Fedayn Roma: Uno dei gruppi più longevi, importanti, innovativi, emulati, amati, rispettati e temuti del panorama Ultras capitolino e italiano. Nati nel vecchio e romantico stadio Olimpico, la prima apparizione del loro striscione si fa risalire ad un Roma-Varese, 0-0, del 12 marzo 1972.
Un gruppo, in seguito, divenuto talmente famoso, i Fedayn, da creare una vera e propria letteratura intorno a loro per cui ogni cosa che li riguarda è avvolta da un alone di mistero e leggenda. Già a partire dal nome. Fedayn. Una nomenclatura molto evocativa e affascinante – che oggi ci appare normale e che in seguito è stata ripresa da miriadi di gruppi Ultras – ma che all’epoca fu utilizzata per la prima volta proprio da questi ragazzi romani provenienti, nel nucleo originario, tutti dal quartiere Quadraro.
Secondo alcuni il nome fu scelto perché ogni domenica, i futuri adepti di questo gruppo, già alle dieci del mattino erano fuori ai cancelli della Curva Sud, con ore e ore di anticipo rispetto all’inizio della partita, smaniosi di raggiungere i gradoni. E aggiungeteci che era un periodo di vacche assai magre per l’AS Roma (caratteristica, questa, che non ha mai abbandonato del tutto il sodalizio giallorosso, al netto dei due scudetti 82/83 e 2000/01) tanto che a quei tempi la stampa più malevola, a proposito dell’associazione sportiva nata nel 1927, s’inventò l’ironico epiteto di “Rometta”. E quest’attaccamento così viscerale di questi ragazzi a un club che, a ben vedere, non gli regalava grandissime soddisfazioni, era visto con stupore e meraviglia dagli spettatori cosiddetti “normali” che, dandogli dei pazzi suicidi gli dicevano: siete peggio dei “Fedayn”! (con riferimento al famoso gruppo armato palestinese).
Secondo altri, invece, il nome fu scelto dallo stesso fondatore, il leggendario e compianto Roberto Rulli (una delle figure più importanti di sempre nella storia del tifo romano e romanista) che rimase affascinato proprio da un manifesto dedicato al famoso gruppo di liberazione palestinese da cui mutuò – oltre al nome – anche il simbolo: un teschio avvolto da una kefiah (il noto fazzoletto copricapo tipico della cultura araba e mediorientale).
Già dai primi tempi – anni fantastici in quanto a pionierismo Ultras e scoperta ed evoluzione di questa meravigliosa sottocultura giovanile – i Fedayn si misero in mostra per la propria intransigenza e bellicosità, facendosi un nome negli stadi di tutto lo Stivale in cui il loro striscione non mancò mai e dove i tifosi romanisti erano “attesi” e malvisti da mezza Italia, desiderosa di misurarsi con gli Ultras della Capitale che trovavano sempre ambienti molto ostili e per cui ogni trasferta era un’odissea.
Un atteggiamento fiero e aggressivo forse anche connaturato al proprio dna. Infatti la zona del Quadraro è sempre stata molto particolare e difficilmente controllabile dal Potere; lo sapevano bene i nazisti che nel 1944 diedero vita all’infame e famigerato Rastrellamento del Quadraro (allorquando vennero deportati nei campi di prigionia e concentramento circa mille uomini), quartiere definito dalle truppe hitleriane come un vero e proprio “nido di vipere” tanto erano forti l’astio e il disprezzo per i soldati tedeschi e per i fascisti in genere, in una zona di Roma di forte tradizione popolare e anti-regime.
E gli anni e le stagioni calcistiche succedutesi dal ’72 ad oggi – in un mondo del Calcio radicalmente cambiato rispetto ad allora, come pure in un mondo Ultras altrettanto diverso – non hanno affievolito lo spirito guerriero di questo gruppo che, ingrossando le proprie fila anche con esponenti provenienti da altre zone della città, pur essendo parte integrante e attiva della Sud romanista, è sempre parso – soprattutto a livello “ideologico” – avulso dal contesto del tifo (ed anche a livello materiale e logistico: i Fedayn avevano il proprio “muretto” al vecchio Olimpico e in seguito la propria “vetrata” al nuovo Olimpico post-Italia 90). Una “diversità” dovuta proprio a un fattore “genetico” che da sempre ha portato questo gruppo a essere differente dagli altri (“Nulla per apparire, tutto per essere” come recitava uno dei loro più famosi slogan), per storia, tradizione e ideali, tanto da rimanere sempre indipendente e non confluire nel nascente CUCS del 1977 che raggruppò la maggior parte delle sigle dell’allora giovane Curva Sud, né, tanti anni dopo, negli AS Roma Ultras che nella stagione 1999/2000 tentarono – a grosse linee – la medesima strada.
