un richiamo alle origini del tifo (per lo meno in un’accezione più organizzata e meno folkloristica) nel bel capoluogo siciliano: fu infatti in quell’anno che nacquero gruppi che sono stati tra i più importanti e determinanti per le sorti e l’evolversi del tifo per le aquile, i Warriors Ultras Palermo e le Brigate Rosanero. Per il font, ho utilizzato un carattere molto “quadrato” e “stabile”, per una scritta che par quasi scolpita e che, all’interno d’un corposo bordo nero, mostra un bel colore rosa. Gioco, quello di rosa e nero, ripetuto anche per la testa d’aquila stilizzata e ben delineata, posta in posizione centrale. Lo sfondo è costituito dal più classico tricolore italiano, rimando ad una tifoseria che non ha mai fatto mistero della propria indole nazionalista ed al contempo dell’attitudine d’un’intera città che – nonostante i suoi mille problemi e nonostante nel corso dei secoli sia spesso stata lasciata indietro dal malaffare e dall’opportunismo d’una politica romana distante e che ha trattato la Sicilia e i siciliani soltanto alla stregua d’un mero serbatoio di voti – si è sempre sentita profondamente italiana e profondamente patriottica, dando anche il suo tributo di sangue, lottando contro la Mafia, per le cause della giustizia e dell’onestà.
#Unonoveduesei Pagani: Personalmente considero quella paganese come una delle migliori tifoserie campane e comunque una delle più calde del Sud Italia, se rapportata al bacino d’utenza e al numero d’abitanti (intorno ai 40.000) del centro salernitano. Un nome, quello di Pagani, da sempre indissolubilmente legato alla Paganese e al Calcio che – da queste parti, come e più che altrove – è radicato fenomeno sociale e di costume (un curioso aneddoto racconta di come, ai primordi del Calcio paganese d’inizio Novecento, i calciatori locali, in assenza d’un campo sportivo, giocassero in una vasca per la raccolta delle acque piovane!). Una squadra, quella azzurrostellata, che ha sempre detto la sua nelle serie minori ed uno stadio, il Marcello Torre (intitolato alla memoria del presidente del club e sindaco della città ucciso dalla Camorra nel 1980), che col suo calore (a volte traboccante) è sempre stato un boccone indigesto per qualsiasi avversario. Gli anni più belli del Calcio paganese – in quanto a partecipazione collettiva e tensione emotiva – sono comunque da ricercarsi intorno alla metà degli Anni ‘70 e fin quasi alla metà degli ’80. Una Paganese che, dopo anni di dilettantismo e categorie regionali, finalmente, nella stagione 75-76, approdò in Serie C (ch’era una C unica a tre gironi, uguale a quella che a distanza di tanto tempo s’è riproposta oggi). E, al primo campionato di semi-professionismo, la squadra azzurra sfiorò una clamorosa scalata alla Serie B, terminando il proprio torneo al secondo posto dietro al più blasonato Bari (erano tempi molto difficili per le compagini desiderose di vincere un campionato, infatti saliva in cadetteria un solo club per girone e non esistevano play-off). Negli anni successivi, anche a causa d’un ridimensionamento del budget societario, la Paganese fu impossibilitata a ripetere l’exploit di quel primo anno in Serie C, ma comunque si difese bene e prese stabilmente parte ai campionati della neonata C1, in cui gli azzurostellati disputarono quattro stagioni, di cui tre consecutive, dove divennero “squadra di categoria”, difficile da affrontare per ogni avversario, veleggiando spesso nelle zone nobili della classifica. Storica di quegli anni rimase la partecipazione della squadra campana al Torneo Anglo-Italiano (Anglo-Italian Cup) che metteva di fronte (in quegli anni) club del semi-professionismo italiano contro altrettanti omologhi d’Oltremanica. Fu così che, nel marzo del ’78, la Paganese volò a Londra per due storiche partite contro squadre inglesi e nell’indimenticabile soggiorno britannico ricevette accoglienza addirittura presso il mitico Highbury, lo stadio dell’Arsenal fino al 2006, uno dei templi del Calcio inglese, la leggendaria “Home of Football” dei sogni d’infanzia d’ogni buon calciofilo