Quando il pullman mi lascia nei pressi del Palazzetto dello Sport di Pesaro, l’alba ancora deve sorgere e solo i primi spiragli di luce cominciano a intuirsi all’orizzonte. Per essere metà febbraio fa tutto fuorché freddo, così la camminata obbligata (per l’assenza di autobus) di quasi cinque chilometri fino alla stazione, scorre tutto sommato piacevolmente. Anzi, c’è anche il tempo per un giretto nel centro storico del capoluogo, in attesa del mio treno per Fano. La bellezza di giornate come questa sta tutta nel poter vedere – in un ristretto fazzoletto di terra – mare, colline, bellezze artistiche, calcio, tifoserie e spezzoni di ferrovia dismessi (come avrò modo di raccontare). Sono piccole gioie, per carità, ma insieme mi danno la spinta di vivere appieno la domenica. Giorno che, paradossalmente, finirei per odiare se tutto ciò non esistesse.

Sono sufficienti sette minuti di treno per coprire la distanza che intercorre tra Pesaro e Fano. Un lasso di tempo talmente breve che neanche mi siedo, preferendo rimanere in piedi attaccato alle porte che danno sull’Adriatico, osservando con attenzione e rispettoso silenzio la distesa che le prime luci del mattino rendono grigia argentata. Ferma, calma. Quasi immobile. Sempre suggestivo pensare che qualche centinaia di chilometri più in là ci siano i Balcani, corridoio che popoli e culture hanno percorso dopo aver imboccato la varie porte per l’Oriente poste sul nostro territorio. Ma quest’oggi la mia destinazione volge verso l’interno e se posso raggiungerla – considerata l’assenza di mezzi pubblici nei giorni festivi – è solo ed esclusivamente grazie a Francesco, dirigente del Fossombrone e profondo appassionato di calcio locale. Non lo faccio mai, ma stavolta il ringraziamento è doveroso. Senza di lui avrei dovuto cambiar meta. Tra una chiacchiera e l’altra imbocchiamo la superstrada 73 bis, anche detta di Bocca Trabaria (dal valico che divide la Valle del Metauro da quella del Tevere). Un’arteria che congiunge l’Alta Valtiberina a Fano. Sono poco meno di trenta i chilometri da percorrere per raggiungere Fossombrone, il centro più importante della Val Metauro, per l’appunto.

Per strada non c’è praticamente nessuno e in venti minuti arriviamo in centro. Si respira a pieni polmoni l’aria della provincia italiana. Calma, paciosa e pronta a offrirmi una mattina rinfrancante. Siamo in una zona cruciale dal punto di vista della viabilità, sin dal passato remoto. Basti pensare che già popoli italici quali i piceni si stanziarono qui, sfruttando le vie della transumanza e la vicinanza al mare. Successivamente, con l’avvento dei romani e la costruzione della Via Flaminia (strada che collegava Roma alla zona adriatica della Pianura Padana), i primordi del centro abitato conobbero una significativa espansione, dando vita a Forum Sempronii – di cui oggi restano importanti testimonianze custodite nell’omonimo sito archeologico posto poco fuori città -, urbanizzazione che deve il proprio nome al tribuno Gaio Sempronio Cracco, capitato da queste parti nel 133 a.C. per l’applicazione della legge agraria. Resta, dunque, la radice profonda di quelli che già Plinio Il Vecchio appellò come forsempronienses, nome che ancora oggi accompagna gli abitanti di Fossombrone e che sovente è tornato anche nella narrazione calcistica autoctona. Il solito legame tra storia, calcio, cultura e folklore che incredibilmente si ritrova anche negli anfratti più sperduti del nostro Paese. E questo rimane l’aspetto più affascinante, malgrado tutto.

