È possibile che il modello ultras sia arrivato anche in Malesia? Possiamo porci legittimamente questa domanda, soprattutto nel mondo globale e iperconnesso che conosciamo. Alcune immagini del tifo asiatico le abbiamo già visti in Internet, così come conosciamo alcune sigle, ad esempio quelle degli Ultras Nippon o della Brigata Curva Sud dello Sleman. L’interrogativo che frulla nella mia testa è però il seguente: queste tifoserie orientali sono solo una brutta copia del movimento ultras italiano o europeo?

Mi permetto dunque di portarvi con me, in questo soggiorno particolare per capire un po” meglio la realtà ultras del Selangor e del tifo locale. Innanzitutto è doveroso precisare che non è la prima volta che vengo qua in Malaysia. È già il mio terzo soggiorno e non sono più ormai in terra ignota o inesplorata. Anzi, grazie alla passione per la cultura ultras mi son pure fatto degli amici nelle tifoserie locale che mi aiutano a capirne meglio le peculiarità.

Arrivo alle ore 15.05 all’aeroporto di Kuala Lumpur e dopo una notte particolare, sorvolando grande parte del continente asiatico, ho solo il tempo di lavarmi i denti e di mettere le mie lenti da contatto. Perché sono così di fretta? È ovvio, appena timbrato il passaporto con il visto malese, devo già partire in trasferta. Tre ragazzi degli UltraSel, il gruppo ultras che segue il Selangor, mi aspettano all’aeroporto per partire a Temerloh, dove fra quattro ore gioca la loro squadra del cuore. Arrivano con il figlio di uno di loro, che ha appena 5 anni, nonostante sia un mercoledì e dovrebbe essere all’asilo. Ma nella vita ci sono delle priorità!

Ci servono tre ore per raggiungere Temerloh e nella macchina la chiacchierata è più che piacevole. Parliamo del nostro movimento tanto amato. Uno dei ragazzi, mi chiede la differenza tra ultrà e ultras. Potrebbe farmi ridere ma trovo interessante il suo interrogativo su questa diatriba pseudo etica. Non è il primo, fuori dai confini dell’Italia a farmi questa domanda e provo a spiegare che è una pippa mentale di alcuni per provare a distinguersi con poco ma che dietro non c’è una vera differenza di intendere il mondo ultras in termini di sostanza. Poi la discussione torna sulla storia del tifo locale che è molto particolare, perché è nato nel 2007 contestualmente alla nascita degli Ultras Mayala, cioè un gruppo a sostegno della selezione nazionale. Il paesaggio che accompagna il nostro viaggio e le nostre chiacchiere è molto particolare, attraversiamo Kuala Lumpur, capitale e centro economico del paese con la sua periferia molto estesa in cui i grattacieli restituiscono un panorama onestamente affascinante. Dopo un po” ci ritroviamo invece in mezzo ad un paesaggio tropicale con colline alte attorno all’autostrada su cui procediamo di una qualità quasi svizzera, devo dire. La Malaysia non è un paese povero, così come alcuni la possono immaginare, anzi, nel Sudest asiatico, più particolarmente nel blocco economico ASEAN (l’Associazione delle Nazioni dell’Asia del Sudest, appunto, fondata nel 1967 che raggruppa dieci paesi della zona) del quale fa parte, è il terzo paese più ricco per reddito pro capite dietro a Singapore e Brunei, anche se lo stipendio minimo è di 300€ e le disparità sono ovviamente tante.

Prima di arrivare ci fermiamo ad un autogrill e resto colpito sia dalla pulizia del bagno che da alcune signore che ci vendono della frutta tropicale in una busta di plastica, senza parlare del verdissimo contorno fatto solo di alberi tutto attorno a noi: la Malaysia è infatti ancora coperta da foreste per il 54% del suo territorio, la foresta tropicale qua è una delle più ricche al mondo per biodiversità con milioni di specie tra la flora e la fauna, seppur con lo sviluppo economico del paese la deforestazione purtroppo è stata accelerata.

Quando ripartiamo lo scenario diventa più noioso a causa delle piantagioni di palma da olio che si estendono per chilometri e chilometri. Con il 30% il paese è il secondo produttore al mondo di questo oro verde, dietro solo all’Indonesia che ne produce un po’ più della metà. Questo olio è diventato famoso in Europa soprattutto per una ditta agroalimentare italiana che ne fa uso per il suo prodotto di punta destinato ai bambini e per le tante polemiche correlate alle ricadute sulla salute degli stessi. Ma l’olio di palma viene impiegato in diversi altri settori: cosmetico, chimico ed energetico oltre a quello alimentare. Al di là dell’uso industriale, in molti paesi asiatici ed africani è una delle basi della cucina tradizionale come in Italia lo è l’olio d’oliva.