che si rispetti. Di quegli anni a cavallo tra i ’70 e gli ’80 restano indimenticabili i tanti derby campani giocati contro altrettante rivali che da sempre affollano i gironi meridionali della Terza Serie nazionale. Su tutti, gli infuocatissimi derby, quasi sempre accompagnati da furibondi incidenti, contro le odiate Cavese e Nocerina, squadre di quel Sud simbolo del connubio città-club calcistici che possono contare sul sostegno incondizionato di tifoserie che hanno fatto la storia sportiva di questo Paese. Ebbene, anche al cospetto di siffatti “mostri sacri” della nostra tradizione pallonara minore (quella che più ci piace) la Paganese e i suoi Ultras hanno sempre combattuto ad armi pari e si son fatti valere, dentro e fuori dal campo, non sfigurando mai, pur potendo contare su numeri e fortune inferiori a quelli dei succitati club. Nella stagione 82-83 la Paganese retrocesse in C2 e dopo d’allora visse un periodo in cui la fortuna non arrise più come prima ai colori azzurri: il club campano si fece, oltre ad alcuni campionati della Serie C meno nobile, anche tanta Serie D (che si chiamasse Interregionale o CND) e categorie regionali, tanto che bisognerà attendere la stagione 2005-06 per rivedere la Paganese riconquistare la Serie C2 (con 15 punti di scarto sulla seconda in classifica!) al termine d’una esaltante stagione in cui conquistò anche lo Scudetto dei dilettanti (battendo in finale la Fortis Spoleto in gara unica sul neutro di Sorrento). Le gioie per gli sportivi azzurrostellati non erano finite e l’anno seguente, stagione 2006-07, la Paganese, dopo aver centrato la zona play-off, li vinse superando in doppia finale la forte Reggiana (erano gli anni degli assurdi gironi Nord-Sud, uno degli aborti del Calcio Moderno) dopo aver eliminato, sempre in doppio confronto, la SPAL in semifinale. Il resto è cronaca più recente, con una Paganese che abita stabilmente in Serie C/Lega Pro, categoria che per tradizione, calore e attaccamento del suo pubblico, gli spetta di diritto. Un popolo sportivo – Ultras e non – quello paganese che ha sempre fatto la differenza e ch’è stato parte attiva nell’evitare la paventata esclusione del club per una faccenda d’imposte non pagate (com’era effettivamente stato in un primo momento, sentenza poi ribaltata dal TAR) dal campionato cui aveva diritto di partecipare, nell’ultima travagliata estate che ha visto la stella bianca in campo azzurro (sportivamente) tremare. Per quanto concerne il discorso più squisitamente Ultras, poco da dire: Pagani è da sempre una delle roccaforti del tifo campano (Regione già di per sé autentica fucina Ultras per eccellenza) ed è una città dove il binomio Calcio-tifo è di casa. Oggi il supporto per gli azzurri è in “stereofonia”, con due settori dello stadio a sostenere gli undici in campo: la Curva (di più recente fabbricazione) e il Settore Distinti (da sempre culla del tifo paganese), oggi dotato di copertura. Proprio a questa seconda opzione del tifo azzurro è dedicato questo mio disegno, di chiara impostazione araldica, con due leoni rampanti che sorreggono e difendono lo scudo sociale del club (molto particolare, direi d’ispirazione Sudamericana), declinato, su un fondo bianco panna, secondo una tonalità di colore decisamente più scura rispetto alla loro tradizione (ed in questo ho ripreso a piene mani anche dagli Ultras paganesi stessi, che non hanno mai disdegnato un azzurro scuro o comunque un blu più deciso, a rappresentarli). Il gruppo a cui ho fatto riferimento, per questo mio nuovo disegno, è #Unonoveduesei (che non è altro che l’anno di fondazione del club), sigla dietro cui si riconosce e raggruppa la parte più accesa del tifo nei Distinti; settore che, proprio a Sport People rilasciò, l’anno scorso, una bellissima quanto interessante intervista. La doppia riga che corre in alto e in basso vuol dare completezza e rifinitura all’insieme. Nella mia fantasia, mi piace immaginarlo come drappo ma anche come grande bandierone da sventolare al di sopra di centinaia di braccia tese in un fragoroso battimani.