Sono le 9 e Corso Garibaldi è praticamente deserto. Mi inoltro scorgendo giusto un paio di pasticcerie operative, dove qualcuno è intento a fare la fila per il dessert domenicale. Dopo la magnifica chiesa barocca di San Filippo Neri e la Cattedrale da cui successivamente mi inerpicherò verso la Rocca Malatestiana, tiro dritto fino al Ponte della Concordia, che maestoso di staglia sul corso del Metauro. Scendo fin sulle sue sponde, perché voglio sentire il rumore del corso e osservare da vicino lo stuolo di pescatori intenti a controllare le proprie canne. Ridono e scherzano tra loro e come spesso mi capita, mi concentro ad ascoltarne gli accenti: siamo in una delle regioni d’Italia più particolari da un punto di vista fonetico, basti pensare che nelle Marche convivono ben tre ceppi linguistici: il gallo-piceno, l’italiano mediano e l’italiano meridionale, figli ovviamente dell’evoluzione antropologica e delle influenze attigue che riguardano questa regione. L’area dove è situata Fossombrone appartiene al primo raggruppamento, ed ha l’evidente caratteristica di richiamare un po’ al romagnolo e un po’ all’umbro (per voler semplificare un argomento che davvero richiederebbe un articolo a parte). Mi limito a dire – perché a più riprese poi sottolineerò quanto importanti siano talune strade – che l’attuale distribuzione dialettale coincide con i differenti modi in cui la lingua latina è penetrata su territorio marchigiano durante il dominio romano. Una distribuzione pedissequa alle tre grandi strade che da Roma si inoltravano verso l’Adriatico: la Salaria per la parte meridionale, la variante della Flaminia che percorreva la Valle dell’Esino per la parte centrale e la Flaminia per quella settentrionale. Una latinizzazione che prese forma in modi differenti, con città come Fermo (Firmum) che sin da subito si dichiararono alleate e fedeli ai romani e altre che ne combatterono l’occupazione. Nel primo caso il latino si fuse con gli idiomi preesistenti. Questo per dire quanto il dialetto vada visto e studiato con rispetto, perché specchio di una cultura e custode del nostro passato.

Nel mentre una masnada di ciclisti sfila per il centro del paese, evidenziando come questa zona sia a dir poco presa d’assalto dagli amanti delle due ruote. Del resto le Marmitte dei Giganti, alveolo naturale creato dal fiume a pochi chilometri da qui, rappresentano uno dei luoghi “cult” per i forsempronesi e non. Peraltro un’ottima alternativa al mare in estate, quando ci si vuol riprendere dalla calura. A questo punto risalgo verso la Rocca, sostando per qualche minuto su una panchina attigua alla cattedrale, da dove osservo con un certo interesse il lavoro di una vecchietta alle prese con il bucato e lo sguardo fermo di un signore seduto su una sedia, proprio davanti all’uscio di casa. L’armonia mi porta quasi a chiudere gli occhi, la notte insonne si fa sentire a tratti, ma non le è permesso prendere il sopravvento. Quindi si riparte passeggiando per le stradine medievali, quelle costruite sull’attuale collina, dopo che Forum Sempronii subì diversi attacchi e devastazioni, in particolar modo quella dei Goti di Alarico, che stando alle stime del tempo marciarono sulla città con oltre centomila uomini, donne e bambini pronti a saccheggiare ogni cosa per ovviare ai loro problemi di approvvigionamento delle materie prime.

