Quella fra Cesena e Modena è probabilmente la partita più importante che si giocherà in riva al Savio in questa intera stagione calcistica, almeno dal punto di vista ultras. A meno che i bianconeri non dovessero riuscire nella folle impresa di battere l’Atalanta a domicilio e regalarsi i quarti di Coppa Italia contro il Bologna, l’unico avversario che nella scala dell’odio sportivo locale supera anche il diavolo in persona.
Per una serie di ragioni (essenzialmente per la gran mole di lavoro che essere il revisore delle bozze di Sport People comporta), arrivo lunghissimo su questa gara così particolare. Arrivo insomma a mente fredda su una serata vissuta a sangue caldo dai suoi protagonisti. Una specie di ossimoro narrativo, se mi si permette la licenza, che forse è uno di quei mali che non vengono solo per nuocere.
Si gioca al venerdì sera, anticipo della quinta giornata di Serie B a cui entrambe le tifoserie e le squadre chiedono lumi sul futuro. Il Cesena non sta dispiacendo troppo nel suo impatto con una categoria nuova e più impegnativa, fatta salva qualche ingenuità di troppo come quella costata la sconfitta a La Spezia, che tutti vorrebbero capire se è solo un peccato d’inesperienza o un vizio di forma. Si potrebbe invece totalmente invertire la prospettiva sul Modena di patron Stone Island, al secolo Carlo Rivetti, che potrebbe e dovrebbe imprimere un’altra marcia al suo campionato ma finora continua a stentare.
Arrivo dalla stazione questa volta, dritto dal lavoro per non perdermi l’inizio e non riesco ad apprezzare complessivamente il servizio d’ordine, che mi pare più o meno in linea con i precedenti (cioè onnipresente dopo i noti fatti in coppa Italia col Padova). C’è sicuramente una comprensibile tensione nell’aria che è palpabile anche all’interno, dove le due tifoserie tardano a prendere del tutto posto. Chi c’è comincia da subito a far volare le prime offese, copione che si ripete spesso in tutto l’arco dei novanta minuti in un triangolo chiuso dai casual cesenati in gradinata, per i quali certe contese nettamente contrappositive sono un po’ la loro simbolica zolla preferita.
Dopo aver chiamato “Tutto il Cesena sotto la curva” per caricarlo, la Curva Mare si cimenta nella classica sciarpata pre-partita sulle note di “Romagna capitale” in cui si vedono un paio di inconsuete bandiere della Romagna, un accento di identità che normalmente non c’è nemmeno il caso di sottolineare ma nell’ottica di questa sfida fra sub-regioni assume maggior senso e ragion d’essere. Quella cesenate non è notoriamente una tifoseria a cui piace stupire con effetti speciali ma nel consolidato solco della tradizione, propone il solito stuolo di bandiere, bandieroni e due aste, accompagnato questa volta da una bella torciata, mentre per la colonna sonora la scelta ricade su un altro classicone, l’inno “Forza Cesena”. Improbo è il compito che spetta ai padroni di casa ogni qual volta che tentano di esaltare i propri colori: non me ne vogliano gli innamoratissimi del bianco e nero ma cromaticamente è un’accoppiata che offre poco all’occhio, che quasi si mimetizza e proprio per questo, esattamente come capita per il materiale di Sconvolts e Santarcanzal, spicca tantissimo la nuova bandiera delle WSB su sfondo verde.
Il tifo vocale vero e proprio, dopo l’abbrivio iniziale finisce per essere caratterizzato più dalla continuità che dalla potenza. Discorso che si accentua ancora di più a seguito del vantaggio del Modena al 28′, dopo il quale solo i più testardi insistono con la voce mentre gli altri soccombono alle preoccupazioni del campo. Proprio sul rettangolo verde, il Cesena sembra molto meno brillante del solito, alimentando paturnie e disincentivando il tifo. La rete avversaria però sembra suonare da sveglia e finalmente gli uomini di Mignani cominciano a macinare gioco e guadagnare metri, fino al 40′ quando Bastoni prova dalla distanza e supera l’estremo canarino. Si sovvertono le forze vocali sugli spalti, potente è un “Chi non salta è un modenese…”, ci pensa poi il VAR a buttare altra benzina sul fuoco, assegnando un rigore per il Cesena che Shpendi realizza. Un tremendo 1-2 che ribalta il risultato e porta all’intervallo una Mare non proprio in stato di grazia ma sicuramente in crescendo.
E i modenesi? Dal punto di vista numerico davvero poco da dire, sono 1.610, ergo i più numerosi visti al Manuzzi. C’è anche colore da parte loro e tanto, favoriti al contrario da un abbinamento che risalta molto. Ancora più intelligente è la scelta, in seconda battuta, di spostare tutti i bandieroni nella parte bassa del settore, così da poterli sventolare ininterrottamente senza disperdere o far perdere in compattezza il proprio blocco. Nonostante tutto a cantare è un quadrato nemmeno numerosissimo a sinistra del tabellone luminoso. Si vede che anche qui l’importanza della posta in palio gioca brutti scherzi. Bella una sciarpata sul coro “I tuoi colori sventolo…” ma dura davvero poco: dopo il primo ritornello anche le sciarpe vengono sventolate e il bel tappeto di giallo e blu si dissolve. Tanti i cori offensivi, molti in più anche rispetto alla controparte: vengono usati inoltre come appiglio emotivo dopo il rigore che sovverte le sorti della gara ma la ridondanza risulta talvolta quasi stucchevole.
