E pensare che in origine avrebbe dovuto essere Dynamo Dresden-Hansa Rostock. Gara attorno a cui avevo programmato il mio fine settimana in Germania, poi naufragato per disparate ragioni. Cava de’ Tirreni è uno di quei posti dove si può venire a occhi chiusi quando si vuol respirare ultras e assistere a novanta minuti di bel tifo. E questo penso di poterlo dire a prescindere da quale squadra si tifi e di quale curva si faccia parte. Anche al di là della simpatia o antipatia che si può avere per la tifoseria blufoncè. Mettiamoci poi che in un girone dove regneranno divieti, settori ospiti limitati e innumerevoli quanto ridicoli allarmismi pur di evitare lo spostamento numeroso di tifosi, è cosa rara vedere una tifoseria al seguito dei propri colori. A maggior ragione se rivale dei dirimpettai, come nel caso odierno per i monopolitani. Insomma, se devo dirla tutta, il fatto che il mio viaggio in terra teutonica sia saltato non mi arreca così tanto dispiacere. Anche perché, con la scusa, mi concedo una giornata ultras al cento per cento, partendo da Roma di buona lena e facendo sosta in quel di Somma Vesuviana, dove nel pomeriggio va di scena la sfida di Coppa Italia Promozione tra Viribus Unitis e Pianura.

Il ritorno tra i professionisti ha ovviamente galvanizzato il popolo metelliano, che dopo la delusione patita due anni fa, con la sconfitta nello spareggio di Vibo Valentia con il Brindisi, è riuscito a tornare nel terzo gradino del calcio italiano. Quando arrivo nei pressi dello stadio manca un’oretta al fischio d’inizio e centinaia di tifosi si ammassano soprattutto nell’area attorno alla Curva Sud, cuore pulsante non solo del tifo ma anche e soprattutto dell’aggregazione cavese. Perché da queste parti il discorso stadio non riguarda esclusivamente i novanta minuti in campo ma si estende, giocoforza, al vivere la propria identità e i propri colori a trecentosessanta gradi. Del resto siamo in una zona stretta tra Napoli e Salerno. Vale a dire tra la terza città d’Italia, con la sua squadra seguita massicciamente anche oltre i confini regionali e Campione d’Italia solo due anni fa, e Salerno, piazza dove fino allo scorso anno si è giocata la massima categoria e che, con assidua costanza, frequenta i campi della cadetteria. Palese che non bastino gli anni di Serie B lontani ormai quasi quattro decadi per “giustificare” un simile attaccamento e una precisa concezione di curva che contraddistingue storicamente i cavesi. Dietro c’è un discorso costruttivo e argomentato, che avrò modo di toccare con mano anche in questa serata.

Ritirata la pettorina ed entrato agevolmente in campo, mi “concedo” una bella passeggiata lungo tutta la circonferenza della pista d’atletica, per respirare a pieni polmoni l’aria che spira dalle gradinate e ricordare con una certa nostalgia la mia prima volta in questo stadio: un Cavese-Taranto 2006/2007 segnato da pesanti incidenti nel settore ospiti. Pochi mesi prima che la mano della repressione cominciasse a distruggere ciò che fino ad allora ritenevamo normale (trasferte, striscioni, tamburi e megafoni). Tuttavia non amo piangere sul passato e, seppur rendendomi conto delle profonde differenze, cerco sempre di trovare spunti e riflessioni in ogni situazione. Anche perché il dato di fatto è che, a quasi diciannove anni di distanza da quella giornata, la parte di stadio che è rimasta in piedi e che – oserei dire miracolosamente – ancora attira e raccoglie nuove generazioni, è proprio la curva: cioè lo spazio che si voleva piallare da un giorno all’altro. Con le sue contraddizioni, con i suoi scontri intergenerazionali e con le sue falle. Ma la curva è ancora là, a Cava come altrove. E permettetemi di dire che in casi come quelli di Cava de’ Tirreni, un ruolo fondamentale l’ha giocato il voler costantemente diffondere la “cultura ultras”, lo spiegare ai giovani e ai “novelli” perché si facciano certe cose e perché, all’evenienza, si rinunci ad altre. Se da fuori la militanza e il modus vivendi degli ultras metelliani possono sembrare chiusi e refrattari verso l’esterno, io penso che in realtà abbiano un codice comunicativo pressoché perfetto. In grado di parlare e arringare alla perfezione la componente interna e a tenere in piedi, nel momento del bisogno, punti di contatto con la comunità e tutte le sue componenti. Vale a dire quando c’è bisogno di difendere la curva, la Cavese e Cava de’ Tirreni. Ma anche quando si vuol promuovere alcuni aspetti della vita curvaiola. Fanzine, striscioni e scritte. Basta farsi un giro per la città e comprendere quanto l’impronta della Sud sia parte integrante della stessa.