E oggi che sono passati ben 45 anni da quel Roma-Varese che vide la loro prima comparsa, i Fedayn Roma sono diventati uno dei gruppi più coerenti dell’intero panorama nazionale (sicuramente tra i primissimi). Visceralmente amati da molti, stimati da tutti, anche dai nemici, per quello che hanno saputo dare al mondo Ultras e per quell’idea di “purezza” e “distinzione” che hanno caparbiamente mantenuta intatta. Un gruppo ch’era “popolano” e ingenuo nella sua spensieratezza e autenticità iniziale, che col tempo è divenuto d’elite – ma non per scelta: proprio per un innato modo di essere – e depositario di quella “mentalità Ultras” che riempie la bocca di molti ma che in pochi possono davvero vantare di possedere al 100%.
Personalmente considero i Fedayn Roma come uno dei migliori gruppi Ultras d’Italia e del mondo, per il loro modo di essere e d’agire, per la loro intransigenza e la loro “chiusura” verso una “modernità” che ha snaturato il movimento Ultras. E in tante “pose” attuali di tanti gruppi Ultras anche dell’ultim’ora, ci ritrovo tanto della “lezione” dei Fedayn Roma. Se tanti gruppi oggi sfuggono, con atteggiamento fintamente snob, alle interviste sulle riviste di tifo specializzate (ci siamo dentro anche noi di Sport People) è perché in Italia ci sono stati i Fedayn Roma. Se tanti gruppi negano il proprio materiale e lo producono soltanto per i propri membri: è perché in Italia ci sono stati i Fedayn Roma. Se tanti gruppi oggi si danno un tono, vantando zero rapporti con le proprie società calcistiche e i calciatori: è perché in Italia ci sono stati i Fedayn Roma. Ed è anche grazie al solco lasciato da gruppi come i Fedayn se in Italia si sono formati, nel corso dei decenni, gruppi Ultras che hanno fatto la storia del movimento di casa nostra tentando un recupero dello spirito Ultras primigenio e diventando dei fari di comportamento seguìti da migliaia di ragazzi.
Venendo al disegno: ho voluto creare intorno a un teschio incappucciato – che ricordi da vicino proprio quello dei Fedayn, seppur più elaborato – una sorta di quadrato (figura concettualmente e geometricamente che ben si confà a questo gruppo) formato dalle scritte, superiori e inferiori e dalle cifre, indicanti rispettivamente nome del gruppo, città e anno di nascita. Il colore delle scritte e dei numeri, diviso equamente all’interno delle stesse, invertito e sfalsato, è naturalmente giallorosso, seppur in una tonalità che ricordi il giallo e il rosso degli Anni ’70 e ’80, quando la Curva Sud adoperava questi due bellissimi colori in una forma più “ingenua” e non ancora caratterizzata dalla maggior specificità e profondità del giallo ocra e del rosso pompeiano che da un certo punto in avanti (diciamo sommariamente dagli Anni ’90) cominciarono ad andare per la maggiore nella produzione del materiale da stadio romanista. Il fondo del disegno è d’un bianco sporco, quasi grigio (a voler ricordare il trascorrere del tempo) mentre la spessa cornice nera – che fa pendant coi bordini presenti sul teschio quanto sulle scritte – conferisce al tutto un ulteriore elemento di stabilità e quadratura. Un ringraziamento all’amico e collega di testata Gianvittorio De Gennaro, per le informazioni sulla tifoseria romanista.

Brigate Gialloblu Modena: Uno dei gruppi storici del panorama Ultras italiano. Nate nel 1975 e sciolte nel 2006, le Brigate Gialloblu Modena hanno rappresentato la squadra e la città geminiana in lungo e in largo per la Penisola per oltre un trentennio, lasciando un’impronta indelebile del loro passaggio e della loro presenza.