I numeri ci sono, la qualità anche ma fatica a venir fuori, idem nel secondo tempo quando i modenesi ci mettono un po’ prima di riuscire a ricarburare. Lo fanno con “Questo è un canto d’amor…” che viene tenuto alto molto a lungo e piano piano coalizza e rivitalizza tutti i presenti. Alla luce di questo secondo tempo meno potente e continuo, assume quasi maggior valore la prima frazione che m’era sembrata buona ma non esaltante.
Dopo una fase di forcing gialloblù, ci pensa Zaro al 55′ a far rialzare i decibel, saltando più in alto di tutti e segnando il pareggio che fa esplodere di gioia il settore. È il momento migliore per il Modena, che colpisce poco dopo uno traversa con Palumbo, e per i modenesi che giganteggiano fra cori in dialetto, battimani ritmati col tamburo e un “Io non ti lascerò, sempre con te sarò, Modena facci un goal” ben tenuto in termini di tempo e potenza. La sensazione è che gli emiliani abbiano in mano il pallino, cosa che influenza positivamente anche il tifo, almeno fino al suicidio di Caldara, che poi è un omicidio considerato la violenza con cui entra sul gioiellino cesenate Berti. Rosso per l’ex difensore di Atalanta e Milan e gara finita anche per il centrocampista bianconero infortunato. Finisce praticamente qui anche la gara del tifo modenese, sempre presente, sempre continuo ma mai più o quasi mai più così potente da renderli degni di nota. Si trascinano stancamente fino al triplice fischio di questa soffertissimo derby che avrebbe potuto sortire ben altri effetti ma che li lascia ancora così, appesi a metà classifica, molto più in basso di quanto serva per entusiasmarsi. Non mancano però gli applausi di incoraggiamento a fine gara ai propri ragazzi. Non manca nemmeno l’ennesimo “Romagna mia” in chiave offensiva, un tentativo poco proficuo di rialzare i toni in questa serata in cui, anche sugli spalti, in parallelo a quanto successo sul rettangolo di gioco, c’erano tutte le condizioni per fare benissimo ma s’è finito per fare benino. Nella patria del tifo, “a noi della partita ce ne frega molto più di un c*zzo”, parafrasando al contrario il coro e vivaddio che sia ancora così,che non ci siamo definitivamente trasformati in stupidi robot vestiti di nero che cantano a batteria. Non è una questione di muscoli, è una questione di cuore e questo fa tutta la differenza del mondo.
Sui cesenati nel secondo tempo si può fare più o meno lo stesso discorso dei modenesi, ma con tempistiche ovviamente invertite a seconda degli eventi. La frazione inizia con un coro per mister Bisoli oggi sulla panchina degli arci-rivali, cosa che non cancella la gratitudine e i tanti bei ricordi in quella travolgente cavalcata dalla C alla A del 2010, promozione in massima serie poi bissata in una seconda occasione nel 2013-14. Fra le note di cronaca del tifo, si annota qualche inusuale bomba carta che evidenzia ancor più quanto diversamente sentita sia questa partita. Il tifo c’è, persino più continuo dei dirimpettai ed esercita la legittimante supremazia territoriale in termini di potenza; abbondante la pirotecnica e imperterrito lo sventolio di bandiere e i battimani. Rispetto ai primi quarantacinque però, registra un deciso passo indietro, condizionato da una gara in cui i propri ragazzi in campo sembrano in balia dell’avversario. Anzi se non fosse sopraggiunta l’espulsione di Caldara, probabilmente le cose sarebbero andate ben diversamente. E vista la precedente sconfitta in superiorità numerica in casa dello Spezia, lo stesso spettro ha aleggiato fino al triplice fischio finale, specie sulle palle alte che restano l’evidente tallone d’Achille della retroguardia romagnola.
Oltre che con il primo tempo, il passo indietro è evidente in rapporto alle prime due uscite interne contro Carrarese e Catanzaro, dove molto più convincente e ben diverso era stato il loro piglio. I numeri restano ugualmente importanti, il potenziale significativo e sulla falsariga del discorso fatto poc’anzi, significativa è stata anche la gara in sé, con il suo carico di aspettative, la paura di perdere, le emozioni che finiscono inevitabilmente per mettere in subordine qualsiasi velleità ultras, considerato che qua sono ancora tifosi della squadra e non attori in recita in abiti da sartoria. Perdonate la ripetizione.
Testo di Matteo Falcone
Foto di Matteo Falcone e Giangiuseppe Gassi