Di fatto la ricostruzione sulla collina coincise anche con il passaggio di Fossombrone sotto il controllo dello Stato Pontificio, il quale – a sua volta – demandò la gestione del territorio ai Malatesta, con i quali, per l’appunto, la rocca venne ampliata e potenziata. Certo, l’edificio arrivato ai giorni nostri è molto diverso rispetto a quello originale, questo perché ha inizialmente subito le diverse modifiche parallele alle famiglie e ai personaggi che la Chiesa e il Ducato di Urbino misero a comando della città e, soprattutto, perché in uno di questi passaggi (disputa tra Guidobaldo da Montefeltro e Cesare Borgia) venne parzialmente demolita, rimanendo pericolante per secoli e venendo rimessa in sicurezza e salvaguardata solo negli anni sessanta del novecento. Sta di fatto che salendo per le stradine della cittadella la mia visuale si apre sempre di più sulla Valle del Metauro e sull’orizzonte che guarda a Fano e dunque al mare. Penso a quanto siano lontani i caotici rumori di Roma e la sua frenesia, ma anche a come riescano le persone del posto a vivere ancora con ritmi umani, non investiti dall’esigenza di doppia velocità a cui i nostri tempi sembrano costringerci. Fa caldo e una volta arrivato in cima sono costretto a togliermi la giacca per rifiatare. Prima di tornare giù e osservare maestosi la Corte Alta (vale a dire il Palazzo Ducale), la Corte Bassa e quella Rossa (residenze dei duchi di Urbino). Mi piange un po’ il cuore sapere che spesso a questi luoghi diano più importanza e cura investitori e cittadini non italiani, lasciando intendere quanto noi ormai guardiamo con disincanto talune bellezze.

Esattamente come mi piange il cuore, nel mio girovagare, imbattermi nella defunta ferrovia Fano-Urbino. Uno di quei “rami secchi” che le Ferrovie dello Stato hanno preferito chiudere (nel 1987) senza un minimo di lungimiranza (infatti, ad oggi, per raggiungere la parte interna della provincia di Pesaro di domenica, bisogna sperare di conoscere qualcuno!), sebbene l’armamento rimanga ancora intatto, con binari e stazioni che sono ben visibili, la maggior parte delle quali tenute bene e curate dall’Associazione Ferrovia Valle del Metauro, che da inizio anni duemila si è battuta per il ripristino della linea (dichiarata, purtroppo, ufficialmente dismessa nel 2011), organizzando anche diversi trasporti a scopo turistico. Insomma, una delle tante storie di “lungimiranza” italiana in fatto di trasporto! Una contraddizione in termini se si pensa, come detto, all’importanza che questa zona ha sempre rivestito per gli spostamenti e per i trasporti. Laddove popoli italici e romani costruirono arterie fondamentali, sopravvissute – almeno nei tracciati – anche ai giorni nostri, l’Italietta del trasporto su gomma a tutti i costi non è stata capace di salvaguardare una strada ferrata e valorizzarne il percorso. Sia in termini turistici che di vita quotidiana.

A proposito di luoghi dismessi e desueti, la mia attenzione non può che essere catalizzata dal cinema posto proprio all’inizio del Corso Garibaldi, altro simbolo dell’Italia che fu e che in questi luoghi costruiva la propria aggregazione e la propria socialità. Senza voler fare i passatisti, fa però un certo effetto pensare che in un paese di appena novemila anime, fino alla fine degli anni ottanta ci fossero ben due cinema. Ma soprattutto questo aspetto collide prepotentemente anche con il calcio. Perché? Presto detto: il 16 giugno del 1949 alcuni appassionati della sfera di cuoio si riunirono presso il Cinema Italia, decidendo di dar vita al primo sodalizio cittadino, in grado di raccogliere tutti quei giovani che già nel periodo bellico avevano cominciato a praticare questo sport, essendo tuttavia costretti a “emigrare” nei comuni circostanti, dove esistevano già primordiali compagini. Sono anni difficili per l’Italia e anche questa zona ha subito ingenti danni a causa dei bombardamenti Alleati. La povertà e la voglia di ricostruzione prevalgono, ma ovviamente lo sport riesce a fungere da collante e a risollevare l’umore dei giovani. I turchini (così vengono inizialmente ribattezzati i calciatori forsempronesi, prendendo spunto dal colore delle loro maglie) disputano inizialmente amichevoli e tornei non ufficiali. Nel 1953, per la prima volta, anche Fossombrone si iscrive a un campionato riconosciuto dalla Federazione, quello di Prima Divisione. È, de facto, l’inizio di una storia che per tanti anni volteggerà alla ricerca del grande salto, dell’approdo in Serie D, del confronto con le realtà più importanti della regione e del circondario. Va specificato come il club nasca in veste di Polisportiva. La Polisportiva Forsempronese, nome con cui qualcuno la identifica tutt’oggi, sebbene successivamente la sezione calcistica (2002) si staccherà, dando vita al Fossombrone Calcio.