Nacquero negli anni di più grosso fermento nazionale per quanto concerne la nascita dei grandi gruppi Ultras che hanno fatto la storia del tifo e che avevano tutti in comune la caratteristica di essere gruppi di massa – non intesa con un’accezione negativa, tutt’altro – capaci di convogliare e rappresentare sotto le proprie insegne migliaia e migliaia di ragazzi, delineando appieno la gioventù calcistica delle rispettive città e divenendone al contempo una parte integrante e imprescindibile.
Ripensare alle Brigate di Modena e a quello che hanno saputo fare e simboleggiare equivale davvero a un tuffo nella memoria e nella storia del tifo del nostro Paese. Per una parte di Anni ’70 e per tutti gli Anni ’80 e ’90, le Brigate sono state le indiscusse protagoniste, insieme agli undici in campo, delle domeniche al Braglia e anche in trasferta hanno saputo produrre, con naturalezza e consapevolezza, un seguito corposo e rumoroso che non ha mai fatto mancare l’ardore e il calore per le casacche canarine. Erano gli anni più belli per il tifo italiano e Modena e la Curva Nord (precedentemente si tifava in Sud) rappresentarono un mattone importante di un insieme variegato e colorato che se rapportato alla situazione attuale, rifulge come un torcia accesa nell’oscurità.
Quelle immagini del vecchio e romantico Braglia, traboccante di folla ed entusiasmo, restano impresse nella memoria dei più vecchi – come me – che hanno avuto la fortuna di “vivere” quel periodo storico e sono guardate con “devozione” quasi religiosa dalle nuove leve che non hanno potuto materialmente vivere un tempo antecedente al proprio essere Ultras e tifosi, ma che – forse anche inconsapevolmente – percepiscono e intuiscono la grandezza e l’irripetibilità d’un passato perduto e mitico ch’è stata la base su cui costruire il loro stesso essere e senza cui nulla esiterebbe.
Si sa, tutte le cose (soprattutto le più belle) sono destinate a modificarsi e perire, diminuendo la propria perfezione che proprio quando tocca il culmine cova in sé, intrinsecamente, i germi d’una digressione e d’un ineluttabile deterioramento. Così è stato anche per le Brigate, che vissero appieno gli anni più bui del calcio modenese – quando la squadra gialloblu era una presenza costante nei campionati della vecchia Serie C1 – che, incuranti dello scenario circostante di categorie e palcoscenici non sempre all’altezza del blasone d’una città e d’una compagine che in anni lontani aveva conosciuto i fasti della massima serie, sono state capaci col loro supporto incondizionato di contribuire fattivamente alla nuova scalata ai vertici del nostro Calcio, culminata nell’inebriante biennio 2000-2002 allorquando il club della Ghirlandina fece il doppio salto dalla C alla Serie A.
Per qualche anno il mitico striscione delle Brigate, quello col Che Guevara nel mezzo, che aveva girato i campi d’Italia e che s’era fatto tanta, ma tanta, terza serie e che da decenni campeggiava nella vecchia Curva modenese, poté fare bella mostra di sé nel nuovo e rinnovato Braglia che, tocca dirlo – pur avendo perso totalmente il fascino dato da un impianto vecchissimo e che trasudava storia calcistica e Ultras – è uno degli stadi italiani più belli e funzionali e dove davvero è più affascinante – a livello di visibilità e “comfort” – poter seguire una partita di Calcio.
Probabilmente la fine delle Brigate, anche per via del modo in cui è avvenuta – “vecchi” brigatisti contro i “giovani” ritenuti non all’altezza di cotanto nome e blasone – è paradigma del cosiddetto “Ultras moderno” che ha inevitabilmente portato con sé – credo sull’onda lunga di latenti egoismo, esibizionismo e ansia di protagonismo tipici dei tardi Anni ’90 – il progressivo sfaldamento dei gruppi storici italiani a cui le Brigate Gialloblu Modena possono essere ascritte senza tema di smentita.
In seguito, la tifoseria canarina, privata della sua stessa anima ch’era quest’importantissimo gruppo, ha conosciuto una profonda fase di declino e polverizzazione e frammentazione del tifo che non ha di certo giovato all’insieme e che – unita a una costante quanto inarrestabile emorragia di pubblico, ch’è un fenomeno italiano generalizzato degli ultimissimi anni e da cui si salvano soltanto poche isole felici – hanno prodotto una situazione attuale davvero misera, se paragonata al passato di cui sopra e che, nel raffronto, appare ancor più bello e fulgido di quanto non sia comunque stato nella sostanza.
