Alle 14:05 il regionale Messina-Siracusa ferma puntuale alla stazione di Taormina-Giardini. Alla mia destra l’Etna è stato lentamente ricoperto da una coltre di fumo e adesso si nasconde a turisti e curiosi, mentre davanti a me il mare si staglia azzurrissimo, calmo e in attesa che qualcuno lo accarezzi per una nuotata d’ottobre o navighi le sue acque a bordo di un peschereccio. La Sicilia in questo periodo tutto sembra tranne che una regione italiana alle prese con i primi vagiti dell’autunno. Con i suoi odori forti, le sue pasticcerie che sfornano invitanti cannoli, brioche, granite, cassate e la masnada di rosticcerie che da Oriente a Occidente danno vita agli arancini o alle arancine (decidete voi) e mille altre prelibatezze da mangiare. Quella che per secoli è stata accogliente terra per tutte le popolazioni che hanno fatto dell’Europa il Vecchio Continente, oggi regala ai suoi astanti soggiorni e momenti difficili da dimenticare. L’isola che tocca la punta dello Stivale ti rimane dentro e non puoi fare altro che finirne in balia, capendo perfettamente il motivo per il quale tanti furono le genti che all’interno del suo immaginario triangolo, quello della Trinacria – per l’appunto -, vi si stanziarono da forestieri, morendo da siciliani acquisiti.
Il treno corre lungo le sponde del mare, fin quando non entra nella periferia di Acireale e prosegue per il capoluogo. Catania Centrale: fine della mia corsa. Scendo riversandomi nel piazzale antistante, dove, come di consueto, i primi chioschi impegnati a imbottire pane con polpette di cavallo o spillare il fresco selz, sono prese d’assalto dai passeggeri in arrivo e partenza. Come ultima tappa di un piccolo tour calabro/siculo ho scelto proprio lo stadio Cibali, luogo indubbiamente suggestivo e ricco di storia, nonché semplicemente bello da raggiungere a piedi grazie a una passeggiata che, dallo scalo ferroviario, ti permette di tagliare in mezzo a buona parte del centro storico. Avversaria di oggi quell’Altamura che capita nuovamente sulla mia strada di “partitellaro”. Un confronto atipico, che suscita in me una discreta curiosità; intuisco potrà essere la ciliegina sulla torta di alcuni giorni trascorsi in maniera selvaggia, a tu per tu con il territorio, sacco a pelo alla mano e senza voler minimamente scendere a compromessi con alcun circuito turistico.
Il calcio d’inizio è fissato per le 17:30 e quando mancano un paio d’ore per le strade già sono in molti a sfilare con sciarpe, maglie e bandiere a bordo di motorini o a piedi. Passeggio tra la Cattedrale, concedendomi la classica sosta sotto ‘U Liotru (il celeberrimo elefante, simbolo della città), percorrendo Via Etnea fino al Parco Bellini e tornando infine indietro tra Via dei Crociferi, l’Odeon, il Teatro Romano e il Castello Ursino. Un fugace giro che faccio ogni qual volta mi trovo in quella che, a metà ottocento, molti appellavano come la Sicula Atene a causa della sua fortissima vocazione commerciale, nonché dei suoi importanti trascorsi ellenici. Spesso capita di camminare e sentire sotto lo scarpe lo scricchiolio della cenere proveniente dall’Etna. In questi casi capisci appieno il coro intonato allo stadio dagli ultras rossazzurri “Siamo figli del Vulcano, con la lava nella vene” e assapori ancor più la particolarità di un posto che nel raggio di pochi chilometri riesce a racchiudere davvero un infinito patrimonio di bellezze artistiche, culturali, naturalistiche e culinarie. Terminato il momento “turistico”, posso avviarmi verso lo stadio, passando per l’immancabile Piazza Dante, dove sul muro campeggia lo striscione per Fabrizio Lo Presti, che andò a sostituire il medesimo murales cancellato dal comune. Metro dopo metro le strade si fanno sempre più piene di tifosi catanesi e osservando per l’ennesima volta la collocazione dell’impianto nel popoloso e popolare quartiere Cibali, penso a quanto lo stesso sia retrò e capisco perché, storicamente, per gli avversaria sia sempre stato una trappola. Ma a prescindere dal discorso “disordini”, penso che chiunque ami il pallone, anzi soprattutto ciò che esso è stato, non possa non emozionarsi nel vedere questo tempio che sa di vita e vecchi tempi. Qua la commercializzazione sottoforma di store, ristoranti e negozi all’ultima moda è davvero un qualcosa di lontano anni luce. Al massimo si può trovare qualche panetteria che per pochi euro ti sfama alla “sicula maniera” oppure i classici negozi di quartiere, dove sulla soglia esercenti divertiti osservano la folla dirigersi verso le gradinate.
