Sono 325 i chilometri che dividono Bruges da Colonia. Il mio pullman percorrendoli taglia in due il Belgio, passando dalle Fiandre alla Vallonia e transitando ovviamente anche per Bruxelles, che da sola costituisce la terza regione storica del Paese. Superando il confine si entra nella Renania Settentrionale e, “cavalcando” le affollate autostrade tedesche, si arriva in quel di Colonia. È il giorno della semifinale di ritorno tra Bayer Leverkusen e Roma, una sorta di replay del match disputato lo scorso anno dai due club, con i giallorossi che riuscirono ad approdare alla finale di Budapest. Il risultato dell’andata (0-2 in favore dei rossoneri) e la palese superiorità degli avversari, lasciano in realtà ben poche speranze all’undici di De Rossi, ma per i tifosi capitolini le possibilità sono ancora vive e comunque sufficienti per recarsi in massa alla BayArena alla ricerca dell’impresa. Leverkusen non è esattamente una di quelle città per le quali scalpiteresti per vederle, anzi. Classico centro industriale di quest’area della Germania, non offre praticamente nulla a un coraggioso visitatore che non vi si rechi per il calcio. Mettiamoci anche che, nel giro di pochi anni, questa è la terza volta che ci vengo. Ragion per cui, dopo aver raggiunto il mio ostello a Colonia e aver lasciato parte dei miei bagagli, temporeggio un po’ prima di salire sul treno che mi porterà a LEV Mitte (stazione che dista qualche centinaia di metri dallo stadio). Nella patria dell’Aspirina c’è talmente poco che la quasi totalità dei tifosi italiani, per dormire, ha scelto Colonia o Dusseldorf. Non a caso i treni locali, già stracolmi di loro, pullulano di tifosi romanisti quando mancano un paio d’ore al fischio d’inizio (anche perché, come succede sempre da queste parti, chi è in possesso del biglietto per la partita può viaggiare gratuitamente). Ogni volta che ritorno in Germania resto sempre esterrefatto dalla mole di persone che si sposta costantemente su rotaia. La recente agevolazione, offerta dal governo, che permette di utilizzare tutti i mezzi di trasporto (esclusi, ovviamente gli ICE, cioè i treni ad alta velocità) con un abbonamento mensile al prezzo di 49 Euro, ha triplicato il numero di viaggiatori. Dimostrando, nero su bianco, quanto l’incentivo all’utilizzo del trasporto pubblico funzioni e sia in grado di decongestionare seriamente il traffico delle auto private. Ovviamente un tale discorso si può fare dove le infrastrutture già di loro sono buone, ma soprattutto dove vige una cultura ben diversa in fatto di spostamenti e “bene comune”. E se possiamo criticare i tedeschi per tante cose, su questo aspetto credo siano davvero all’avanguardia nel Vecchio Continente. E poi sapete cosa c’è? A me piace vedere treni pieni di ragazzi, famiglie e anche anziani. Dà una sensazione di vitalità molto bella, soprattutto se penso che da noi – spesso e volentieri – chi utilizza treni, bus e metropolitane è visto quasi come un sottosviluppato al cospetto di chi prende la macchina pure per andare all’alimentari sotto casa!