Venendo al disegno, che insegue un modello di semplicità, su uno sfondo giallo oro ho posto, in blu, il simbolo principe delle Brigate modenesi, quel Che Guevara ch’è un elemento simbolico tipico e saliente delle tifoserie cosiddette di sinistra e che (pur in una versione, quella scelta da me, che si discosta leggermente dalla più classica e inflazionata effige del Comandante) a distanza di tanti anni mantiene inalterato il proprio fascino; quello d’un volto che trascende sé stesso assurgendo a icona che rimanda a un entroterra politico-concettuale di più ampio respiro. Nella parte superiore, nel medesimo blu, le due lettere iniziali che formano l’acronimo con cui erano conosciute le Brigate, separate da una stella a cinque punte, altro elemento che, insieme a falce e martello, è un ulteriore simbolo della cosiddetta sinistra extraparlamentare. In basso, nel medesimo font e colore di cui sopra, la scritta identificativa della città. Una sottile riga blu chiude idealmente il quadro, restituendo un disegno semplice ma, credo (e spero), godibile nella sua immediatezza e semplicità. Un po’ quello che sono state le Brigate Gialloblu Modena. Un pezzo di storia, importante e affascinante, del tifo italiano. Un ringraziamento all’amico e collega di testata, Francesco Passarelli, per le informazioni sulla tifoseria modenese.

Regime Rossonero Foggia: Della tifoseria e della squadra del Foggia abbiamo già avuto modo di parlare in una precedente puntata di questa stessa rubrica (One Step Beyond #30).
Nel mio tentativo di dare risalto e memoria – a mezzo dei miei disegni – oltre ai gruppi attuali, anche ai grandi gruppi Ultras di massa che caratterizzarono ed egemonizzarono l’intero movimento per almeno due decenni (Anni ’80 e ’90) non poteva mancare il Regime Rossonero Foggia.
Nato nel 1980, sciolto per problemi repressivi quasi subito e infine rifondato qualche anno più tardi, il Regime rappresentò uno spartiacque nella storia del tifo dauno e, guardandolo con gli occhi di oggi, rappresenta una fase “mediana” del sostegno per i satanelli. Mi spiego: verso la metà degli Anni ’70, al vecchio Zaccheria pre-rifacimento, già si tifava in maniere sostenuta (e a due Curve) per l’undici rossonero, però il tifo era ancora legato a un’impostazione molto spontaneistica e non troppo organizzata; ma era un segno dei tempi e ciò avveniva un po’ in tutta la Penisola (fatta eccezione per i gruppi più metropolitani che erano un passo avanti, rispetto alla Provincia, in quanto ad organizzazione). Proprio per unire tutti questi gruppi e gruppuscoli di quartiere – e anche per poter parlare con una voce più “grossa” in trasferta… erano i primi Anni ’80 e non esistevano le scorte e le partite fuori casa erano davvero molto pericolose, per usare un eufemismo – si pensò di trasferirsi tutti in Curva Sud e di fondare un nuovo gruppo che fosse coeso e compatto al seguito dei rossoneri. E così fu. Poi, decenni dopo, con un mondo Ultras profondamente cambiato rispetto al passato e anche grazie all’avvento di nuovi gruppi come gli Original Fans che portarono una ventata di novità e freschezza, il tifo nella curva foggiana mutò e oggi, pur mantenendo il tifo dauno una “stereofonia” data da due Curve assai calde e partecipi, è indubbio che la strada più “moderna” (passatemi l’espressione) sia incarnata dalla Curva Nord Foggia, che con una cifra stilistica e comportamentale marcatamente più accattivante, estrema e personalizzata ha una maggiore presa sui ragazzi e ragazzini che si avvicinano per la prima volta allo stadio.
Per questo ho detto che il RRN si poneva, storicamente – tra la spontaneità dei tardi Anni ’70 e la spiccata identità Ultras della Curva Nord attuale – in posizione per così dire “mediana”. Nel senso che ha rappresentato un lungo, lunghissimo periodo intermedio fondamentale per l’evolversi del movimento Ultras foggiano. E senza l’ingenuità e l’entusiasmo iniziale degli Anni ’70 non sarebbe nato il Regime, come pure se non ci fosse stato il Regime, oggi non esiterebbe l’attuale Curva Nord foggiana così peculiare, “stilosa” e seducente… una delle tante prove che, senza passato, non esiste futuro.