Nel frattempo solo mezz’ora di strada ci separa dalla nostra ma anche il jet-lag comincia a farsi sentire: ci sono sette ore di differenza di fuso orario con l’Europa e per l’organismo non è facile adattarsi, tanto che il sonno comincia a incombere. Arriviamo finalmente a Temerloh, nello stato di Pahang, piccola città nel centro geografico della penisola malesiana. Non sembra che ci sia una partita di calcio, pochissima gente in giro e diversi negozi già chiusi. Solo quando arriviamo alla stazione dei pullman notiamo un po’ di movimento. Ci sono diverse centinaia di persone con magliette rosse, sono gli UltraSel che son arrivati con una decina di pullman. Ogni sezione del gruppo s’è fatta carico dell’organizzazione di uno o più mezzi.

A guidare il tifo organizzato del Selangor esistono solo gli UltraSel. Si sono costituiti nel 2010 sotto questo nome che è, come sei potrebbe intuire, una contrazione delle parole “Ultras” e “Selangor”. Si sono ispirati agli UltrAslan del Galatasaray che hanno anche gli stessi colori, cioè il giallo ed il rosso. All’interno del gruppo ci sono otto sezioni, quasi tutte dello Stato federale di Selangor, uno dei tredici della Malaysia, guidato dal Sultano Sharafuddin. La particolarità del campionato locale è strettamente legata all’organizzazione politica del paese.

La Malaysia è uno stato federale di quasi 35 millioni di abitanti. Divisa in tredici stati federali. Ci sono nove regni, quattro repubbliche oltre a tre territori federali (che son tre città Kuala Lumpur, Labuan e Putrajaya). I nove regni sono governati da un sovrano con un primo ministro che detiene il potere esecutivo. Sette di questi sovrani sono sultani (oltre al Raja di Perlis e allo Yang di-Pertuan Besar di Negeri Sembilan, unico stato retto da una monarchia elettiva). Infine, al di sopra di questi, vi è il sovrano supremo della Malaysia (Yang di-Pertuan Agong in lingua locale), eletto per cinque anni dalla conferenza dei sovrani ereditari dei nove regni e dai quattro governatori. Questo Re detiene il potere esecutivo e legislativo con il governo ed il parlamento e sceglie il primo ministro, che è il capo del governo, e i quattro governatori degli Stati non a guida monarchica.

La naturale conseguenza di questa particolarissima situazione è che dodici delle quattordici squadre che participano alla Malaysia Super League (le serie A locale) rappresentano uno stato intero. Di conseguenza la base delle tifoserie non è mai solo in una città, ma si allarga a tutta lo stato federale. Per questo motivo gli UltraSel hanno otto sezioni nelle maggiori città o frazioni dello stato di Selangor, come a Shah Alam o Klang. Poi, altro dettaglio importante, due squadre hanno come dirigenti membri della famiglia reale del loro regno, nello specifico proprio il Selangor e il Johor Darul Ta’zim FC. Perché questo dettaglio dovrebbe interessare? Perché inevitabilmente la competizione non si limita solo al lato sportivo, ma diviene anche uno scontro politico in piena regola. Le due squadre in questione, sono anche le più titolate del paese.

Intanto alla stazione dei pullman di Temerloh, un’ora prima della partita parte il corteo degli UltraSel verso la stadio. Sembrano delle formiche, il loro dress code impone il colore rosso, a tutti è richiesto di venire con una maglietta, una felpa o una giacca rossa. Hanno cominciato a vestire così in trasferta, nel 2022, per creare un unico blocco rosso che distinguesse la tifoseria del Selangor. L’effetto è impressionante, soprattutto perché all’inizio camminano in silenzio su una lunga fila che si estende per diverse centinaia di metri. Poi si compattano e tirano fuori lo striscione giallorosso da trasferta sul quale c’è scritto in bahasa malaysia (la lingua malese): “La mentalità del campione”. I tamburi sono nella seconda fila e fanno partire i cori mentre un bandierone col simbolo del gruppo, il pugno chiuso, viene sventolato per conferire ulteriore colore e movimento.

Le forze dell’ordine sono tranquille e sono in meno di una decina attorno al corteo. Diversi poliziotti riprendono la scena ma non sembra lo facciano per l’archivio della questura locale, quanto più come ricordo personale visto che riprendono il tutto col loro cellulare. Dopo dieci minuti si arriva dietro il settore ospite. Il Pahang non gioca nel suo impianto abituale, cioè lo Stadium Darul Makmur a Kuantan ma per via di alcuni lavori è costretto a giocare le partite interne a Temerloh dal maggio 2024. Non è un grossissimo problema perché è pur sempre nello Stato di Pahang, cioè un territorio grande come una regione italiana in cui hanno tifosi ovunque.