Mancano quaranta minuti al fischio d’inizio quando varco la soglia del prefiltraggio e arrivo nella pancia dello stadio, dove uno steward controlla il mio nominativo in lista e mi lascia entrare. La pista d’atletica è sempre un toccasana per chi deve scattare le tifoserie, permettendo liberi movimenti e regalando una prospettiva più ampia e agiata rispetto a quando i settori sono attaccati al manto erboso. Benché non sia la prima volta che metto piede al Massimino, mi piace sempre fare un paio di giri del campo, per sentire i rumori dello stadio in fase di afflusso, leggere i numerosi striscioni che attestano quanto il Catania sia amato e seguito in tutta la provincia e vedere gli ultras montare lentamente pezze e striscioni. Gli spettatori saranno ufficialmente 17.685, numeri a dir poco importanti per una squadra che, sebbene si presenti ai nastri di partenza come competitiva e ostica, non ha di certo la matematica della promozione in tasca. E in questa Serie C, si sa, se non si vince il proprio girone bisogna affidarsi alla lotteria dei playoff, che spesso comporta colpi micidiali, con eliminazioni a sorpresa al primo turno e numerose gare da disputare dopo la stagione regolare. Insomma, tutto questo per dire che qua siamo di fronte a un atto di fede figlio dell’evidente amore di una città per il calcio e la propria squadra. Nell’epoca in cui è più facile allontanarsi dalle gradinate, questo è un segnale eloquente.
Non essendoci alcun rapporto tra le due tifoserie, a differenza di come avviene molte volte a queste latitudini, al mio ingresso trovo già gli altamurani al loro posto. I murgiani, arrivati in Sicilia con bus, aerei e macchine private, hanno staccato un totale di centoquaranta biglietti. Un numero di tutto rispetto se si considerano la distanza (497 chilometri) e le ataviche difficoltà che un viaggio tra la Puglia e l’isola normalmente prevede. Isola da cui mancavano da sette anni, vale a dire dallo spareggio di Eccellenza giocato – e vinto – contro l’Acireale nel 2017. Anche allora i biancorossi si mossero i buoni numeri, confermando quanto lo zoccolo duro fosse già formato e radicato, pronto a fare quel balzo che poi negli anni ha compiuto, arrivando al professionismo forse nel momento più consono. Chiaro che la gara del Cibali per molti ragazzi – ma anche per qualcuno con i capelli brizzolati – sia un evento. Per chi ha seguito tutta la scalata degli ultimi anni, dai campi polverosi della provincia barese al gradino più alto del dilettantismo nazionale, approdare in uno stadio che fino a qualche anno fa vedeva protagoniste le grandi del calcio italiano, è ovviamente suggestivo. Sebbene mi senta di dire che l’ottima presenza numerica non sia propriamente figlia del singolo evento, quanto di un percorso netto e graduale che ha coinvolto gli ultras altamurani e che è facilmente riscontrabile nelle performance degli ultimi anni. Inoltre, last but not least, la quantità non è mai sinonimo di qualità, vero, ma a in talune occasioni suggella alla perfezione un ottimo stato di forma.