E il Regime Rossonero ha costruito nel corso dei decenni il nome Ultras di Foggia, facendolo conoscere in ogni parte d’Italia, da nord a sud, divenendo come abbiamo visto in apertura un grande gruppo egemone di un’intera curva e assurgendo a grande gruppo di massa degli Anni ’80 e ’90. Con un serbatoio di tifosi a cui attingere, davvero molto vasto, dato sia dal popoloso capoluogo pugliese che ha sempre avuto nel Calcio una vera e propria religione e sia dalla sua vasta e altrettanto popolosa provincia.
Corroborato da tanto entusiasmo e partecipazione collettiva, il Regime poté esprimere appieno tutto il proprio potenziale, divenendo uno dei gruppi più coesi, rispettati e temuti dell’intero Centrosud. E lo Zaccheria – che si esibiva di volta in volta in fumogenate, torciate, sbandierate, sciarpate e coreografie sempre più belle ed elaborate – è divenuto un campo tra i più caldi del Meridione dove non è mai stato facile per nessuno giocare, soprattutto da “nemico”.
E il Regime si fece le ossa, scontrandosi spesso e volentieri, prendendole e dandole, con altre realtà importanti del panorama Ultras nazionale, in quegli Anni ’80 e ’90 che furono un idillio per gli Ultras dalla mano più pesante e con furibondi scontri che videro i dauni vedersela faccia a faccia con cavesi, nocerini, barlettani, pescaresi, baresi, tarantini, salernitani, napoletani e tanti tanti altri.
Venendo al disegno: sono partito dalla figura del teschio con elmetto che ho posto a sinistra e che pare fare buona guardia allo “striscione” rossonero pezzato orizzontalmente e recante il nome del gruppo e la side d’appartenenza in un font bianco importante e monumentale (quel bookman old style grassetto che, pur passando gli anni, rimane comunque uno dei font migliori in circolazione e che fa ancora e sempre la sua porca figura). Un teschio assai suggestivo e ben delineato, che ha un “barlume” fatuo nelle orbite degli occhi e che dall’helm mit spitz (elmetto a punta) alla croce di ferro appuntata all’altezza del collo, vuol richiamare un fante prussiano della cosiddetta Grande Guerra (o Prima Guerra Mondiale). Due elementi, il teschio e la croce di ferro, realmente usati dal Regime Rossonero (il profilo d’un teschio campeggiava sul lungo striscione RRN casalingo, mentre una croce di ferro stilizzata faceva bella mostra di sé nello striscione da trasferta). Questa figura affascinante, sinistra e guerrafondaia, conferisce all’insieme un tono epico e bellicoso in cui ogni elemento è molto serio e non c’è spazio per alcuna ironia. Ho voluto così ripescare a piene mani (unendovi una meticolosa precisione concessa oggi dall’uso della computer grafica) dalla simbolistica da stadio tipica degli Anni ’80 ch’era molto “bellicosa” sia nei loghi che nelle nomenclature stesse… non a caso Regime Rossonero (nome tra l’altro molto originale e quasi unico) è una denominazione che evoca un che di fascista e militare. Ma all’epoca era un po’ una sorta di “moda” il dare un dato nome o l’usare una determinata icona che se estrapolata dal contesto Ultras poteva apparire politicamente molto scorretta, ma che invece andrebbe inquadrata nell’ottica di un movimento d’aggregazione giovanile che calcava molto la mano su elementi talvolta prettamente scenografici scelti per suscitare scalpore e scandalo ma che – nella sostanza – non erano vissuti appieno da coloro che li esibivano, spesso senza neppure coglierne totalmente il significato e senza conoscerne storia e provenienza. Quindi quel Regime Rossonero – fermo restando il fatto che Foggia Ultras abbia sempre avuto una connotazione assai nazionalista – è più un “regime che fa numero” (come recitava il titolo d’una vecchia intervista che il gruppo in questione rilasciò alla mitica e antesignana rivista Supertifo) che uno schierarsi su posizioni politiche e assolutiste. Per quei ragazzi di allora, come per i loro eredi di oggi, il vero e unico “regime” a cui obbedire e fare riferimento è soltanto l’amore incondizionato per il Foggia Calcio e i suoi colori.