Se a più riprese la Serie D viene sfiorata negli anni ottanta, con ottimi piazzamenti in Promozione (ancora non esisteva l’Eccellenza), il sogno sembra non poter mai essere realizzato. Sempre in quel decennio viene inaugurato il nuovo stadio (che verrà poi intitolato al compianto presidente Marcello Bonci), in sostituzione del vecchio impianto comunale (oggi riadattato a terreno di allenamento con manto sintetico), allora privo di spalti in favore di una cosa molto utilizzata in passato: il prato. In realtà anche il nuovo stadio inizialmente non può avvalersi dell’attuale tribuna in cemento, che sarà costruita successivamente. Al suo posto le più spartane tribune in ferro. Sta di fatto che per raggiungere l’agognato gradino più alto del calcio dilettantistico, gli sportivi forsempronesi dovranno aspettare gli anni duemila che, oltre alla scissione della costola calcistica della polisportiva, porterà alla guida del club il noto stilista Dirk Bikkembergs. Un cambiamento epocale, che porta in città entusiasmo e ovviamente una discreta liquidità, che di conseguenza alza l’asticella degli obiettivi. Il club, per qualche tempo, viene anche rinominato Bikkembergs Fossombrone (scelta che personalmente trovo fuori luogo e anti-storica) e nel 2009 vince il proprio girone di Eccellenza conquistando la promozione in D. L’anno successivo, tuttavia, il sodalizio non riesce a salvarsi e Bikkembergs lascia il timone. Passeranno ben tredici anni prima che il Fossombrone riesca a ritornare in Serie D, battendo nella finale dei playoff nazionali, lo scorso anno, i piacentini dell’Agazzanese e festeggiando così la promozione.

In quanti posti del Mondo si può avere la certezza di trovare tifo organizzato, seguito e attaccamento anche in un paese di novemila abitanti dell’entroterra, dove magari si potrebbe preferire di gran lunga il calcio mainstream? Sicuramente in pochi, soprattutto se ci togliamo dagli occhi le immagini di folle al seguito di club blasonati e per certi versi omnirappresentativi. Se è vero che oggi è il grande giorno, perché arriva la Sambenedettese e le sciarpette rossoblù già invadono il corso e le osterie, è altrettanto vero che la piccola tribuna del Bonci fa registrare sempre ottimi numeri e i ragazzi che seguono dietro lo striscione del Botty Club non fanno mancare il loro sostegno in casa e trasferta. Si respira un’aria buona, lontana anni luce dal prodotto calcio venduto ormai nelle grandi piazze e che lentamente sta provando a espandersi anche nel resto del football professionistico. Per una domenica sono davvero contento di dar priorità a dei sublimi tortelloni, a un salutare goccio di vino e alle chiacchiere scambiate sul calcio in generale anziché esser risucchiato in qualche grande evento da sessantamila persone che alla fine, sovente, non mi lascia altro che un sapore di plastica. Più che altro in questi casi ci si ricorda di quanto questo sport sia umanità e possibilità di conoscere, accrescendo indirettamente la propria persona e scoprendo nuovi luoghi e nuove storie. Sono lontano oltre trecento chilometri da casa grazie a una passione che, tutto sommato, non è nociva né comune. Non sono mai soddisfatto del mio percorso di vita e di rimorsi ne ho tanti, ma in questi casi tendo a respirare a pieni polmoni un tempo che purtroppo passerà velocemente, ma che rimarrà impresso per esperienza e qualità.