Quando le squadre fanno il loro ingresso in campo le due curve etnee e il gruppo situato in Distinti, ricordano Angelo “Bomboletta”, esponente della Falange deceduto nel 2014 in un terribile incidente stradale. In Sud appare un lunghissimo striscione con il suo volto, mentre la Nord, dopo il messaggio stampigliato su carta, effettua un minuto di silenzio in sua memoria. Dopodiché gli ultras del Catania cominciano a sostenere i propri colori a gran voce. Il repertorio è sempre lo stesso: mani, pirotecnica, tantissime bandiere, cori a rispondere ed esplosione dello stadio ai due gol che, alla fine, regaleranno i tre punti ai padroni di casa. Il ruggito del Cibali è senza dubbio un qualcosa che rimane ben impresso e, complessivamente, le due curve si mettono in evidenza con una bella prova, dove davvero non manca nulla. In questo catino ribollente per i tifosi ospiti non è certo vita semplice, eppure i ragazzi con le sciarpe biancorosse si compattano dietro alle proprie pezze e, successivamente alla solita, bellissima, sciarpata, offrono una gran bella prova, non smettendo neanche un secondo di cantare, muoversi, sventolare e alzare al cielo i propri stendardi. Uno stile consolidato da par loro, dove il colore dev’esser giocoforza l’elemento imperante durante i novanta minuti. Permettetemi di fare un plauso a questa scelta, pensando alla linea intrapresa da alcune tifoserie che prediligono un’attitudine curvaiola più “asciutta” o cupa, addirittura abbandonando talvolta i propri colori sociali.
Al triplice fischio tripudio di gioia per i tifosi catanesi, che salutano la terza vittoria consecutiva e sentono l’odore di alta classifica. La squadra allenata dall’ex giocatore della Lodigiani, Domenico Toscano, va a raccogliere il meritato applauso, sostando sotto le tre fazioni ultras presenti sulle gradinate, cantando e saltando con i tifosi, che ancora una volta si esibiscono con un vasto, e sempre bello, utilizzo di torce e fumogeni, intonando anche diversi cori contro gli storici rivali palermitani. Umore diametralmente opposto su sponda altamurana, dove la squadra viene contestata dai tifosi presenti, tanto da tornare indietro con la coda tra le gambe. Pur immaginando la delusione dei tifosi, personalmente mi viene anche da pensare, tuttavia, alle palesi difficoltà che il club pugliese ha dovuto affrontare in questo primo stralcio di torneo: giocare ogni partita “casalinga” al San Nicola è di fatto un handicap: sia dal punto di vista economico (ogni partita costa alle casse societarie ben 60.000 Euro, soldi sottratti al calcio mercato, per dirne una) che dal punto di vista ambientale (di fatto la Leonessa di Puglia sta giocando perennemente in trasferta).
Realizzo gli ultimi scatti, osservo le tifoserie ritirare gli striscioni e poi anche per me è ora di lasciare lo stadio e dirigermi lentamente – ma non troppo – verso l’aeroporto di Fontanarossa. L’esterno del Massimino è a dir poco un caos di macchine e motorini che, tra clacson e grida, sembrano preannunciare l’arrivo del sabato sera. Passando per Via del Plebiscito la presenza di bracerie, il fumo denso che sale sopra le griglie, e il vino che scende nei bicchieri di chi è seduto ai tavoli, mi indurrebbero quasi a lasciar partire il mio volo e rimanere qua a tempo indeterminato. Mi rendo conto che, però, non si può sempre cedere all’istinto godereccio. Ci sono volte in cui bisogna lasciar parlare a vuoto il cuore, accendendo il cervello e seguendolo fedelmente. Stavolta va proprio così. Una volta in aeroporto scopro, senza alcuna sorpresa, che il mio volo è in ritardo di mezz’ora. Poco male. Mi siedo ricaricando il cellulare e osservando i giocatori dell’Altamura arrivare alla spicciolata, posizionandosi davanti al gate per Bari. Quando l’orologio segna la mezzanotte passata, sono finalmente a Fiumicino. Stanco, con la voglia di dormire in piedi ma con la forte consapevolezza di aver ancora una volta qualcosa da raccontare. Il calcio continua a essere una delle più valevoli scuse per non fermarsi mai e conoscere approfonditamente la mia terra. Direi che potrebbe andare nettamente peggio!
Simone Meloni