Fuori dallo stadio non c’è tensione e per dire che c’è un servizio d’ordine capillare ci vorrebbe molta fantasia. Nessun vero divisorio separa le due tifoserie. La Malaysia conosce pochi problemi di violenza nel calcio, anche perché i gruppi ultras esistenti son tutti di fatto “figli” degli Ultras Malaya. Ogni singola tifoseria segue pure la nazionale come sottogruppo degli UM, perciò le situazioni di tensione sono davvero rare, visto che vige un rispetto reciproco tra quasi tutti i gruppi del paese che si conoscono bene al seguito della selezione nazionale.

Mancando ancora 45 minuti al fischio d’inizio, decido di andare dietro la curva locale che tra l’altro sembra più un settore ospite. Vedo un po’ di movimento e sento degli strani rumori: sul lungo fiume i ragazzi si stano preparando ad entrare, ma prima cantano insieme ed ascendono anche un paio di fumogeni. È strano essere qua, in mezzo alla giungla e trovare gente che ha addottato uno stile di vita molto identico a quello che vediamo nelle curve italiane ed europee. Dal modo di vestirsi alla cura del loro materiale.

Una cosa curiosa è vedere le bancarelle che vendono sciarpe e maglie con i colori gialloblu del Pahang FA, ma la tifoseria organizzata è vestita di bianconero. Perché questa scelta? Semplicemente perché questi sono i colori dello stato di Pahang. Allungo il passo per arrivare allo stadio e la prima sorpresa che mi aspetta è che non ho l’accredito. Ma non è un limite insuperabile, perché mi fanno entrare lo stesso, anche se non in campo purtroppo. Comunque, per mia fortuna, posso girare più o meno liberamente per tutto l’impianto. Le due tifoserie sono nei loro rispettivi settori e aspettano che le squadre entrino in campo per iniziare a tifare.

Non c’è una particolare coregrafia, neanche una torcia. Anche qua vigila l’occhio della repressione, per questo ne sono stati accesi diversi all’esterno, proprio per non avere problemi. Nel settore ospite sventolano tre bandieroni giallorossi, mentre diversi sono i bandieroni anche nello spicchio che serve come sede provvisoria della tifoseria locale. SI nota in particolare uno striscione con la parola “Rispetto”, in riferimento alla delusione per le prestazioni fuori casa della loro squadra, finora sconfitta in tutte le sue prime tre partite lontano dalle mura amiche.

Il tifo parte bene e le due tifoserie onorano al meglio la sfida. Inizio la partita vicino al settore del Selangor ed è evidente la loro esperienza. Non hanno un megafono per guidare i cori ma non è un problema. Il settore degli UltraSel canta forte, peccato che il resto delle tifoseria quantificabile sulle 400 anime, li segua solo ogni tanto. C’è anche un gruppo di casual, movimento molto popolare anche a queste latitudini. Sono una ventina circa, con quattro pezze ai lati. Son distaccati degli ultras, le due fazioni son molto diverse e si capisce bene. Son ben vestiti, niente da dire, nello stile che è diventato una moda ormai diffusa, ma non cantano. Faccio sempre fatica a capire queste scelte, forse perché il tifo rimane “l’arma numero uno” di ogni tifoseria.

Di fronte, sento ogni tanto i ragazzi del’Elefant Army del Padang e vedo i loro bandieroni in movimento. Il primo tempo finisce velocemente e devo dire che non mi annoio per niente. L’unica cosa che non mi piace sono le pause tra i canti. Il livello canoro degli UltraSel è buono, quasi tutti i presenti cantano nelle loro file ma quando un coro finisce, aspettano sempre almeno un minuto e anche di più prima di cantarne uno nuovo. Altra curiosità, quasi nessuno ha una sciarpa. È vero che il clima tropicale non favorisce questo accessorio. Stasera alle ore 20 ci sono ancora 32 gradi. Comunque alcune decine di appartenenti agli UltraSel hanno una bandana nera del gruppo attorno al colo o alcuni anche sul viso.