Quando mi avvio verso lo stadio manca più di un’ora al fischio d’inizio, eppure metro dopo metro si intravedono sempre più piccoli assembramenti di sambenedettesi che raggiungono alla spicciolata il loro settore. In totale sono trecentocinquanta i biglietti venduti, più qualche decina di tifosi che occuperà la parte laterale della tribuna (settore che in totale può ospitare circa mille persone). “Svoltando” verso l’ingresso casalingo mi imbatto dapprima nel vecchio campo di gioco, che come detto è stato tramutato in terreno di allenamento, e poi negli ultras di casa che stanno preparando tutto il loro materiale, prima di fare il proprio ingresso nel settore. Ma chi sono questi ragazzi che seguono i colori biancoblu e si identificano dietro lo striscione Botty Club? Il nome particolare suscita in me la prima curiosità, così scopro che l’idea di formare un seguito organizzato per il Fosso nasce nel 1994, da una compagnia (cricca, comitiva, crew: chiamatela come il vostro slang richiede) che si ritrovava presso un frequentatissimo locale cittadino il cui proprietario era detto Il Botti, prendendo “in prestito” il simbolo di Lupo Alberto senza una ragione in particolare, ma semplicemente perché utilizzato da diversi gruppi negli anni novanta (impossibile, per me, non citare gli Official Fans Lodigiani, che al centro del proprio striscione avevano il personaggio per fumetti disegnato da Silver). Per qualche anno l’attività del gruppo viene poi sospesa e cinque anni fa le nuove generazioni provano – e riescono – lentamente a riprendere il discorso. Sempre dietro la stessa insegna e con la rinnovata voglia di far primeggiare il nome della propria tifoseria in ogni stadio, aggregando diverse compagnie del paese. Con il ritorno degli ultras riprendono anche vita alcune vecchie rivalità come quelle con Senigallia (iniziata tanti anni fa in ambito cestistico e poi traslata sul manto verde) nonché quelle con le vicine Urbania e Urbino, le quali ovviamente affondano le proprie radici in ambito storico (l’Italia dei comuni, dei ducati e dei piccoli stati identitari sotto questo aspetto non è mai morta!).

C’è palese fermento, anche per la coreografia che i ragazzi hanno preannunciato nei giorni precedenti e che a breve vedrò esposta. Mi innesto nel serpentone biancoblu, facendo il doveroso pit stop presso l’improvvisata quanto bellissima “biglietteria” casalinga, composta da un tavolo dove sono appostati una signora e un ragazzo che rilasciano i tagliandi dopo aver ricevuto il denaro. Non c’è bisogno di esibire alcun documento, non serve tirar fuori nessun QR code e – salvo per gli ospiti – non bisogna consultare alcun sito. “Dare soldi, vedere cammello”, vecchia regola del mondo che fu. La scena mi piace così tanto che chiedo il permesso per poter scattare una foto, dopodiché mi dirigo agli ingressi per i controlli di rito e in men che non si dica sono sul prato verde.

L’impianto è davvero gradevole, con l’unica tribuna ben costruita e il resto del perimetro circondato da sempreverdi, il tutto incastonato in quella che sembra essere una fossa. Unico neo il sole contro per scattare le tifoserie, ma durante la gara cercherò di ovviare anche a questo disagio. Da un punto di vista calcistico è una sfida delicata, in cui è senza dubbio la Samb ad avere il compito più difficile, dovendo vincere senza appelli per mantenere il passo del Campobasso. Il Fossombrone sinora ha disputato un buon campionato, tenendosi distante dalla zona salvezza e dando filo da torcere a tutte le avversarie. Il Girone F di quest’anno per certi versi è una sorta di Serie C2, con piazze e tifoserie storiche e sodalizi ben attrezzati. Questo, chiaramente, gioca un ruolo fondamentale anche nella bellezza delle sfide, che domenica dopo domenica offrono confronti di tutto riguardo.

