Dopo la Champions viene la Championship. Anzi prima. Il punto è questo: dovendo restare ancora ventiquattr’ore dalle parti di Sua Maestà, e dovendo prendere l’aereo da Luton, decido che sì, dopo Anfield e Villa Park, è arrivato il momento di vedere anche l’altro calcio inglese, quello lontano dalle vetrine, che vive di passione, birra e scorrettezza. In poche parole, quello vero.
Luton. Città famosa per l’aeroporto, giusto a mezz’ora di treno da Londra (forse anche meno), che ha la squadra locale seguitissima, fino a un anno fa in Premier League. E adesso costretta a navigare a vista in Championship, dove vegeta nei bassifondi della classifica. O meglio: la vittoria di domenica nel derbissimo col Watford sembra aver riacceso gli animi dopo il deludente inizio, e la sfida infrasettimanale col Sunderland deve necessariamente offrire qualche conferma.
Lo stadio è una vera e propria perla: siamo di fatto nella periferia londinese, classiche case a schiera british, kebab e fish&chips. Poi ad un certo punto, toh!, tra un muro di un palazzo e l’altro, ecco sbucare lo stadio, praticamente incastrato tra le case. Fondato nel 1905, il Kenilworth Road è una vero e proprio simbolo del vecchio calcio inglese, quello tutto birra e proletariato. Si sente proprio un’aria diversa, rispetto ai più fighetti Emirates e compagnia (pur bellissimi).
12mila spettatori, tutto esaurito, di martedì sera. Stadio tutto sul campo, inglesissimo. Facce local, accento simpaticissimo, tra i tantissimi “fuck!” e “C’mon Luton!”. Unico difetto, i piloni (anche questi in stile inglese) che fanno vedere il campo a sprazzi. Pazienza. Per il resto parliamo di un gioiello, che ti fa proprio venire voglia di andare allo stadio. Le pezze poi sono bellissime, casual, per lo più con bandiera inglese: una fra queste parla del “tradimento” da parte della Football Association nel 2008. Anno disgraziato per il club.
Gli ospiti poi completano la cornice da categoria superiore: Sunderland è al confine con la Scozia, ma il settore è pieno nonostante l’infrasettimanale. Certo, è una squadra storica del calcio inglese, che è partita col razzo… ma mica è scontato. Sul campo nasce subito una partita bellissima, e molto ritmata. È bellissimo quando il pubblico accompagna un’azione con gli “oooh”, il boato che si crea prima del gol, l’esplosione col tipico “yeee”. E quella dimensione familiare che fa da sottofondo del tutto.
Anche i locali interni sono spettacolari: dalla tribuna stampa per i giornalisti (roba che qui si sognano certe squadre di serie A…) al mini pub interno con tutte le maglie del club, e foto della squadra annesse. La gente è cordialissima, sorride, è genuina. Ti fanno capire che è tutta una roba in famiglia. E gli hooligans? Ci sono, ma mimetizzati. È il bello del modello inglese che secondo i ben informati li avrebbe invece debellati come corpi estranei.
Sul campo, come detto, viene fuori una bellissima partita: vince il Sunderland 1-2; tra gli ospiti, a una certa, emerge uno che sembra uguale a Bellingham, per movenze e viso. E in effetti è il fratello Jobe. Vai a vedere quante cose si scoprono, in un martedì sera di Championship.
Testo e Foto di Stefano Brunetti