Sabato 2 dicembre 2023 presso il palazzetto dello sport di Angri si è tenuto un incontro – organizzato dalla tifoseria locale – al quale hanno preso parte diverse tifoserie e dove a espletare il ruolo di relatori sono stati gli avvocati Giovanni Adami ed Emilio Coppola e la nostra testata, rappresentata da Simone Meloni. Un’occasione per tentare nuovamente di ripristinare un dialogo al fine di fronteggiare la crescente ondata repressiva che da più di un anno è tornata a farsi sentire, ma anche l’opportunità per far emergere vizi e virtù del panorama ultras in tema di comunicazione, cambio generazionale e raffronto con i modelli esteri.

Ad aprire le danze – e non poteva essere altro – sono stati i due legali, che hanno ribadito come lo strumento del Daspo abbia ormai ampiamente travalicato la sua mera funzione preventiva e punitiva, divenendo spesso un vero e proprio antidoto alle più disparate forme aggregative (lo dimostra la sua esportazione, ormai consolidata, nella vita di tutti i giorni). Una sanzione amministrativa accompagnata quasi sempre dal suo risvolto penale, che sovente assume contorni a dir poco gravosi, sproporzionati e pesanti. Basti pensare alla facilità con cui negli ultimi anni le Questure utilizzano il reato di devastazione – che prevede la reclusione dagli otto ai quindici anni – in ambito stadio. Un reato che, paradossalmente, durante gli anni di piombo (per portare l’esempio di un periodo storico in cui il conflitto sociale ha raggiunto il picco) veniva “maneggiato” con meno frequenza.

Senza dubbio uno degli aspetti più preoccupanti relativi al Daspo, è il suo potersi estendere fino a dieci anni con firma, in caso di recidiva. Proprio su questa sfaccettatura, Adami e Coppola hanno voluto sottolineare l’esistenza della riabilitazione amministrativa, un istituto inserito dalla Legge Renzi/Alfano del 2014 che permette – in seguito alla buona condotta successiva a tre anni dalla scadenza del Daspo – di riabilitare per l’appunto il soggetto, cancellando gli effetti pregiudizievoli della sanzione. Di fatto, dunque, cade la “recidiva” in caso di ulteriore diffida, che a quel punto sarebbe comminata con le “tempistiche” del primo Daspo, vale a dire da uno a cinque anni. Si tratta di un aspetto importante perché premia innanzitutto la buona condotta, dando al soggetto in questione una seconda chance (in linea, quindi, con il concetto teoricamente rieducativo della giustizia) e soprattutto non impone al Questore di turno di dover comminare, anche per fatti veniali (accensione artifizi pirotecnici a scopo folkloristico, ad esempio), una sanzione a dir poco sproporzionata e afflittiva. Su questo sarà importante fare opera di diffusione mediatica e informativa presso ogni gruppo, onde evitare conseguenze che ormai equivalgono quasi a veri e propri arresti domiciliari, considerati tutti gli effetti collaterali della firma (e pensate per una durata di sette, otto, nove o dieci anni).

Altra battaglia mai sopita e oggi più che mai importante da perorare, e cercare di portare a termine, è quella relativa all’abrogazione dell’articolo 9 del Decreto Amato, uno strumento che permette di escludere dall’acquisto di un biglietto o di un abbonamento anche chi ha già scontato una diffida. Più in generale ci si è poi soffermati sulla struttura del Daspo, che in Italia viene comminato dagli stessi organi che contestano un determinato reato (al contrario del Regno Unito, ad esempio, dove è un giudice a stabilire se il tifoso vada bannato o meno, ovviamente in seguito a un regolare processo dove lo stesso ha il diritto di difendersi), calpestando così i più basilari diritti per difendere la propria libertà e finendo spesso per venire scontato ben prima della celebrazione di un processo.