Avvicinandomi alla BayArena, attraverso il parco che la circonda, si percepisce il grande entusiasmo che domina la tifoseria di casa. La Werkself (squadra della fabbrica) ha da poco vinto il suo primo titolo nazionale, suggellando la rincorsa a un sogno che spesso si è infranto negli ultimi metri del suo cammino, e che in quest’annata magica ha trovato la sua realizzazione grazie a una vera e propria corazzata, che al momento di questa partita non perde praticamente da un anno (proprio dalla gara disputata all’Olimpico la scorsa stagione, quando un gol di Bove decise match e qualificazione). Le immagini del match contro il Werder Brema, con gente intenta a scavalcare per entrare senza biglietto, hanno restituito un’immagine fedele di quanto la passione e l’esuberanza attorno al fußball siano forse all’apice in Germania e di come, anche una piazza storicamente “tranquilla” come Leverkusen, sia in grado di produrre spettacolo sugli spalti. E oggi, per onestà, debbo dire che tutto ciò verrà assolutamente confermato. Come accennato, il settore ospiti ha registrato sold out in pochi minuti, con i 1.700 tagliandi disponibili polverizzati e più di qualcuno rimasto senza. Fortunatamente anni e anni di stadio in Italia hanno comunque lasciato una forma mentis di un certo tipo e alla fine nessuno rimarrà fuori. Partire da Roma con la quasi certezza di un’eliminazione ha ovviamente un valore doppio, perché significa innanzitutto portare nello stadio avversario tutto l’orgoglio e il senso di appartenenza di un popolo che ancora si lecca le ferite dopo la dolorosa sconfitta di Budapest e che sa bene quanto, in linea con la propria storia, le ultime stagioni abbiano offerto delle occasioni incredibili e uniche, con semifinali e finali centrate con una continuità assolutamente difforme al trend romano. Di contro, il modo in cui è stata persa la finale contro il Siviglia, ha ovviamente fatto accrescere il senso di “incubo” legato a questa competizione. Un qualcosa che la Roma e i romanisti si portano dietro dall’infausta notte di Roma-Liverpool e che sia la nottata magiara che quella contro l’Inter del 1991 hanno contribuito ad accrescere e far tramandare di generazione in generazione.

Una cosa che non amo particolarmente del modo tedesco di andare allo stadio, è appurare come uno degli obiettivi sia sempre quello di mangiare e bere fino allo stremo. Tralasciando l’onnipresenza del currywurst (magari anche buono in piccole porzioni, ma non certo nelle quantità industriali in cui viene consumato da queste parti), alla lunga risulta stucchevole imbattersi in taluni personaggi che forse starebbero meglio in qualche sagra della campagna teutonica che allo stadio. Non mi riferisco agli ultras chiaramente, che invece vivono la loro attività in maniera più schematica e “sobria”. Quello che manca – e forse è anche la cosa che non mi convince mai appieno a queste latitudini – è la via di mezza tra il curvaiolo militante e il tifosone da tribuna. Mancano, probabilmente, i cosiddetti “cani sciolti”, quelli che soprattutto nelle grandi città spesso rappresentano punti fermi e, pur non facendo parte dei gruppi, conoscono menadito la storia della propria tifoseria, muovendosi e ragionando da ultras in tutto e per tutto. “Schematico” è il termine più adatto. Ed è forse una parola che si confà culturalmente ai tedeschi. Attenzione: pur non condividendo alcuni passaggi davvero troppo rigidi, la mia non è neanche tanto una critica. Perché poi dietro questo modo d’essere c’è e c’è stato palesemente un lavorone che ha portato giovamento a tutto il panorama ultras teutonico, in costante crescita e in grado di fungere da frangiflutti sia in tema repressivo che per svariate iniziative legate alla gestione “contemporanea” del calcio. Ho sempre detto che il modello a cui bisognerebbe rifarsi è il loro. E ne sono fermamente convinto ancora oggi. Ma non bisogna mai dimenticare che ogni popolo ha le sue peculiarità, i suoi vizi e le sue virtù. In Italia magari arriveremo su livelli accettabili per quanto riguarda il rapporto/scontro tra tifoserie, club e istituzioni tra qualche lustro, ma nel frattempo occorrerebbe gettare un occhio oltre le Alpi e capire cosa si può emulare, almeno in tema “gestionale” e “operativo”. Chiaramente il modo d’essere delle curve italiche non può cambiare, né oggi, né mai. Un bene? Un male? Ai posteri l’ardua sentenza, ma un movimento radicato da oltre mezzo secolo, che malgrado l’avvicendarsi di generazioni, figure e “mode”, ha mantenuto sempre costanti taluni aspetti, se facesse marcia indietro o cercasse di “convertirsi”, finirebbe per snaturarsi, ancor più di come è stato già costretto da epoche e cambiamenti. Quindi guardiamo alla Germania, sì, ma facciamolo soprattutto per come il tifo viene concepito e gestito. Oltre che per come lo stesso riesce ad autotutelarsi.