Smoked Heads Campobasso: La storia Ultras degli Smoked Heads inizia nella stagione 1986-87 (a memoria di alcuni: durante un Campobasso-Lazio, 0-1, del 26 ottobre ’86), ovvero durante l’ultimo torneo (dei cinque complessivi e consecutivi) che I’Unione Sportiva Campobasso disputò in Serie B.
Paradossalmente, proprio nel momento in cui la storia calcistica dei “lupi” rossoblu stava esalando gli ultimi e più importanti respiri del proprio periodo d’oro – di lì a qualche anno, infatti, il più prestigioso club molisano, fondato nel 1919, avrebbe conosciuto il suo primo fallimento… a cui sarebbero seguiti altri tre – nasceva quello che sarebbe diventato senza ombra di dubbio il suo gruppo Ultras più importante e longevo.
E in trent’anni di assiduo e incondizionato sostegno, gli Smoked hanno vissuto quelli che potremmo definire gli anni più bui – da un punto di visita squisitamente calcistico – del Campobasso, con decenni di quarta serie nazionale (tra CND e Serie D) e tanti tornei regionali, quando addirittura il lupo molisano fu costretto a ripartire anche dalla Prima Categoria. Frammisti a questi tornei indegni della storia, dell’importanza e del blasone rossoblu, anche due tornei della vecchia C2, uno dei quali, il primo (stagione 2000/01), con una sfiorata promozione in C1 (il Campobasso navigò a lungo in testa alla classifica e infine perse malamente e sorprendentemente la semifinale play-off contro il Sora che in seguito avrebbe fatto le scarpe pure al Catanzaro in finale) e con una sciagurata retrocessione l’anno seguente che anticipò un nuovo fallimento.
In anni recenti – sotto la guida del controverso presidente Ferruccio Capone che, dopo uno splendido inizio, ebbe la malaugurata pensata d’inimicarsi l’intera piazza – anche tre stagioni (dal 2010 al 2013) di Lega Pro Seconda Divisione (la vecchia, cara C2) in cui il Campobasso giocava in un clima surreale e davanti a pochi intimi, in un Selva Piana desolatamente vuoto, con pochi Ultras al seguito, e in cui il connubio squadra/città toccò il suo punto più basso (si pensi che Campobasso è una piazza ch’è stata capace di portare allo stadio, per una partita di CND nella stagione 1999/2000, 18.000 spettatori… numero impressionante e paradigma dell’attaccamento viscerale di questa città al Calcio).
Davvero è un paradosso: se si pensa a Campobasso calcistica si deve inevitabilmente fare riferimento agli Anni ’70 e ’80 (le trionfali stagioni della vecchia Serie C, della C1 e della B), mentre se si parla di Ultras (al netto dei tanti anni di cui poc’anzi, quando si giocava al vecchio Romagnoli e il gruppo trainante era il Commando Ultrà Campobasso che pure rese la piazza murattiana una delle più calde e passionali del Centrosud) inevitabilmente bisogna fare riferimento agli Smoked Heads che per sei lustri hanno letteralmente dominato la scena cittadina, divenendo anno dopo anno uno dei gruppi più importanti del panorama nazionale minore.
L’abilità e la capacità principale degli Smoked – per chi scrive – è stata quella d’essere un gruppo di forti e saldi principi Ultras, con una mentalità che travalicava l’ingenua partita domenicale e che aveva un ampio risvolto sociale. Gruppo dichiaratamente schierato su posizioni di sinistra (seppur senza eccedere in stucchevoli estremizzazioni), fece sua la bandiera dell’antirazzismo, con iniziative, forti prese di posizione e striscioni a tema che hanno fatto da corollario alla storia di questi ragazzi molisani. Unito a quest’impegno concreto (e non solo di facciata come purtroppo talvolta si vede in giro) nel sociale, gli Smoked hanno sempre avuto una precisa identità stilistica – comportamentale ed estetica – che li ha in breve portati a essere un punto di riferimento (assai accattivante) per tutte le centinaia di ragazzi campobassani e di zone limitrofe che settimanalmente si compattavano dietro le loro insegne.
Un settore molto colorato quello degli SH (questo il loro acronimo), interamente “drappato” con materiale di ottima fattura (termine abusato ma sempre pertinente) e con un’indole molto british che, secondo me, ha reso questo gruppo uno dei migliori del panorama centromeridionale se rapportato alla grandezza della città e alle categorie di volta in volta disputate.