Ultras Cavese: Dell’importanza, dell’influenza e dell’assoluta peculiarità della tifoseria metelliana abbiamo già avuto modo di parlare nelle precedenti puntate di questa rubrica, in particolare in One Step Beyond #9. Questo disegno, con un’insolita (per la tradizione cavese) veste a tre colori, vuole – ancora una volta – esaltare l’assoluta eccellenza del logo sociale. Credo che sia, senza tema di smentita, uno dei più belli di sempre dell’intero panorama calcistico nazionale (e non). Concepito negli Anni ’80 (chi lo ha disegnato meriterebbe un Nobel!), quando lo stile minimal viveva la sua fase top e tante società calcistiche lo adottavano per creare i propri loghi, l’aquilotto stilizzato col pallone (retrò) nel mezzo è un qualcosa d’inscindibile dalla Cavese e per me è pressoché impossibile non lasciarmi, ancora una volta, irretire dal suo fascino e dalla sua bellezza (talmente disarmante ed esplicita che, a mio parere, non ha bisogno d’uno scudo intorno). Sono partito da lì, ponendolo in posizione centrale, ed il resto è un amalgamarsi di colori, linee e scritte, in un font “materiale” ed elegante insieme. È un disegno che vuol evocare gioia e freschezza, nella sua semplicità, che da un lato rimarca l’indivisibile e assoluto connubio tra il club, la città e il suo caloroso popolo sportivo e dall’altro ha un che di nostalgico (ma non triste, semmai d’auspicio) e si rifà ai fasti degli Anni ’80, allorquando gli aquilotti cavesi – che come e più d’adesso erano capaci di muovere in casa e in trasferta numeri ed esodi veramente impressionanti – al secondo anno di Serie B, stagione 82-83, andarono incredibilmente ad espugnare nientedimeno che lo stadio San Siro, uno dei templi del Calcio italiano più alto e nobile, quando s’imposero per 2-1 sul Milan ch’avrebbe stravinto quel campionato, in una delle partite più indimenticabili della storia sportiva metelliana, che fece epoca e clamore, e che sarebbe bello – per l’intero panorama sportivo nazionale – poter rivivere.
Curva Nord Novara: Parlare di Novara calcistica, equivale a fare un tuffo nella storia del Calcio italiano. Agli inizi del Novecento, quando si disputavano le prime partite e i primi “campionati” (molto diversi da quelli di oggi, in cui partecipavano poche squadre), la Regione Piemonte faceva la parte del leone (…vabbè che pure oggi, con lo strapotere juventino non è che se la passi tanto male) e oltre all’eterna Juventus e al Torino, altre squadre erano tra le più forti e titolate d’Italia. È il caso della Pro Vercelli (addirittura vincitrice di 7 Scudetti), del Casale (la squadra di Casale Monferrato, pure vincitrice d’un Tricolore) e dell’Alessandria. Proprio insieme a queste tre compagini, il Novara – club fondato nel 1908 da un gruppo di studenti liceali – andava a costituire il cosiddetto quadrilatero piemontese. Altri tempi, altro Calcio, altre storie d’altri Uomini, che affondano le radici nella notte dei tempi. Tutto questo, però, per dire di quanto sia radicato il fenomeno football nel capoluogo di Provincia piemontese. Una città anche abbastanza grande (oltre 100.000 abitanti), seconda per popolazione solo al capoluogo di Regione, laboriosa, pulita, seria, che ha sempre dato grande importanza al gioco del Calcio ed a tutto ciò che esso si trascina dietro, al suo essere fenomeno sociale e di costume d’un’intera nazione. Una Novara calcistica che non s’è mai fatta schiacciare dallo strapotere del capoluogo Torino che può vantare due dei club più titolati della Penisola, né dalla vicina Milano e dai suoi due altrettanto blasonati e pluridecorati club. Indubbiamente Novara ha sofferto la vicinanza di queste grandi piazze calcistiche e se gli spalti del Piola raramente sono gremiti lo si può imputare anche a questo (non trascurabile) fattore. Ma la città, calcisticamente parlando e come dicevamo in apertura, ha una sua precisa identità e tradizione, che la rendono fenomeno stabile e duraturo – che va al di là dei risultati, delle categorie e delle contingenze del momento – e non effimero o legato alle alterne fortune