Tanto sono preso a osservare ciò che mi circonda, che neanche faccio caso alle due squadre, entrate in campo da qualche istante. Formazioni che osservano sessanta secondi di silenzio per onorare la memoria di Totò Schillaci, l’eroe di Italia ’90. Molto apprezzabile il fatto che quando il minuto di silenzio parte, come da italica usanza, molti spettatori comincino ad applaudire, venendo però zittiti dalla curva. Del resto, mi sono sempre chiesto: se si chiama “minuto di silenzio”, perché mai bisognerebbe applaudire durante e non dopo, come succede in ogni parte del globo terracqueo? Mistero dello Stivale che probabilmente resterà irrisolto per sempre! Fatta questa considerazione, è tempo di concentrarsi sulla sfida tra le due fazioni. I campani partono subito alla grande, con torce, fumogeni e cori che si mischiano dando vita al “solito” effetto ineccepibile. Sempre bello vedere che tra le fila dei presenti in Sud non esista un dress code e l’unica modello che viene preso a ispirazione continua a essere quello italiano. A tal proposito menzione speciale per i ragazzi al tamburo: dopo tanto tempo (l’ultima volta era stata a San Benedetto del Tronto lo scorso anno, ancora lo ricordo nitidamente!) risento questo strumento suonato come si deve. Senza ritmo infernale e sconnesso dai cori, ma con l’intento di forgiare gli stessi e non sovrastarli. Sono onesto: a me il tamburo piace, ma negli ultimi anni, quando lo sento suonato alla polacca, quasi preferirei non ci fosse. Più in generale: c’è un eccesso di utilizzo sia del suddetto strumento che del megafono, anche presso tifoserie che si presentano in poche unità e dove sarebbe sufficiente un semplice coordinamento dei cori, con la voce ritmata dalle mani.

Quando le due squadre sono già da qualche minuto impegnate nella contesa, ecco apparire nel settore ospiti gli ultras pugliesi. In riva all’Adriatico sono stati venduti un centinaio di tagliandi, cifra più o meno standard con cui i monopolitani seguono il Gabbiano in trasferta. Fortunatamente per l’occasione il comparto di menti eccelse che forma e dirige l’Osservatorio non ha imposto tessera del tifoso e altre limitazioni, pertanto la gara, per certi versi, viene giocata alla “vecchia maniera”. Ovviamente l’ingresso dei biancoverdi viene salutato dai campani con diversi insulti, legati più che altro alla vecchia amicizia che legava i monopolitani agli eterni nemici di Salerno. E sebbene le cose oggi siano radicalmente cambiate ed esista una solida amicizia tra alcuni gruppi pugliesi e alcuni napoletani, il passato non è propriamente materia che viene dimenticata e snobbata dagli ultras. Superate le prime schermaglie, anche il contingente adriatico si sistema dietro le pezze di tutti i gruppi e comincia a sostenere a gran voce le proprie maglie. L’ultima volta che mi sono trovato di fronte ai monopolitani è stata a Catania, lo scorso anno. Una serata che confermò quanto di buono avevo percepito già in passato vedendoli. In fatto di tifo, infatti, credo che i biancoverdi siano una delle migliori espressioni della propria regione: sempre costanti, colorati, con il materiale curato e bravi nel leggere i momenti della partita. Sicuramente pagano, in termini numerici, anni in cui l’armonia e l’unità tra i gruppi sono venute meno, non contribuendo ad aggregare. Ma al netto di questo che può essere un limite, soprattutto per il futuro della tifoseria, per il resto la loro prova è davvero ineccepibile per tutti i novanta minuti, condita inoltre da diverse torce e anche un paio di “bomboni”, che suonano come provocazione nei confronti dei dirimpettai.