Altra caratteristica, quasi unica, di questi ragazzi è stata la capacità di essere un gruppo di una certa ricercatezza che non scadeva mai nel mainstream, ma al contempo è stato sempre grazie a loro se il Selva Piana ha potuto esprimere numeri tanto incredibili. Insomma: un gruppo con una precisa identità, gli Smoked Heads, “stiloso” e numeroso, che non si è mai posto come “gruppo di massa” ma che poi, nella sostanza, lo è diventato suo malgrado… un po’ un paradosso, me ne rendo conto, ma è sempre stata questa la sensazione che ho ricavato osservandoli.
La cosiddetta prova del nove di queste mie affermazioni è il fatto che in anni difficili per il Calcio campobassano – quando si lottava per vincere un campionato di CND e magari non vi si riusciva – il Selva Piana faceva registrare medie spettatori davvero strabilianti per la categoria, dove partite con 8.000, 10.000 o persino 15.000 spettatori erano la “normalità”. Così avveniva pure in trasferta, con talvolta anche oltre mille tifosi al seguito (e per una squadra di quarta serie è tutto dire). Anni dopo, nell’era del succitato presidente Capone che con buoni investimenti riportò la squadra in Lega Pro/C2 (quindi in una categoria superiore) ed in cui s’inimicò proprio il gruppo degli Smoked… al Selva Piana non c’era quasi nessuno. Un puro caso?… non credo.
Sono sempre stati gli Smoked il “motore” della Curva Nord, i navigati timonieri, che rappresentavano lo spettacolo nello spettacolo (la gente andava allo stadio, oltre che per la squadra, anche per tifare, divertirsi e fare aggregazione) e pur riconoscendo l’indubbia indole calciofila e appassionata di Campobasso che anche cento anni fa faceva la differenza sugli spalti, è fuor di discussione che il merito maggiore di quella Curva Nord campobassana che si fece conoscere e apprezzare in tutt’Italia per i suoi colori e numeri, vada principalmente agli SH.
Un’ulteriore riprova di ciò la si è potuta avere soltanto un anno fa (stagione 2015-16) quando il lupo rossoblu s’è giocato la finale play-off del proprio girone di Serie D in quel di Fano (altra piazza tosta e calorosa) e, con gli Smoked stabilmente tornati al timone della Nord (si sarebbero sciolti di lì a poco), il seguito Ultras rossoblu in quella finale fu di oltre 600 tifosi che diedero spettacolo, riconosciuto e apprezzato da tutti.
Inutile negarlo, senza nulla togliere agli altri gruppi (che pure tanto bene hanno fatto e dato alla causa rossoblu) che negli anni si sono succeduti sui gradoni della Nord e a quelli attuali che guidano il tifo: la storia Ultras di Campobasso è rappresentata dagli Smoked Heads. E il loro recente scioglimento ha lasciato un vuoto che credo resterà per sempre incolmabile per tutto quello che questo gruppo ha significato e dato in trent’anni di più che onorata carriera.
Venendo al disegno: ho voluto utilizzare uno dei simboli degli Smoked Heads, il cosiddetto bambulè; antico simbolo di derivazione indiana, che nel suo significato originario è il mantra “Oṃ della religione induista, ma che nella cultura psichedelica figlia degli Anni ’60 ha assunto il significato di “pace dei sensi” raggiungibile attraverso l’uso e abuso di marijuana… e la scelta di questo simbolo non è certo causale e la dice lunga su quale sia la “filosofia” di vita e da stadio di questi ragazzi molisani… non a caso il nome del gruppo: Smoked Heads (Teste Fumate). Ho posto questo simbolo in posizione centrale, molto grande, con sopra e sotto le due parole che compongono il nome del gruppo in un font elegante e importante. Più in basso – in piccolo e nel medesimo font – e con lettere distanziate tra loro che fanno molto Anni ’70, il nome della città. Il bambulè e le scritte sono bianche su uno sfondo rossoblu semplice e pezzato verticalmente che ricordi una bandiera assai artigianale. Intorno è una spessa cornice bianca. L’intenzione, con questo disegno, è stata quella di creare qualcosa che fosse al contempo semplice ed efficace, alla buona ma “stiloso”. A suo modo anche un’allegoria del gruppo ch’è stato un po’ tutte queste cose insieme. E che ci mancherà.