e rovesci che il Calcio si porta intrinsecamente e fatalmente dietro. Nella stagione 1935-36, il Novara ottenne la sua prima storica promozione in Serie A, categoria che la squadra azzurra frequentò con alterne fortune (conquistandola e subito dopo perdendola più volte) fino al Secondo Dopoguerra. Centrale, nella storia del club piemontese, fu la stagione di Serie B 46-47, allorquando il Novara acquistò (pagandolo a rate!) forse colui ch’è stato il più grande calciatore italiano di tutti i tempi: Silvio Piola (capace di realizzare qualcosa come 290 reti, imbattuto record italiano). Piola arrivò a Novara quand’era ormai già a buon punto della propria incredibile carriera di centravanti che, con le maglie di Pro Vercelli, Lazio e Juventus (nonché della Nazionale Campione del Mondo nel 1938) aveva polverizzato ogni record precedente, rivelandosi un atleta più unico che raro; e il suo legame con la terra di Piemonte è evidente anche nei due impianti sportivi che gli sono stati dedicati dopo la sua morte nel ‘96, gli stadi Piola di Novara (per l’appunto, che nel 1976 andò a sostituire il vecchio e mai dimenticato impianto di Via Alcarotti, teatro di mille battaglie) e Vercelli, da sempre divise e rivali sul campo e sugli spalti, ma accomunate (oltre che dalla nobile e antica tradizione calcistica) anche da questo formidabile campione che ha indossato con grandissimo onore entrambe le gloriose casacche. E fu appunto anche grazie ai goal di Piola che il Novara, nel 47-48, poté riacciuffare la Massima Serie nazionale, riuscendo anche a mantenerla per ben otto stagioni consecutive, fino al ’56. Di quella prima metà di secolo, tanto esaltante quanto lontana nel tempo, rimane anche una storica finale di Coppa Italia, edizione 1938-39, disputata dagli azzurri in gara unica presso lo Stadio Nazionale di Roma (demolito nel ’57 e sulle cui ceneri sarebbe sorto il più moderno Flaminio) e persa contro l’Inter (Ambrosiana, come si chiamava la Beneamata in quegli anni). Quindi, per i restanti Anni ’50, per tutti i ’60 e per una metà dei ’70, la squadra azzurra si fece tanta Serie B, intervallata da alcune retrocessioni in C con pronte risalite. Finché, nella stagione 76-77, il Novara salutò nuovamente la Serie B scendendo in terza Serie nazionale. Dopo d’allora, pare incredibile, per il club piemontese iniziò un periodo di declino inesorabile che lo portò a disputare tantissimi campionati, quasi tutti di C2, provando anche l’onta della retrocessione nei Dilettanti (1989-90) da cui si salvò a mezzo d’un ripescaggio. Bisognerà attendere fino alla stagione 2002-03 per vedere gli azzurri riapprodare stabilmente in C1 (categoria che pure avevano conquistato nel 95-96, ma subito perduto) e, dopo altri sette campionati consecutivi della stessa, approdare, nel 2009-10, finalmente in Serie B che mancava da ben 33 anni dall’ultima partecipazione. Fu un risveglio sportivo per tutta la piazza novarese che, sulle ali dell’entusiasmo e come spesso accade in questi casi, non si fermò, balzando agli onori della cronaca sportiva nazionale, con una storica doppia promozione che riportò il Novara in Serie A (dopo 55 lunghissimi anni) attraverso i play-off, battendo in doppia finale il Padova. Categoria che – nonostante l’ampliamento dello stadio e la grande passione ed entusiasmo dei tifosi novaresi – gli azzurri non sono riusciti a mantenere, tornando subito tra i cadetti in cui militano a tutt’oggi, dopo essersi nel frattempo fatti anche un altro anno di Serie C/Lega Pro da cui si sono prontamente riscattati due anni fa. Dal punto di vista Ultras, quella novarese è una piazza non particolarmente numerosa e che, come abbiamo visto più sopra, ha sempre sofferto la vicinanza con le grandi metropoli del Nord Italia che raccolgono consensi a tutte le latitudini e a maggior ragione presso i centri più limitrofi. Si aggiunga a ciò un club che, dopo i fasti degli Anni ’50 non è più riuscito ad eguagliare le gesta del passato e anzi s’è spesso trovato invischiato e infangato in categorie onestamente troppo strette e infime