Secondo articolo della rubrica curata dal nostro Luca “Baffo” Gigli. Stavolta sotto la lente d’ingrandimento finisce una delle sfide storiche del nostro calcio: quella dei Leoni di Highbury.
Londra, 14 novembre 1934. La Nazionale di Calcio italiana è schierata, col tecnico Pozzo, a centrocampo prima dell’inizio dell’amichevole contro l’Inghilterra.
Amichevole per modo di dire: fu una partita che fece epoca, uno degli eventi sportivi (e non solo) più clamorosi ed esaltanti degli Anni ’30, definito, con eccessiva pomposità, l’incontro del secolo. Tanto che, d’allora in avanti, si sarebbe parlato di quel match tra italiani e inglesi, come della Battaglia di Highbury (dal nome del mitico impianto sito nella zona nord di Londra che ospitò l’incontro e ch’era il vecchio tempio dell’Arsenal fino al 2006). E quei calciatori azzurri che presero parte a quella leggendaria sfida furono soprannominati i Leoni di Highbury.
La contesa, disputata davanti a circa 60.000 spettatori, va contestualizzata con precisione nel periodo storico in cui fu giocata, per capirne appieno tutte le dinamiche. La scuola calcistica inglese, allora, era considerata di gran lunga come la migliore e più forte al mondo. Basti pensare che ai Campionati Mondiali disputati sino ad allora (Uruguay 1930 e Italia 1934), ma anche nel Mondiale successivo (Francia 1938) l’Inghilterra non partecipò non perché non si fosse qualificata, bensì per una sua scelta sciovinista, sentendosi (calcisticamente parlando) gli inglesi i più forti del mondo non si abbassavano a competere in tornei con squadre che erano manifestamente inferiori a loro che avevano inventato il football (!).
L’Italia, dal canto suo, veniva invece dalla vittoria del Mondiale disputato tra le “mura amiche” di soli sei mesi prima ed era vista come una scuola calcistica emergente e comunque una delle migliori al mondo insieme a quelle sudamericane. Dunque l’evento fu pompato ad arte sia dalla stampa inglese (con giornalisti che – in preda a un delirio di calcistica onnipotenza – si lasciarono andare ad azzardate previsioni… tipo 10-0 per la Perfida Albione sugli azzurri!) sia da quella italiana (fagocitata dal Regime Fascista che scese in campo proprio nella persona del Duce con pressioni affinché la sfida si giocasse… difatti l’allenatore Pozzo, temendo – non a torto – un’imboscata sportiva, non era tanto propenso a quest’amichevole).
Arrivò il fatidico giorno della gara che gli inglesi, con abile mossa furbesca, vollero disputare nel mese di novembre, ben sapendo di essere più avvezzi dei “nostri” su campi inumiditi dalla bruma e su cui era difficile reggersi in piedi; perennemente avvolti da nebbie e foschie che da sempre caratterizzano i cieli d’Oltremanica, delimitandone limiti e grandezza.
La partita si mise subito male per i colori italiani dopo appena un minuto di gioco: fu infatti decretato un calcio di rigore per gli inglesi che, clamorosamente ed eroicamente, fu parato dal nostro estremo difensore avvolto dalla nebbia, il bergamasco purosangue Carlo Ceresoli. Tutto bene allora?!… macché, neanche a parlarne. Soprattutto a causa dell’infortunio occorso, dopo pochi minuti dal fischio d’inizio, al nostro centrocampista (argentino naturalizzato italiano) Luisito Monti, detto doble ancho (armadio a due ante!) che si fratturò l’alluce in un fortuito (?) scontro di gioco e che leggenda vuole urlante di dolore negli spogliatoi, tanto da necessitare d’un fazzoletto da stringere tra i denti per trattenere le strazianti grida di dolore. Privati della diga davanti alla propria difesa, gli azzurri subiscono tre goal in nove minuti (con una doppietta di Ted Drake, considerato uno dei più forti e prolifici centravanti del suo tempo) chiudendo la prima frazione col preoccupante parziale di 3-0 per gli inglesi e col timore di subire, in uno stadio e in un ambiente mai tanto ostili, un’autentica quanto vergognosa débâcle nella ripresa.
Ma l’Italia non ci sta a farsi schiacciare e così, al riaprirsi delle ostilità, vengono fuori tutta la grinta, il carattere e il grande orgoglio della nostra Nazionale Campione del Mondo che, capitanata e letteralmente presa per mano da Attilio Ferraris (che fu centrocampista e difensore di Fortitudo Roma, AS Roma e SS Lazio… sua la celebre frase: “chi si estranea dalla lotta è ’n gran fijo de ’na mignotta!”), conquistò l’egemonia del centrocampo e reagì in maniera veemente, accorciando le distanze al 58’ e al 62’ con due prodezze del nostro atleta più rappresentativo e forte: Giuseppe “Balilla” Meazza che (insieme all’altro fenomeno Silvio Piola) è universalmente considerato come uno dei football player più forti di tutti i tempi del nostro Paese e del mondo.
Al novantesimo addirittura l’Italia sfiorò una clamorosa rimonta che avrebbe avuto davvero dell’incredibile, cogliendo la traversa – sempre ad opera dell’eterno Meazza – a portiere inglese battuto… sarebbe stato il massimo.
Nonostante la sconfitta – ad opera d’una Nazionale inglese che, al di là della propria spocchia, era davvero di un altro pianeta e contro cui perdevano in pratica tutti a suon di goal e batoste – l’Italia uscì dal campo tra le ovazioni dei nostri emigrati che assistettero alla tenzone e tra gli scroscianti applausi del pubblico londinese che ci riconobbe e tributò l’onore delle armi.
Fu davvero una Nazionale italiana che dimostrò al mondo sportivo nel suo insieme – e in uno scenario e in contingenze mai tanto nefasti – il significato della parola “coraggio”. Una partita di Calcio giocata più di ottant’anni fa, passata alla Storia e che racconta a sua volta tanti episodi di audacia ed eroismo sportivo: un piccolo trattato di filosofia.
La Battaglia di Highbury è una delle tante vicende – entrate direttamente nella leggenda sportiva dalla porta principale – legate a questo meraviglioso sport che ci fa capire – come sosteneva il grande Gianni Brera – quanto il Calcio non sia soltanto un semplice “giuoco” ma una vera e propria filosofia di vita (forse per gente un po’ matta) nonché allegoria della stessa.
Luca “Baffo” Gigli