L’essenza di due tifoserie non la vedi tanto nella gara di cartello, nello spareggio o nel derby. Lo zoccolo duro, il valore e il potenziale lo percepisci in una partita “normale”, magari senza rivalità e in uno dei tanti orari strampalati stabiliti da una Serie C che, provando a fare il verso alla massima divisione, perde sempre più seguito e tifosi con il suo modus operandi appannaggio di televisioni e piattaforme impegnate a trasmettere lo spettacolo – sovente davvero scarso – dei club partecipanti. Tornando da un derby storico come Arezzo-Ternana e percorrendo un terzo dell’Autostrada del Sole per raggiungere la città flegrea, la mia curiosità di rimettere piede al De Cristofaro cresce e il presagio è quello di assistere a un confronto di sostanza. A circa trentacinque chilometri dall’impianto giuglianese il Napoli disputa contemporaneamente il suo match contro il Monza, cosa da non sottovalutare quando si parla di realtà così legate al capoluogo, anche da un punto di vista meramente topografico. Pertanto sulle gradinate ci sarà soprattutto chi i gialloblù li segue sempre e comunque. Cosa che sinceramente non mi dispiace affatto!

Il Giugliano, giunto alla terza partecipazione consecutiva in Serie C dopo anni bui caratterizzati da fallimenti e anonimato nel dilettantismo regionale, sembra aver costruito una squadra solida, in grado di stazionare stabilmente nella colonna di sinistra della classifica e dare continuità alle ambizioni del club. Siamo in quello che è il comune non capoluogo di provincia più grande d’Italia con i suoi 124.154 abitanti. Un centro che insiste in un’area antica e ricca di storia come quella Flegrea, dove tra laghi costieri, caldere ancora più che attive, fenomeno del bradisismo che puntualmente “sollazza” la popolazione e antichi, quanto mozzafiato, siti storici e culturali, i primi insediamenti umani registrati furono anche i primi per quella che sotto i romani fu Campania Felix. Non a caso quest’area – conosciuta come Liburia o Terra di Lavoro – è sempre stata tra le più fertili della zona e proprio qua, nel periodo osco, sulle sponde del Lago Patria vennero fondate due città: Atella e Liternum; di quest’ultima oggi restano importanti ritrovamenti, adagiati proprio a pochi metri dallo specchio lacustre. Esistono alcune contese sull’origine del nome cittadino, tuttavia la tradizione vuole che un drappello di cumani, rifugiatosi nella campagne flegree nel 421 a.C., chiamò la zona Leirianum a causa della fervida fioritura di gigli (Lilianum). Ciò è evidenziato ancora oggi nell’effige comunale, che ritrae una donna distesa proprio su un campo di gigli. Per altri, invece, il nome della città deriva dall’imperatore Giulio Cesare, che qua avrebbe avuto una delle sue numerose ville.

Sta di fatto che Giugliano, come tutta la zona circostante, è sempre stata caratterizzata da una forte espansione abitativa e, di conseguenza, anche le vie di comunicazione che la lambiscono, si perdono nella storia cittadina. Da appassionato di ferrovia non posso non citare, con una certa soddisfazione, la riattivazione – ormai da qualche anno – di un tratto della vecchia Alifana Bassa (ferrovia che fino al 1976 congiungeva Napoli a Santa Maria Capua Vetere), riconvertita in metropolitana e oggi snodo fondamentale per connettere il capolinea della metropolitana collinare (Piscinola/Scampia) ad Aversa. Ovviamente, parlando di viabilità, non si può che citare l’Antica Via Campana, una strada che sotto l’Impero Romano risultava trafficatissima nel suo tragitto che partiva dall’anfiteatro di Pozzuoli, snodandosi tra diversi crateri e attraversando molteplici centri abitati, raggiungendo infine Santa Maria Capua Vetere. Se è vero, come è vero, che strade, ferrovie e collegamenti fanno in parte l’evoluzione di un posto, fa davvero riflettere pensare come in antichità questi luoghi fossero a dir poco all’avanguardia in tal senso, mentre, soprattutto nel secolo scorso, abbiano talvolta sofferto la forte dismissione e l’incuria, che poi – ahinoi – sono una costante per buona parte del Belpaese, troppo spesso impegnato a pavoneggiarsi guardandosi indietro, anziché fare autocritica e rimboccarsi le mani per offrire infrastrutture quantomeno sufficienti ai propri cittadini.

Rispetto all’ultima volta che sono stato in questo impianto, il ritiro degli accrediti è leggermente più arzigogolato. Sono costretto a fare il giro di tutto lo stadio, per poi entrare dal lato della tribuna coperta e mettere piede sul tartan della pista d’atletica. Lungaggine che mi costringe a scattare le prima foto quando le due squadre sono già in campo da un paio di minuti, non permettendomi – dunque – di assistere alla classica sciarpata iniziale di marca murgiana. Come preventivato il numero degli spettatori non è elevato ma in compenso il blocco ultras casalingo è di tutto rispetto, assestandosi dietro tutte le insegne del tifo campano. Dopo alcune divisioni negli scorsi anni, gli ultras del Giugliano sono tornati tutti assieme in nome della causa comune, una decisione che personalmente sposo appieno e ritengo a dir poco fondamentale in questo genere di realtà. Sarà pur scontato ma qua davvero “l’unione fa la forza” e, infatti, il risultato è sotto gli occhi di tutti. Ho avuto la possibilità di vedere all’opera la tifoseria gialloblù con una certa costanza negli ultimi dieci anni e sicuramente devo renderle atto di esserci sempre stata e aver portato avanti un discorso ultras senza voler mai essere sotto i riflettori, ma lavorando duro e facendo parlare i fatti. Probabilmente, la cosa che più apprezzo di loro è quella malcelata “ruvidezza” che non li ha resi mai fenomeno “commerciale” e gli ha dato la possibilità di militare in base ai propri canoni e alle proprie esigenze. Perché, vale la pena ripeterlo, stiamo parlando di una città di oltre centomila abitanti, molti dei quali hanno preferito lasciare Napoli per una questione di “comodità” mentre altri preferiscono le luci altisonanti della massima divisione rispetto alla squadra della propria terra. E questo non bisogna mai dimenticarlo quando si fanno paragoni e considerazioni spesso prive di una base logica.