per il proprio blasone e la propria tradizione… e il cerchio si chiude. Comunque c’è da dire che i sostenitori azzurri sono stati sempre presenti, anche nei lunghissimi anni della C2 e non hanno mai lasciato sola la squadra. Ed anche oggi, in un Piola che sembra enorme e purtroppo non sufficientemente gremito di pubblico, in Curva Nord (da sempre tempio del tifo gaudenziano) c’è sempre uno zoccolo duro di almeno un centinaio di ragazzi (che raddoppia tranquillamente nelle gare più sentite) che non mollano mai, fedeli ad uno stile di tifo asciutto ed essenziale, con una sua impronta peculiare, con materiale molto ben curato ed accattivante. La tradizione Ultras di questa piazza dell’estremo Nord italiano è evidente anche dal proliferare di gruppi (anche troppi) che nel corso dei decenni si sono succeduti sui gradoni dell’impianto sportivo progettato dall’architetto Antonio Nervi (“figlio d’arte” del più illustre Pier Luigi). E tentativi di unificare il tifo sotto un’unica sigla si sono ripetuti nel corso degli anni (Curva Nord Novara 1908) per provare a far parlare la Curva con un’unica voce. Ed è cronaca recentissima la creazione del gruppo Nuares (novaresi in dialetto) che riunisce sotto le proprie insegne quasi tutte le precedenti anime della Nord. Nel disegno che ha dato il là a questo lungo e piacevole racconto sul Novara Calcio, ho tentato anch’io d’inseguire la strada percorsa ultimamente dai Nuares. Non ho voluto, dunque, ispirarmi a nessun gruppo in particolare, ma ho voluto compattare, idealmente, l’intera Curva Nord racchiudendola in un unico disegno. Le scritte – in un bel font ricercato e battagliero – sono bianche con bordo nero sul fondo azzurro quasi cromato, mentre centrale ho posto la figura d’un Ultras d’ultimissima generazione (con tanto di cappuccio e sciarpa Burberry a travisare il volto e occhiali da aviatore anti-lacrimogeni), volendo anche un po’ inflazionato e stucchevole, ma che mi pareva perfetto nel poter incarnare una tifoseria di smaccata attitudine “modernista” che ha nella cura del materiale e nella “stiloseria” i suoi punti di forza. Non poteva mancare, inoltre, lo stemma comune a città e squadra, lo scudo crociato bianco su fondo rosso – che s’amalgama perfettamente col biancoazzurro del resto del disegno, traendone e dando luce – che ha un che di sabaudo e rimanda ai tempi del Calcio di Piola e dei fortunati ch’ebbero il piacere d’ammirare e vivere quei tempi ancora un po’ pionieristici ma, a guardarli oggi, ricchi di fascino.
Bothers Nocera: Della Nocerina, di ciò che rappresenta per i propri tifosi e del suo rapporto, che travalica l’ambito sportivo, con la città, abbiamo già ampiamente approfondito in una vecchia puntata di questa stessa rubrica (One Step Beyond #9). Quest’anno i molossi rossoneri bazzicano i campi della Serie D, categoria cui hanno fatto ritorno (bruciando ogni record, totalizzando 80 punti e siglando 75 reti!) al termine dello scorso torneo di Eccellenza campana. A mio avviso l’esclusione in itinere (cioè a campionato in corso) che la società rossonera patì nella stagione 2013-14 per i noti fatti di Salerno, rappresenta una delle più grandi, gravi e vergognose ingiustizie che siano mai state organizzate e perpetrate ai danni di un club calcistico. Una squadra che può aver sbagliato in una singola partita, è stata estromessa dal campionato a cui stava partecipando con diritto, titolo e onore e che poi è dovuta ripartire da ben due categorie inferiori, rischiando nel frattempo il fallimento. In Italia, altre squadre e società sportive, che hanno illecitamente vinto Scudetti, comprato arbitri e partite per un numero imprecisato di anni, mettendo su un sistema di corruzione e potere che le hanno fatte diventare quello che sono, ebbene, hanno avuto delle pene assai inferiori a quella inflitta alla Nocerina che – a ben vedere – ha sbagliato una sola volta! È come se a una persona che ruba una scatoletta di tonno al supermarket dessero l’ergastolo, mentre a un’altra che ha ucciso 10 persone dessero sei mesi con la condizionale: evidentemente questa è la giustizia nel nostro Paese, che si vanta d’essere patria di diritto e civiltà, ma che usa sempre il doppio peso e la doppia misura quando si tratta di giudicare i potenti del Palazzo e coloro che non hanno santi in paradiso. Inoltre il popolo sportivo nocerino ha pagato più d’ogni altra cosa il non essersi allineato al regime sportivo imperante che vuole il pubblico sempre più lontano dagli stadi e sempre più sottomesso ai diktat della Lega a sua volta schiava delle Televisioni e d’un “regime del politically correct” per cui è vietato pensare ed esprimere giudizi non in “sintonia” con la volontà del Palazzo e dei suoi lacchè. Invece, in quella famosa partita di Salerno – quando ad un’intera tifoseria, che per la maggioranza s’era anche munita della famigerata e odiata Tessera proprio per presenziare a quel sentitissimo derby, fu impedito di recarsi in trasferta, contravvenendo ad ogni diritto costituzionale – gli Ultras della Nocerina, tra i migliori e con più grande Mentalità in Italia, dimostrarono cosa voglia dire poter influire sul corso degli eventi e anche sullo svolgimento d’una partita di Calcio (che è e deve restare del popolo), in barba a benpensanti, sbirraglia, luoghi comuni e squallidi giornalisti-prostitute di regime che si parlano addosso nei ridicoli e insulsi salotti televisivi per cerebrolesi. Nocera non s’è piegata e, incassato il colpo, è ripartita come ha sempre fatto, dando prova di sé agli occhi dell’Italia intera, con un calore, un attaccamento e una fedeltà assoluta ai propri colori e alla propria maglia che hanno davvero dell’incredibile. Nella gara che ha sancito il ritorno dei molossi in Serie D (categoria comunque inappropriata e indegna del blasone e della storia sportiva nocerina), giocata lo scorso 17 aprile allo stadio 28 Settembre 1943 di Scafati contro il San Vito Positano, s’è assistito ad un’autentica migrazione di tifosi rossoneri, tanto che sembrava una gara valevole per la promozione in Serie A e non in D… basta guardare foto e filmati di quel giorno per rendersi realmente conto di cosa stiamo parlando: numeri da tifoserie di grandi metropoli e non da città di 70.000 abitanti. Credo che ogni sportivo che si rispetti, ogni Ultras degno di questo nome, ogni persona che abbia un briciolo di onestà intellettuale e imparzialità debba ammettere senza remore che questa straordinaria tifoseria è davvero unica, tra le migliori in circolazione e che per quanto ha sempre dimostrato e continua a dimostrare, meriterebbe di giocare perlomeno in Serie B come base. Nocera Ultras è un vanto per l’Italia e per l’intero Movimento. Venendo al disegno, realizzato qualche anno fa, ho voluto, ancora una volta, omaggiare uno dei gruppi che di questa straordinaria tifoseria è un po’ l’emblema: i Bothers. Ho quindi “costruito” il classico disegno rettangolare intorno alla testa di mastino (universale simbolo di gruppo e squadra) con delle scritte bianche – in un font cubitale e d’impatto – su campo rosso. Le due sottili righe nere, “superiore” ed “inferiore” (non a caso), richiamano il nero dei colori sociali e delimitano e chiudono idealmente l’intero disegno.
Bender Squad NUFC: Il Newcastle United è una delle squadre storiche del Calcio inglese. Il club è espressione di Newcastle upon Tyne (cioè sul Tyne, il fiume che la bagna), città con meno di 300.000 abitanti del nord est dell’Inghilterra, situata a circa 15 chilometri dal Mar del Nord. La vicinanza col mare e la costruzione del porto e dei cantieri navali sul fiume ne hanno fatto uno dei maggiori centri al mondo per la costruzione e riparazione di navi. Nei secoli importante centro laniero e carbonifero, Newcastle è oggi uno dei più importanti poli commerciali e culturali del Regno Unito ed è famosa per la sua vita notturna. A conferma della sua importanza a livello culturale, la città è inoltre celebre per aver dato i natali ad importanti artisti conosciuti, apprezzati ed amati in tutto il mondo: l’irresistibile Rowan Atkinson, che dà il volto all’insuperabile pasticcione Mr. Bean (cui