Farebbe ridere poi – se non ci fosse da piangere – pensare che per la violazione di questa sanzione amministrativa è prevista la reclusione da uno a tre anni e una multa da 10.000 a 40.000 Euro, mentre l’evasione dal carcere è punita con la detenzione da uno a tre anni. Praticamente i reati da stadio sono trattati ed equiparati a violazioni della legge sicuramente più gravi, cosa permessa dal clamore mediatico su cui negli anni sono stati costruiti decreti, leggi speciali e restrizioni (uno di questi è proprio il Decreto Amato, partorito a pochi giorni di distanza dalla morte dell’Ispettore Raciti e colmo di abomini giuridici e subdoli abusi che negli anni si sono lentamente rivoltati contro il mondo del tifo. E non solo quello organizzato).

Figlia/parente di tutto ciò è ovviamente la deriva proibizionista che negli ultimi quindici anni ha totalmente travolto il nostro Paese e che negli ultimi mesi è tornata prepotentemente in voga sotto forma di divieti, restrizioni e limitazioni sovente rasenti al ridicolo. Di esempi se ne potrebbero fare davvero infiniti e molti sono sotto gli occhi di tutti. Da trasferte chiuse ventiquattrore prima del fischio d’inizio, all’incapacità totale (mista alla non volontà) di gestire anche qualche centinaio di tifosi (l’esempio di Casertana-Foggia è in ordine cronologico il più lampante), arrivando al totale disinteresse delle società che, a volte, invece di schierarsi dalla parte dei propri seguaci preferiscono fare spallucce. O peggio ancora mettersi dalla parte della barricata più comoda, anche quando sono vittime di ingenti perdite economiche (se parliamo di calcio che va dalla C in giù).

Certo, anche la frammentazione del mondo ultras, il non essere stati quasi mai capaci di fronteggiare in modo granitico queste aggressioni da parte del sistema, ha ovviamente favorito l’espandersi irrefrenabile della metastasi repressiva. E oggi il divieto di trasferta rappresenta uno dei maggiori problemi per i gruppi. Oltre che la cartina tornasole di un sistema calcio ipocrita, che dice di combattere discriminazioni ma è il primo a vietare la vendita di un tagliando sulla base di una residenza. Oltre a non perdersi ormai neanche più la responsabilità di far giocare incontri definiti “a rischio” per episodi accaduti venti/trenta anni fa. Inutile pensare che qualcuno tra la stampa mainstream alzi la mano e chieda informazioni. Il concetto, pertanto, va ribadito: serve una presa di posizione dei club e un minimo di coscienza del movimento tutto.

Restando sempre in tema comunicativo, è stato ovviamente toccato anche l’argomento social e affini. Atteso che nel 2023 si avrebbe l’occasione di comunicare al meglio, utilizzando i numerosi canali per portare acqua al proprio mulino, si finisce con troppa facilità per fare l’esatto opposto. Manca quasi sempre il coraggio di comunicare con tutte le componenti del baraccone, trincerandosi troppo spesso dietro modi di essere sicuramente rispettabili, ma che suonano ahinoi come passati e inattuabili. Oltre che contraddittori. Mi spiego meglio: una parte del movimento si dice – o lascia intendere – contrario a qualsiasi tipo di interazione con l’esterno. Se ne possono capire i motivi e probabilmente chiunque sia cresciuto in una curva, almeno fino a qualche anno fa, ne condivide la base. Ma ha ancora senso giocare al “bandito” quando di fronte si ha un sistema che se vuole può metterti su una lista nera e vietarti a vita di partecipare a un evento pubblico? Questo non vuol dire scendere a compromessi, annientare il proprio modo d’essere e divenire un burattino in mano a lor signori. Ma vuol dire sicuramente guardare in faccia la realtà e l’epoca in cui si vive. Un’era fatta di telecamere in ogni pertugio e controllo sociale talmente forte da aver pervaso la mente dei cittadini, fino a farli diventare poliziotti di se stessi, autori dei propri Grande Fratello, grazie all’utilizzo sbagliato dei cellulari. Già, quegli strumenti che – mi si permetta – in talune occasioni vengono mal gestiti anche da gruppi e direttivi, i quali ne fanno bella mostra per spararsi foto e video di cortei impostati o sfilate all’ultima moda, non capendo quanto questa sovraesposizione porti effetti collaterali dannosissimi, che si tramutano spesso in auto delazione. C’è un confine nemmeno tanto sottile fra ostentazione e comunicazione che deve sempre essere rispettato e tenuto a mente affinché non vi si ritorca contro.