Quando faccio il mio ingresso sugli spalti, la BayArena è quasi già totalmente popolata. Il bello degli impianti tedeschi è che si può girare liberamente attorno al loro perimetro. Ne approfitto per saggiare il clima della Nord Kurve, dove nel primo anello sono situati i gruppi ultras. Ebbi modo di sottolinearlo già lo scorso anno: il loro materiale è nettamente migliorato rispetto alla prima volta che li vidi all’opera, assumendo una sembianza più accattivante e sfruttando anche un paio di pezze con la dicitura in italiano, come nel caso di quella per i diffidati. Con le squadre che scendono in campo, il sostegno dei padroni di casa comincia a farsi sentire e si capisce che grazie all’annata magica, stasera l’ambiente sarà carico e caldo. Camminando all’interno del settore più caldo dei tifosi rossoneri, mi guardo un po’ attorno e traggo le prime conclusioni: bisogna partire dal presupposto che non ci troviamo davanti a una tifoseria grande e “inquadrata” come può essere quella del Colonia, della Dynamo Dresda o dell’Eintracht Francoforte. Pertanto è palese che la concentrazione dei ragazzi più attivi sia nella parte bassa e centrale del settore, lo si capisce anche da come è vestita la stragrande maggioranza dei presenti: se è vero che in Germania è praticamente consuetudine indossare la maglia del club, è anche vero che qua si nota una più alta concentrazione di gente con due o tre sciarpe legate in ogni parte del corpo o con i caratteristici “kutten”, vale a gilet di pelle su cui sono attaccate decine e decine di toppe del club, un qualcosa che era molto comune negli anni ottanta e novanta, prima che l’organizzazione di stampo ultras prendesse man mano il sopravvento sulle gradinate. Ecco diciamo che questo aspetto folkloristico non è che sia molto gradito ai miei occhi, ma capisco bene che “Paese che vai, usanza che trovi”. E in fondo i nostri tifosi da tribuna non è che siano tanto meglio. Anzi, come dice spesso un mio amico: se vuoi renderti conto di quanto faccia schifo il calcio e quanto sia davvero terribile essere tifosi, allontanati dagli ultras e passa due ore con gente di tribuna. Per certi versi esagera, per altro direi proprio che ha ragione!

Quando le due squadre scendono in campo, la Nord Kurve si mette in mostra con una bella sciarpata. Sciarpe tese anche nel settore ospiti, sulle note di “Roma, Roma, Roma”. Le ostilità vengono aperte, in campo e sugli spalti. Sulla performance tedesca, come detto a più riprese, davvero poco da obiettare: in alcuni tratti canta e salta buona parte dello stadio, mentre per tutti i 90′ gli ultras fanno egregiamente il loro dovere. A tener banco sono molti cori di stampo italiano e, più complessivamente, si può dire che anni passati a vedere e frequentare le nostre curve, hanno forgiato le nuove generazioni, che riportando il tutto in Germania sono state poi bravissime a fare un’opera aggregativa e a rimodellare il tutto secondo i loro canoni. Da sottolineare alcuni messaggi lanciati dalla curva di casa: il primo contro il Var, esposto proprio nel momento in cui lo stesso assegna un rigore alla Roma. Non si tratta, tuttavia, di un messaggio estemporaneo, ma di una vera e propria battaglia intrapresa dalla tifoseria del Bayer (e non solo) contro questo strumento che, di fatto, ha contribuito a uccidere ulteriormente la spontaneità e le emozioni legate al calcio. E che, penso di poter dire, di certo non ha contribuito a risolvere il problema legato agli errori arbitrali, considerato che sono infine sempre i direttori di gara a doverne interpretare le riprese e che spesso o non vi ricorrono quando ce ne sarebbe palese bisogno, o ne sbagliano comunque l’interpretazione. Cosa resta del VAR? L’emozione di un’esultanza cancellata, il coito interrotto per antonomasia. Ma anche la delusione di una rete presa e poi annullata. Di fatto le sensazioni più grandi e pure quelle con cui tutti siamo cresciuti, sono state relegate e regolate dalla burocrazia e dalla “logica” di uno strumento elettronico. Se qualcuno, dunque, mi chiedesse: preferivi quando match e campionati venivano falsati da errori arbitrali? La risposta è sì. E la contro domanda è: cosa sarebbe cambiato adesso? Altro striscione esposto dai teutonici è invece di stampo politico, in favore dei combattenti ucraini. E su questo davvero non giudico, ma mi limito a dire che per come abbiamo sempre vissuto la curva in Italia in termini antagonisti, fa strano appurare come da queste parti si tenda spesso a prendere le parti della ragione e della narrazione perorata dallo Stato e dalla Istituzioni. E qui chiudo.