va il merito d’aver rivoluzionato la comicità televisiva degli ultimi 30 anni e rilanciato in un certo qual modo il genere “muto”); la bellissima, affascinante e compianta attrice, soprattutto di musical, Stephanie Lawrence; il cantante Sting, famosissimo per esser stato leader del gruppo rock dei Police e in seguito affermato solista a livello mondiale; Mark e David Knopfler, cantanti e chitarristi fondatori degli inarrivabili Dire Straits, uno delle band più amate della storia della Musica; Andy Taylor, ex membro dei mitici (e un po’ pacchiani) Duran Duran, band simbolo degli Anni ’80 e che segnò un’epoca; Neil Tennant, cantante dei sinth-pop Pet Shop Boys (i “ragazzi del negozio d’animali”… chi li ricorda?); il regista Paul W. S. Anderson, uno dei più affermati e talentuosi cineasti contemporanei, autore dell’indimenticabile fanta-horror Resident Evil; ultimo, ma non ultimo (e, per noi inguaribili calciofili, più importante), il grandissimo Alan Shearer (in attività dall’’87 al 2006, oggi allenatore), stratosferico attaccante, considerato uno dei più grandi della storia del football d’Oltremanica, che, oltre alla maglia della squadra della sua città – il Newcastle, appunto – in carriera ha vestito anche le casacche di Southampton e Blackburn, oltre naturalmente a quella della nazionale inglese, ch’è stato una vera e propria macchina da gol e rimane il più prolifico attaccante della Premier League in cui ha totalizzato la bellezza di 260 reti (!). Tornando al Newcastle United, questo antico club inglese – fondato nel lontanissimo 1892 dalla fusione di più club cittadini (da cui la dicitura United) risalenti addirittura al 1881 – può vantare la vittoria di quattro campionati inglesi (seppur vinti in epoca assai lontana, tra il 1905 e il ’27) e sei FA Cup (la Coppa d’Inghilterra, il trofeo nazionale più importante dopo la Premier League) vinte lo stesso in epoca remota, tra il 1910 e il ’55. In ambito internazionale può inoltre vantare tre trofei: la coppa delle Fiere, antenata della Coppa UEFA/Europa League (vinta nell’edizione 68-69 battendo in doppia finale gli ungheresi dell’Újpest FC, squadra di Budapest), una Coppa Anglo-Italiana vinta nel 1973 (battendo in finale unica la “nostra” Fiorentina proprio al Franchi) e una più recente Coppa Intertoto vinta nel 2006 (che in pratica fu assegnata alla squadra che, tra quelle che vi presero parte, riuscì a fare il cammino più lungo in Coppa UEFA: i bianconeri inglesi arrivarono fino agli ottavi). Il Newcastle è un club che, a dispetto d’una più che consolidata tradizione, ha conosciuto molti alti e bassi ed è finito più volte – l’ultima nella passata stagione – in First Division (oggi Championship), in cui attualmente milita, l’equivalente della nostra Serie B. Al contrario, altre volte il Newcastle ha disputato ottimi tornei di Premier – piazzandosi anche ai primi posti della classifica – e sfiorando la vittoria del campionato in almeno due occasioni: nelle stagioni 95-96 e 96-97, quando, entrambe le volte si vide soffiare il titolo dal “solito” Manchester United, rispettivamente per 4 e 7 punti. Inoltre il Newcastle ha preso anche parte, due volte, alla Champions League: nel 97-98 e nel 2002-03 (in questa seconda occasione riuscì anche a passare il primo girone eliminatorio; in quell’edizione ce ne fu anche un secondo). Per quanto riguarda la tifoseria delle Magpies (le gazze; quest’animale è simbolo della città) ricordo che ai tempi dei primi Supertifo, era spesso presente con foto molto affascinanti, alcune risalenti al periodo pre-Heysel e dunque prima della rivoluzione apportata dalla Tatcher nel Calcio inglese. Quindi parlo di vecchie terraces con ancora le reti di recinzione su cui i supporters bianconeri appendevano il classico mare di drappi a croce, indossando tutti la classica maglia a righe bianconere (quasi identica a quella della Juventus degli Anni ’80). E anche nei ‘90, quando il Calcio inglese era già cambiato e gli stadi avevano assunto l’aspetto di teatri e perso buona parte del loro vecchio fascino romantico, i