Il rischio di non instradare le nuove generazioni è anche dovuto a tutto ciò e non certo solo a delle loro lacune. Del resto è troppo semplicistico scagliarsi contro i più piccoli, contro gli esuberanti ragazzetti che si avvicinano alle curve. Lo siamo stati tutti e ognuno di noi con le tare mentali tipiche della sua epoca. La grande differenza sta nel terreno minato che i più giovani si ritrovano oggi ad affrontare in ambito curvaiolo. Una rete asfissiante nella quale è difficile far prevalere il proprio spirito giovanile, proprio per questo sarebbe importante abbattere qualsiasi conflitto intergenerazionale e far sì che le nuove generazioni capiscano al meglio sia come tramandare tradizioni vecchie più di mezzo secolo, sia come fronteggiare il mondo dell’iper connessione che si ritrovano di fronte. Da qui ai prossimi anni, se si vuol continuare a vivere, sarà fondamentale non foraggiare gli influencer e concentrare tutta la propria voglia di “clandestinità” nello spegnimento dei cellulari e nella disconnessione da TikTok, Instagram e Facebook in determinate situazioni. Così come già da oggi è importante isolare tutte quelle pagine, tutti quei profili, che dietro la parola ultras lucrano, proponendo in tempo reale immagini di scontri per favorire visite e condivisioni. Anche qui fra informazione e speculazione c’è una bella differenza.

Su questo aspetto, come su quello legislativo, il confronto con molte realtà estere è impietoso e lascia anche intendere quanta coscienza ci sia dei tempi che si vivono. Il nostro movimento resta senza dubbio il più bello da un punto di vista umano e storico, ma soffre di un fenomeno di staticità che ormai non è più supportabile e sopportabile. Nella nostra natura, probabilmente, non potremo mai essere tedeschi, austriaci o svizzeri – abituati a difendere ogni centimetro della propria libertà, ma anche meno in conflitto con lo Stato -, ma guardare passivamente ciò che accade è un modo forse davvero poco proficuo per l’unico grande movimento aggregativo nazionale rimasto in piedi e ancora in grado di attirare a sé giovani di ogni estrazione sociale e culturale. Ecco perché serate come quella di Angri dovrebbero rivestire un ruolo centrale all’interno del panorama ultras, oltre a godere di una considerazione nazionale. Con tutte le differenze, con i tanti modi di vivere lo stadio, da Sud a Nord c’è sempre un filo conduttore che unisce tutti i ragazzi e le ragazze che frequentano le gradinate. E lo sappiamo bene, ce ne accorgiamo quanto ci ritroviamo a parlare con persone che vivono a migliaia di chilometri dalla nostra realtà, eppure troviamo sempre una argomento comune, una scintilla che si accende.

Infine il ringraziamento va ai ragazzi di Angri che hanno ideato e organizzato l’incontro, ma anche alle tante tifoserie che hanno partecipato. Nella speranza che questa serata possa tracciare un solco e lasciare degli obiettivi da perseguire fino al termine. Ricordando sempre che laddove si può far pressione – sia politica, siano società, siano personaggi influenti in entrambi i campi – il dovere è di spingere il più possibile e richiedere a gran voce i propri diritti. Ora che purtroppo il motto “Leggi speciali: oggi per gli ultrà, domani per tutta la città” è diventato attualità, non si può rimanere attori passivi e vittime sacrificali.

Simone Meloni