Su fronte metelliano, come accennato, la prova si attiene ampiamente sugli standard – elevati – della Sud. A prescindere dall’intensità del tifo, va anche sottolineata una cosa che ormai si sente ben poche volte in giro: l’originalità dei cori. La maestria nel rendere belle, porcherie come “Fragole, Panna e Champagne” di Achille Lauro e Rose Villain e anche altre hit estive meriterebbe, da sola, il classico premio della critica conferito annualmente a Sanremo. Durante la sfida viene esposto anche uno striscione per Denis Bergamini, ex calciatore del Cosenza trovato morto nel 1989 sulla Statale 106 e inizialmente archiviato come suicidio. Un caso che è stato riaperto, su grande pressione dei familiari e anche della tifoseria bruzia, negli ultimi anni, fino a far rivedere completamente la sentenza; nella speranza che il ragazzo abbia un minimo di giustizia.

Qualche paragrafo più su parlavo dell’importanza di comunicare con la propria tifoseria, con i ragazzi che settimanalmente vedono davanti ai propri occhi persone spesso più grandi impegnate con il megafono in mano. Perché se a livello fotografico e visivo può piacere una curva tutta vestita di nero, fatta di gente imbronciata e dalla postura “cattiva”, brava a vendersi su TikTok e a distruggere totalmente quello “spontaneismo organizzato” che ci caratterizza da oltre cinquant’anni, che si rifà ai modelli più militarizzati dell’Est Europa (neanche di quella balcanica, dove il movimento ultras affonda le radici in un passato di tutto rispetto), nella realtà dei fatti sono i contenuti veri, quelli che si trasmettono lontani dai grandi schermi, a rimanere. A contare. A fungere da palestra di vita. Se una curva – e non parlo solo di quella cavese ovviamente – decide, per esempio, di non tesserarsi e non ricorrere alle autorizzazioni per il materiale, non sarà sufficiente (e non sarebbe neanche giusto) “applicare” questa linea e pensare che chiunque frequenti la curva la debba e la possa accettare supinamente, senza neanche capire il perché. Anche perché “l’erba del vicino è sempre più verde” e nell’era dell’iper comunicazione tali decisioni vanno spiegate e divulgate, esattamente come ho visto fare a queste latitudini dai lanciacori, che al termine della gara, hanno ricordato come il divieto per la prossima partita in programma a Bari contro l’Altamura, sia figlio di un calcio che cerca sempre più di escludere i tifosi e che ormai bypassa anche la tessera e chi ce l’ha. E attenzione, non sta certo a me giudicare chi ha fatto le sue scelte sulla tessera come su altri argomenti, credo che ogni realtà abbia i suoi equilibri e sappia cosa sia meglio per la piazza e per rimanere in piedi. Ma di certo non possiamo giudicare negativamente chi ha deciso di mantenere determinate posizioni. Anche perché, alla lunga, il tempo gli ha dato ragione: trasferte vietate anche con tessera del tifoso e partite a rischio ormai giocate spesso a porte chiuse. Il dubbio che l’unità di intenti avrebbe quantomeno rallentato il processo, resta.

In campo il Monopoli riesce a fare lo sgambetto ai padroni di casa, ottenendo tre punti d’oro che proiettano momentaneamente i biancoverdi in testa alla classifica. Giustificata gioia ed esultanze sfrenate della squadra sotto al settore occupato dai propri tifosi. Ma ci sono applausi e cori di incoraggiamento anche su sponda blufoncè, dove c’è coscienza di quanto questo campionato sia lungo e irto di difficoltà e i passi falsi possano essere costantemente dietro l’angolo. Le fazioni si scambiano gli ultimi insulti della serata, per buona pace di tutti i chierichetti di questo pallone che vorrebbero stadi educati e sedie in pelle con popcorn e Coca Cola Zero vicino. Rimango ancora un po’ sul tartan della pista d’atletica a osservare la Sud, intenta a cantare per se stessa e per Cava de’ Tirreni. Dopodiché è il momento di riporre l’attrezzatura e cominciare a uscire. Mentre restituisco la pettorina penso che in fondo sono soddisfatto della serata, quasi sorpreso. Ma che ci sarebbe poco da essere sorpresi. Quando a essere protagoniste dei novanta minuti sono tifoserie come quelle di stasera, lo spettacolo e gli spunti sono a dir poco garantiti. Mi sento un po’ come quello che pensa di aver scoperto l’acqua calda, salvo poi aprire il rubinetto e accorgermi che qualcuno l’ha già ampiamento fatto prima di me!

Simone Meloni