L’arrivo dei sambenedettesi coincide anche con l’aumento dei dispositivi di sicurezza. Agli ingressi è immancabile la videocamera che riprende l’afflusso dei rivieraschi, mentre fa sorridere il siparietto tra un anziano poliziotto che se la prende con un calmissimo tifoso, reo di aver dimenticato nelle tasche un oggetto di uso comune che allo stadio diviene contundente. La risposta di quest’ultimo è palese quanto a prova di Q.I.: “Ma se lo volevo portare di proposito secondo te me lo trovavi così in tasca?”. L’inutile irritazione dell’agente contrasta, invece, con il sorriso di un suo collega più giovane che, vedendomi intento nel fotografare mi chiede scherzosamente se si debba mettere in posa. Sintomo di come, in realtà, la gara odierna sia davvero tranquilla e solo un eventuale – quanto inutile – nervo scoperto del servizio d’ordine possa renderla problematica. Nel frattempo gli ultras rossoblù si sono sistemati dietro le loro consuete pezze e li noto mentre distribuiscono bandierine con i colori sociali, che andranno a salutare l’ingresso in campo delle squadre.

I ragazzi del Botty Club, dall’altra parte, stanno preparando al meglio il telone che dovrà salire tra qualche minuto, disponendo la gente ai lati per fare alzare i cartoncini che vedo consegnare nelle mani dei tifosi. Devo dire che la riuscita non sarà affatto malvagia, anzi: il telone – con scritta e disegno fatti a mano, cosa tutt’altro che scontata – fanno davvero una bella impressione, così come i cartoncini ai lati, che tutto sommato vengono alzati con ordine. Molto meglio di tante altre occasioni, in cui anche curve più blasonate hanno finito per utilizzare a sproposito questo strumento coreografico. Ricordiamo: Fossombrone, circa novemila abitanti, una squadra che si è quasi sempre barcamenata nel calcio regionale e una tifoseria che ovviamente non può contare su numeri grandiosi. Ma in questi casi la differenza la fanno voglia, creatività e attaccamento ai propri colori. Ero molto curioso di vedere all’opera questi ragazzi, conscio di tutte le difficoltà summenzionate ma anche del piglio che si può e si deve avere in queste circostanze. Cosa dire? Per me hanno ben figurato. Oltre alla coreografia, gli ultras forsempronesi hanno tifato per tutta la gara, senza sosta, coinvolgendo spesso anche il resto della tribuna. Molto bello vedere che a sventolare le bandiere, a cantare e ad aiutare il tifo organizzato ci siano tanti giovani, molte ragazze e qualche signore più attempato. Nell’era della virtualità estrema, sapere che nell’entroterra italiano ci sia ancora un qualcosa in grado di aggregare ragazzi in nome di una fede e di un senso di appartenenza, è senza dubbio bello. Un qualcosa chiamato ultras, che ovviamente a ogni latitudine assume sfumature diverse e un suo retroterra culturale. Basterebbe vedere, ad esempio, il confronto odierno, con un settore ospiti che “puzza” di tifo da lontano e che malgrado la sorte sportiva abbia a dir poco maledetto, continua a scrivere pagine indelebili, contando sia sulla passione cittadina che su uno spessore curvaiolo notevole.