Quando l’arbitro fischia la fine del primo tempo faccio il giro dello stadio. Capisco che dall’interno posso raggiungere la curva locale passando dalla tribuna. È abbastanza divertente vedere come le misure di sicurezza qua siano così lassiste. Facilmente gli spettatori potrebbero aprire un cancello e andare in campo. Quando arrivo nello spicchio che ospita l’Elephant Army, comincio a chiacchierare con due ragazzi. Il fatto di essere l’unico europeo sugli spalti li incuriosisce. Mi spiegano che il loro gruppo, come quelli degli UltraSel è nato nel 2010 e hanno anche loro diverse sezioni o meglio sottogruppi all’interno. Diverse pezze rappresentano proprio queste “compagnie”: Core Front, West Side Movement, etc. Spicca sul loro striscione una sciarpa della Palestina. Questa tematica è molto sentita in Malaysia che, come Stato e opinione pubblica, sostiene da decenni questa causa. L’orribile guerra condotta a Gaza ha evidenziato un vero sostegno popolare. Posso notare ovunque negli spazi pubblici, nei cafe, nei posti turistici, nei pullman e sulle auto bandiere ed adesivi con i colori della Palestina.

Per essere preciso, lo striscione dell’Elephant Army non è in caratteri latini, ma in Jawi, un alfabeto che deriva dell’arabo, in uso in Malaysia dal inizio del XIV secolo. La penisola malese ha accolto innumerevoli mercanti arabi ed indiani sulle vie della seta, attratti dalle ricchezze dell’Oceano Indiano e della Cina. Tra il XII secolo ed il XVII secolo poi, l’Islam si è diffuso nel Sud Est Asiatico e ciò spiega ulteriormente lo sviluppo di questo alfabeto. Le popolazioni autoctone si convertirono all’Islam perché era più facile per scambiare e vendere. Oggi invece, più o meno il 63% della popolazione è musulmana ma convivono tante religioni, con tre minoranze importanti: buddismo, cristianesimo e induismo. È facile notarlo negli spazi pubblici. Nello stesso quartiere troviamo luoghi di culti molto diversi: dalla moschea ai templi induisti o buddisti e ovviamente diverse chiese (protestanti e cattoliche).

Ma non è solo la religione, anche i gruppi etnici sono diversi. La Malaysia è divisa in quattro gruppi: gli Orang Asli (il primo per numeri), i Malaisi (venuti dall’attuale Indonesia), i Cinesi ed infine gli Indiani (venuti con i Britannici quando ancora questa zona era un suo protettorato, per costruire una rete ferroviera e fare i lavori più pesanti). Allo stadio è interessante notare come nel gruppo, la stragrande maggioranza del pubblico sia di Malaisi. Anche se vedo un cinese nelle ranghi degli UltraSel. Sugli spalti, come da noi ci sono meno donne, ma sono sempre qua, col velo o senza, ma sempre con grande passione per il gioco. Non possono fare parte del gruppo, ma possono andare accanto a loro.

Per raggiungere il settore accanto a quelli degli ospiti devo uscire dello stadio. È divertente vedere che anche da queste parti ci siano dei “portoghesi”. Infatti l’impianto è veramente delirante nella sua architettura. Basta trovare un posto un po’ in altezza per godersi la partita gratis, nonostante la recinzione. Noto anche un fedele che ne approfitta per pregare nel parcheggio dello stadio mentre attorno ci sono diversi posti per ristorarsi.

Il secondo tempo riprende ma sul campo il Selangor fa fatica; nonostante i giallorossi avessero segnato il primo goal al terzo del primo tempo, gli avversari del Pahang hanno saputo riprendersi e pareggiare. La cosa non incoraggia gli UltraSel che fanno più fatica a cantare. Di fronte, anche l’Elephant Army ha un calo. Quando l’arbitro fischia la fine delle ostilità, in campo gli ospiti son delusi e piuttosto arrabbiati. Hanno preso solo un punto in trasferta in quattro partite fuori casa. L’indignazione monta specie verso lo staff e si capisce che anche qua la passione per la maglia è fortissima e sentita, il tifo non è solo una moda importata.

E tempo di lasciare lo stadio, fuori il deflusso è tranquillo, la città di Temerloh sembra già addormentata e prima di tornare verso Shah Alam, ci fermiamo per mangiare qualcosa in un ristorante del posto. Ci sono le macchine dei veterani degli UltraSel che si ritrovano. Non son venuti in pullman perché hanno la famiglia con loro, moglie e figli. È bello notare che l’aggregazione qua è forte come da noi. Vedere queste donne col velo e la maglietta degli UltraSel, i bambini con la maglietta del Selangor FC giocare attorno mentre i loro padri seguono sempre da vicino i loro colori è molto caratteristico. Forse il calcio ed il movimento ultras, anche qua, sono solo dei pretesti per aggregare la gente ed esprimere la passione e la creatività!

Sébastien Louis