Curva Nord Milano: Un disegno dedicato alla Curva Nord di Milano. Inconsueto nella colorazione – ho scelto infatti il bianco come tinta dello sfondo – anche nella realizzazione questo lavoro vuol inseguire una fascinazione di genere Anni ’80. L’elemento più saliente e appariscente è rappresentato dalle due teste di serpente poste in posizione centrale e simmetrica. Teste di serpente che vogliono richiamare alla mente il famoso biscione simbolo dell’Internazionale FC nonché della città di Milano. Infatti il biscione, dipinto in azzurro e che inghiotte un saraceno, campeggiava sullo stemma e sui gonfaloni della famiglia Visconti, una delle più antiche e nobili dinastie europee e che furono Signori di Milano. Queste due teste di serpente assai ben delineate e colorate, in posizione di difesa, che mostrano la lingua e che paiono pronte a saltare al collo di chi osi avvicinarsi, tengono tra loro, custodendolo, il simbolo circolare – in una versione bianca e nera – dell’Inter, composto dall’intreccio delle lettere che formano l’acronimo sociale FCIM (Football Club Internazionale Milano). A sovrastare e sottostare a teste di serpente e logo sociale, le parole che formano la dicitura CURVA NORD in un font imponente e cubitale, che vuol farsi guardare e che interrompe – sopra come sotto – una doppia striscia nerazzurra molto larga, corposa e materiale, che presenta, nella distribuzione dei colori, anch’essa una partitura simmetrica. Il tutto è contornato da una sottile riga nera che idealmente delimita e chiude l’insieme. Le tonalità di rosso (per la lingua dei serpenti) e giallo limone (per occhi e denti) conferiscono al tutto una nota di estrosità che spezza la monotonia e caratterizza meglio il disegno.

Luca “Baffo” Gigli.

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LE PUNTATE PRECEDENTI
One Step Beyond #1: Terni, Caserta, Samb, Lamezia, Milan, Parma, Lazio, Udine;
One Step Beyond #2: Palermo, Udine, Catania, Fiorentina, Pescara;
One Step Beyond #3: Verona, Roma, Milan, Inter;
One Step Beyond #4: Brescia, Napoli, Lazio, Palermo;
One Step Beyond #5: Livorno, Lazio, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #6: Lazio, Savona, Cavese, Manfredonia;
One Step Beyond #7: Crotone, Pescara, Catania, Napoli.
One Step Beyond #8: Roma, Lazio, Palermo, Milan;
One Step Beyond #9: Spezia, Arezzo, Virtus Roma, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #10: Lazio, Genoa, Napoli, Roma, Palermo.
One Step Beyond #11: Viterbo, Torino, Savona, Napoli;
One Step Beyond #12: Torino, Castel di Sangro, Livorno, Lazio;
One Step Beyond #13: Hertha BSC, Ancona, Napoli, Roma, Samp;
One Step Beyond #14: Inter, Alessandria, Samb, Roma.
One Step Beyond #15: Lecce, Bari, Cavese, Genoa;
One Step Beyond #16: Campobasso, Napoli, Lazio, Carpi;
One Step Beyond #17: Juve Stabia, Palermo, Perugia, Livorno, Cagliari;
One Step Beyond #18: Taranto, Avellino, Lucca, Cavese;
One Step Beyond #19: Cosenza, Catanzaro, Atalanta, Samp;
One Step Beyond #20: Salerno, Ideale Bari, Campobasso, Napoli;
One Step Beyond #21: Civitanova, Frosinone, Padova, Roma, Lazio;
One Step Beyond #22: Isernia, Padova, Genoa, Como;
One Step Beyond #23: Lazio, VeneziaMestre, Napoli, Gallipoli, Manfredonia;
One Step Beyond #24: Napoli, Vicenza, Milan, Inter, Fiorentina;
One Step Beyond #25: Isernia, Venezia Mestre, Inter, Manchester City;
One Step Beyond #26: Palermo, Paganese, Cavese, Novara, Nocerina, Newcastle;
One Step Beyond #27: Ideale Bari, Isernia, Matera, Manfredonia;
One Step Beyond #28: Lazio, Livorno, Ascoli, Pescara;
One Step Beyond #29: Verona, Lucchese, Napoli, Cavese, Lazio;
One Step Beyond #30: Crotone, Foggia, Genoa, Salernitana, Cagliari;
One Step Beyond #31: Fermana, Roma, Lazio, Terracina, Fiorentina;