A proposito dei sambenedettesi: negli ultimi anni a volte mi è capitato, nelle trasferte di massa, di vederli non al top da un punto di vista canoro, forse “annacquati” dalle troppe presenze occasionali. Oggi, sarà il numero non eccessivo di biglietti a disposizione, sarà il settore stretto e compatto, mi hanno fatto davvero una gran bella impressione. Innanzitutto il mix di bandierine e bandieroni ha restituito alla tifoseria quell’impronta colorata di cui si è sempre fregiata, mentre molto bella l’esposizione di sole pezze ultras sul muretto di cemento. Con insegne e stendardi dei club fatti apporre sulla rete. Per carità, nulla contro questi ultimi, ma da un punto di vista qualitativo nessuno me ne voglia se dico che c’è una grande differenza tra il materiale prodotto manualmente dagli ultras e quello, più sciatto, fatto da alcuni club. Degli adriatici apprezzo da sempre la “ruvidezza”, il non andare troppo per il sottile. L’avere un’anima marinara a tutti gli effetti. Basti guardare la veemenza con cui i lanciacori spronano i presenti. Basti guardare la fattezza della maggior parte degli stendardi a due aste, a mio avviso molto belli perché fatti a mano e soprattutto originali e ben pensati. Taluni davvero retrò! Qualche torcia e qualche fumogeno di tanto in tanto completano la performance, mentre molto bella è l’esultanza al provvisorio vantaggio siglato nel primo tempo. Da segnalare uno striscione per Stefano Furlan, tematica su cui i sambenedettesi hanno sempre avuto un occhio di riguardo, avendo – purtroppo – pagato anche sulla loro pelle una storia molto simile come quella di Luca Fanesi.

In campo, dopo un primo tempo terminato sullo 0-1, il Fossombrone riesce a pareggiare i conti e raccogliere un punto d’oro, che ovviamente inorgoglisce e soddisfa il popolo biancoblù. L’esultanza al pareggio è di quelle importanti, con il manipolo di ultras che sfrutta l’energia positiva della marcatura per far saltare tutta la tribuna. A vederle dal campo sono scene belle, malgrado a far da contraltare ci sia la delusione dei tifosi ospiti. Ma anch’essa è parte di quel tourbillon di emozioni che solo un pallone e le gradinate possono regalarci. La concomitante vittoria del Campobasso a Senigallia permette ai molisani di superare la Samb e portarsi al primo posto in solitaria, mettendo ancor più pepe sulla volata promozione. La Nord formato trasferta richiama comunque i giocatori sotto al settore per cantare tutti assieme il consueto coro che invita Gino a preparare lo spino. Un atto di amore ma anche un ribadire la fedeltà alla bandiera che è assoluta e imprescindibile; la pazienza un po’ meno. Grossa soddisfazione, invece, per il pubblico di casa, con gli ultras che dopo una sciarpata cantano e ballano assieme ai propri giocatori. Sono le ultime istantanee di giornata per me, con la stanchezza che ora comincia davvero a prendere possesso del mio corpo, benché mi attendano diverse ore di viaggio prima di far rientro a casa.

Passo in mezzo alla folla che defluisce, do un ultimo sguardo all’esterno della tribuna e poi raggiungo il passaggio che stavolta mi porterà fino al casello di Fano. Da lì? Ovviamente a piedi fino alla stazione (altri quattro chilometri), giro in centro in attesa del treno per Ancona e infine regionale per Roma, dove arriverò poco dopo la mezzanotte. Con un’altra oretta da fare sui bus notturni prima di potermi buttare sotto la doccia e definitivamente nel letto. Le quasi quattro ore di treno mi hanno dato opportunità di rielaborare tutta la giornata e assaporarla appieno. C’è chi riterrebbe da disagiati salire su un treno che ci mette così tanto per coprire circa trecento chilometri, eppure io lo trovo sempre un luogo perfetto dove lasciar partire liberi i pensieri e godersi le scorie giornaliere. E poi cosa sarebbe questa fretta anche nei momenti belli, anche nelle giornate di festa o dove si fa ciò che si ama? Funzionale e comodo spesso non fanno rima con bello e godibile. Almeno per quanto mi riguarda. Sarà per questo che mi trovo sempre più a mio agio fuori dai grandi circuiti metropolitani e commerciali. E domeniche come queste sono carburante fondamentale per il resto della settimana!

Simone Meloni