Tornando alla gara del De Cristofaro: la performance dei padroni di casa è davvero ottima. Mai un minuto di silenzio, tantissime manate, torce accese qua e là, bandieroni al vento e voce tenuta sempre in alto, con buona intensità. Molto bella anche la quantità di pezze appese sulla balaustra, a restituire un’ottima impressione visiva. Tra le fila gialloblù noto moltissimi ragazzi, cosa più che positiva anche per il futuro, soprattutto se si considerano le paurose “sfoltite” che in questi tempi la repressione è impegnata a “regalare” di tanto in tanto, anche a fronte di accadimenti che in altri tempi sarebbero stati velocemente derubricati a trafiletto per i giornali di quartiere. Del resto una delle peculiarità campane resta quelle di saper “sfornare” con relativa facilità nuove generazioni pronte a frequentare le gradinate. Sintomo sia di quanto sia radicata la passione per il calcio, ma anche di quanto lo stadio rappresenti un importante centro aggregativo per centinaia di giovani, ancora curiosi di saggiarne l’ambiente, malgrado le lapalissiane difficoltà in cui incorrono oggigiorno. Altra nota di merito per i padroni di casa, è quella di aver sempre tenuto vivo – almeno nei nomi e nei simboli – il legame con la storia della propria città: Kumani, Briganti, Curva Liternum, solo per accennare alcuni esempi. Ultima considerazione: da tempo gli ultras giuglianesi chiedono una curva tutta loro, o quantomeno uno spazio nella tribuna dirimpetto. Posto che capisco appieno l’esigenza di avere un luogo dove potersi muovere senza tifosi “occasionali”, penso anche che lo spazio attualmente occupato possa fungere da valore aggiunto. Sia grazie alla copertura che aiuta il tifo, che alla possibilità di portarsi dietro qualche tifoso meno “caldo”, che però può essere attratto dagli ultras e dal loro modo di vivere i novanta minuti.

Capitolo tifosi ospiti: gli altamurani giungono nei Campi Flegrei in un’ottantina di unità e come sempre si compattano dietro le loro pezze facendo del colore il loro cavallo di battaglia; bandierine continuamente sventolate, una sciarpata, alcune torce accese di soppiatto e voce per tutta la partita, con un finale al cardiopalma dove la Leonessa di Puglia riesce nell’impresa di ribaltare il 2-1 avversario e imporsi per 2-3 con due reti a tempo ampiamente scaduto. Per la tifoseria pugliese si tratta di una avvio di campionato non propriamente facile. E non solo da un punto di vista sportivo, dove forse era logico attendersi un ruolino di marcia complicato, considerato il ritorno nel professionismo dopo decenni e l’adattamento necessario alla categoria. Pesa senza dubbio molto anche la lontananza dal D’Angelo, con le gare giocate al San Nicola di Bari che fanno letteralmente perdere ogni fattore casalingo, fondamentale soprattutto per i sodalizi che devono accumulare punti utili alla salvezza. Forse l’unico elemento che davvero si è contraddistinto nel bene sin dalla prima gara di Coppa Italia a Torre del Greco, sono gli ultras biancorossi, che sinora hanno portato buoni numeri fuori casa, confermando quella crescita evidenziata nei recenti campionati di Serie D e ormai abbastanza “scafati” per affrontare la terza categoria calcistica. Il successo ottenuto in extremis ovviamente fa impazzire il settore, con la squadra che – quasi incredula – dopo il triplice fischio va a prendersi l’abbraccio dei tifosi. Applausi e cori anche per Giugliano tuttavia, che in dieci uomini era andato vicino a una vittoria che sarebbe stata epica. La beffa finale non scalfisce il valore di una rosa che sta dando soddisfazioni alla piazza e che già dalla domenica successiva è pronta a riprendere il cammino.

Il pubblico comincia a defluire dal De Cristoforo e anche per me è tempo di restituire la pettorina e risalire in macchina, direzione Roma. La stanchezza comincia giocoforza a battere i suoi colpi, mentre un’altra domenica sta andando in archivio. Ore e momenti passati con fulminea velocità, chiacchiere e impressioni scambiate con chi questo mondo lo vive tutti i giorni. E anche i soliti problemi “burocratici” che, tutto sommato, strappano quattro risate rientrando appieno nell’italica macchina organizzativa. Forse se dovessi descrivere quale sia la mia normalità, non potrei spiegarlo meglio che in questi passaggi. Contento che negli anni i parametri per vivere e giudicare una partita e una tifoseria abbiano preso strade sempre più specifiche e meno sommarie. Anche perché giudicare il monaco dall’abito che indossa, per me, resta sempre uno degli errori più gravi e stupidi che si possa compiere. Allo stadio come nella vita di tutti i giorni.

Simone Meloni