Tornando al tifo: il settore ospiti (dove è presente anche un piccolo manipolo di ultras del Panathinaikos) offre la sua prova d’orgoglio, riuscendo in più occasioni a farsi sentire nella bolgia e, soprattutto, spingendo una squadra che grazie alla doppietta di Paredes su calcio di rigore, fino all’82’ riesce miracolosamente a riportare il risultato complessivo in parità. L’impresa sarebbe di quelle memorabili, soprattutto dopo una partita d’andata dove errori individuali e sbavature hanno facilitato un’avversaria già di suo più forte. Ma la stanchezza di una stagione giocata quasi sempre con gli stessi effettivi, costa caro negli ultimi dieci minuti. Così quando Mancini getta il pallone dentro la propria porta, qualsiasi velleità di raggiungere Dublino si spegne. Il pareggio siglato al 97′ da Stanisic serve solo a non far perdere l’imbattibilità ai Pillendreher (prendipillole) e a far esplodere le gradinate, che al triplice fischio cantano e ballano sulle note di “Fußball Deutschaland meister” (“campioni del calcio tedesco”), mentre qualcuno mostra con fare profetico una bandiera irlandese. L’epilogo lo conosciamo bene, con la squadra di Xabi Alonso che verrò letteralmente asfaltata dall’Atalanta, non riuscendo a bissare il successo della stagione 1987/1988, quando i rossoneri riuscirono incredibilmente a ribaltare il 3-0 subito al Sarrià di Barcellona dall’Espanyol, imponendo ai catalani lo stesso risultato nel match di ritorno disputato al vecchio Ulrich-Haberland-Stadion e vincendo poi ai caldi di rigore. Per la Roma ci sono comunque applausi e cori di ringraziamento, a testimonianza di quanto la piazza sia cosciente della propria storia sportiva e, soprattutto, di quanto sia importante – anche al netto di nessun trofeo alzato – poter sognare e competere, almeno per qualche mese. Dopo aver osservato le ultime scene di giubilo, non mi resta che portarmi lentamente verso le uscite. Dirigendomi verso la stazione dei treni, mi imbatto in alcune delle figure “simbolo” del calcio tedesco: individui armati di carrelli della spesa che raccolgono e chiedono ai passanti bicchieri di plastica vuoti. Sì, perché ad ogni bicchiere reso, vengono corrisposti 2 Euro. Un modus operandi che produce un semplice ma determinante effetto: i meno abbienti si tramutano in veri e propri operatori ecologici, portando a casa a fine giornata davvero un bel “malloppo” e, di conseguenze, il giorno successivo è praticamente impossibile imbattersi in cumuli di plastica gettati ovunque. La produzione di un indotto che oltre a non scontentare nessuno porta anche giovamento all’ambiente.

Gli ultimi scampoli di questa serata si consumano sulla banchina della stazione, dove la polizia cerca di arginare i romanisti intenti a cantare e a superare la linea gialla, in attesa di un treno che tarda ad arrivare. Sulla S-Bahn si levano ancora potenti i cori, mentre dopo una ventina di minuti sono nuovamente a Colonia. È l’una passata e, ahimè, i mezzi hanno smesso di circolare. Opto per una camminate di circa tre chilometri, prima di potermi gettare tra le braccia di Morfeo e riposarmi in vista del giorno successivo, dove ad attendermi ci sarà un Essen-Monaco 1860 di terza divisione. Ma questa è una storia che avrò modo di raccontare. Benché sia stata la mia terza volta nella tutt’altro che tentacolare Leverkusen, devo ammettere che ogni sfaccettatura di questo Paese applicata al calcio, ogni volta mi fa riflettere e partorire nuovi spunti e considerazioni. L’eterna evoluzione, il costante movimento, sono il segno più forte e simbolico del sistema calcio tedesco. Così, tuttavia, come iconiche restano le sensazioni e gli atteggiamenti di tutti i tifosi romanisti arrivati fin qui. Ancora una volta custodi ferrei di una fede che non conosce sconfitta e, nella loro rudezza e nel loro tribalismo, fedeli a un modo profondamente italiano di essere tifosi.

Testo Simone Meloni