tifosi del Newcastle, nella loro casa, il St James’ Park, così come in trasferta, continuavano a dire la loro, indossando ancora le mitiche maglie a strisce bianconere e facendo gruppo nelle end dietro le aree di rigore. Ricordo che intorno alla metà degli Anni ’90, in Italia, sulle emittenti Fininvest, andava in onda settimanalmente e in seconda serata un programma sul football d’Oltremanica, si chiamava “Goals – il Grande Calcio inglese” ch’era una specie di 90° Minuto britannico (non me ne perdevo mai una puntata!) e il Newcastle era una delle mie squadre preferite. Venendo al disegno, sono partito dal bellissimo e assai particolare logo sociale, coi due sea horses (cavallucci marini, diremmo noi, anche se questi sono totalmente mitologici essendo per metà cavalli e per il resto pesci) che sorreggono lo scudo sociale sormontato da un castello stilizzato su cui svetta un leone che tiene tra le zampe una bandiera con la Croce di San Giorgio (simbolo dell’Inghilterra); in basso vi è un nastro azzurro riportante la dicitura completa del club. Questo scudo sociale è ripreso da quello comunale della città, a cui s’ispira in buona parte, seppur con alcune sostanziali differenze. Scostandomi dal classico drappo a croce anglosassone, ho pensato di metterlo al centro d’un’immaginaria bandiera che avesse i colori bianco e azzurro (lo stesso del nastro di cui sopra e anche uno dei colori usati dal club per le maglie da trasferta). In basso, grande, ho posto la scritta della crew, la Bender Squad (Squadra Bender), una delle più vecchie che seguiva il club già negli anni d’oro dell’hooliganismo, mentre per completare il tutto, in alto, nello stesso font casual usato per il nome della crew, ho posto l’acronimo sociale del club ed il relativo anno di nascita. Consuetudine, quella degli acronimi delle squadre di Calcio, molto cara ai sudditi di Sua Maestà, cui bastano poche lettere per identificare il proprio club… NUFC (Newcastle United Football Club), MUFC (Manchester United Football Club), MCFC (Manchester City Football Club) ecc… Tendenza che, a partire dalla seconda metà degli Anni ’90 – e, non a caso, con l’avvento del cosiddetto “tifo all’inglese” – ha in parte attecchito anche e soprattutto tra le Curve del nostro Paese, facendo seguire, all’acronimo, la data di nascita del club : si pensi ad ASR 1927 (per la Roma), FCIM 1908 (per l’Inter), SSL 1900 (per la Lazio), ACF 1926 (per la Fiorentina) ecc.
Luca “Baffo” Gigli.
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LE PUNTATE PRECEDENTI
One Step Beyond #1: Terni, Caserta, Samb, Lamezia, Milan, Parma, Lazio, Udine;
One Step Beyond #2: Palermo, Udine, Catania, Fiorentina, Pescara;
One Step Beyond #3: Verona, Roma, Milan, Inter;
One Step Beyond #4: Brescia, Napoli, Lazio, Palermo;
One Step Beyond #5: Livorno, Lazio, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #6: Lazio, Savona, Cavese, Manfredonia;
One Step Beyond #7: Crotone, Pescara, Catania, Napoli.
One Step Beyond #8: Roma, Lazio, Palermo, Milan;
One Step Beyond #9: Spezia, Arezzo, Virtus Roma, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #10: Lazio, Genoa, Napoli, Roma, Palermo.
One Step Beyond #11: Viterbo, Torino, Savona, Napoli;
One Step Beyond #12: Torino, Castel di Sangro, Livorno, Lazio;
One Step Beyond #13: Hertha BSC, Ancona, Napoli, Roma, Samp;
One Step Beyond #14: Inter, Alessandria, Samb, Roma.
One Step Beyond #15: Lecce, Bari, Cavese, Genoa;
One Step Beyond #16: Campobasso, Napoli, Lazio, Carpi;
One Step Beyond #17: Juve Stabia, Palermo, Perugia, Livorno, Cagliari;
One Step Beyond #18: Taranto, Avellino, Lucca, Cavese;
One Step Beyond #19: Cosenza, Catanzaro, Atalanta, Samp;
One Step Beyond #20: Salerno, Ideale Bari, Campobasso, Napoli;
One Step Beyond #21: Civitanova, Frosinone, Padova, Roma, Lazio;
One Step Beyond #22: Isernia, Padova, Genoa, Como;
One Step Beyond #23: Lazio, VeneziaMestre, Napoli, Gallipoli, Manfredonia;
One Step Beyond #24: Napoli, Vicenza, Milan, Inter, Fiorentina;
One Step Beyond #25: Isernia, Venezia Mestre, Inter, Manchester City;