L’aspetto più suggestivo e selvatico della Calabria in pieno ottobre è che ti permette di dormire sulle sue coste senza alcun problema. Sono sufficienti una tenda e un sacco a pelo. Oltre alla giusta dose di gusto per l’avventura e la solitudine. Sì, perché un conto è farlo sotto al borgo antico di Pizzo Calabro, o nella spiaggia che muore a strapiombo ai piedi della rocca di Tropea, dove il turismo ancora brulica con una certa consistenza. Un altro è farlo sulla spiaggia di Bagnara, a pochi metri dal monumento che celebra Mia Martini, che qui è nata. Una spiaggia ruvida, dove a farla da padrone sono i gozzi dei pescatori, le reti rattoppate e l’odore forte di salsedine. Bagnara è a pochi chilometri da Scilla, a un tiro di schioppo da alcune spiagge tanto difficili da raggiungere quanto paradisiache di questa regione, ma non conosce il loro flusso di visitatori. Bagnara è delle sue case diroccate ma anche del suo panorama maestoso che all’alba si apre facendoti sentire a pochi centimetri dalla Sicilia, dalle Eolie e da quello Stretto dove la punta dello Stivale e la Trinacria si accarezzano. Questo tratto di costa, conosciuto come “Viola”, trattiene a stento tutta la sua durezza, che per lunghi chilometri diventa immane bellezza. Per me è un’appendice ulteriore dell’estate e il bagno che mi concedo poco dopo che il sole si è levato al cielo, so bene che probabilmente sarà veramente uno degli ultimi del 2024. Pertanto sono felicissimo di gettarmi nelle acque del Tirreno a queste latitudini, prima di gustarmi l’insolito – per me – Derby della Piana. Tutto ha un sapore così “intimo” e particolare, che mi fa sentire lontano anni luce dal trambusto della città, ma anche dal semplice andirivieni di passeggeri e turisti nelle stazioni più trafficate. Addento un arancino con la cipolla, rigorosamente rossa, e gusto un piatto di pasta con il pesce spada – uno dei simboli di queste zone -, quando sono ancora le 11, facendo così una particolare “colazione” e avviandomi poi verso la stazione. Direzione Palmi.

La ferrovia da queste parti corre spesso lungo il costone della montagna, a picco sul mare. I venti chilometri che mi separano dall’antico centro della Magna Grecia, Taurianum, passano in pochi minuti e quando arrivo nel piazzale della stazione le opzioni sono due: percorrere a piedi i circa due chilometri in salita che mi separano dal centro abitato o chiedere, gentilmente, un passaggio al primo che mi capiti a tiro, visto che dell’autobus teoricamente in servizio tra stazione e città non v’è neanche l’ombra. Considerato lo zaino che lentamente mi sta piegando la schiena, il dubbio neanche si pone e, senza neanche faticare troppo, in men che non si dica sono in macchina con una sorridente e incuriosita signora, che mi lascia proprio nei pressi dello stadio. “Ma tu vieni da Roma per vedere Palmese-Gioiese?”, immancabile, quanto comprensibile, la domanda, quasi esterrefatta, della gentile dama locale. “Sì…”, rispondo sorridendo, sapendo come solo chi conosce le logiche del nostro mondo possa capire cosa spinga qualcuno a percorrere 663 chilometri in un giorno feriale per assistere a una gara di Coppa Italia d’Eccellenza. La partita è in programma alle 15 e avendo un’ora e mezza di anticipo sul fischio d’inizio, ne approfitto per fare un piccolo giro in centro. Palmi, come molte cittadine di questa zona, ha patito nella sua storia la ferocia del territorio che la ospita. Ultimo degli episodi è il disastroso terremoto del 1908 – secondo solo al Terremoto della Calabria, datato 1783, quando si contarono tra i 30 e i 50.000 morti-, che solo nel circondario del suo comune mietette ben seicento vittime, distruggendo completamente la parte più antica e costringendo all’intera ricostruzione della stessa. Un territorio “agrodolce”, che da sempre alterna la sua impervia al saper custodire millenni di storia dell’uomo, che qui da sempre transita, lasciando il segno di alcune tra le più grandi civiltà che hanno colonizzato e governato l’Europa del mondo antico. Basti pensare che alcune leggende sostengono che i primi insediamenti furono creati dagli achei o dai bruzi, i quali fondarono Tauriana, situata all’estremo nord della chora (che nella città della Magna Grecia era l’area esterno alle mura cittadine) di Rhegion. Attualmente il territorio appartenente il nucleo originario della città ricade in una frazione della stessa. Questo perché Tauriana venne distrutta nel 951 dall’Emiro di Palermo, Abū l-Qāsim al-Ḥasan detto Hasan I, a causa di alcuni tributi non pervenuti dai bizantini, che all’epoca amministravano la zona. La parte dei taurianensi dedita ai traffici e alle arti marinaresche, trovandosi a disagio nei paesi interni, prescelse a stabile dimora la parte alta della costa, tra il Monte Sant’Elia e il fiume Petrace, cioè sulle alture di Porto Oreste nella contrada De Palmis. Per tradizione, il villaggio che vi edificarono, si suppone che corrisponda all’odierno rione Cittadella. L’origine del nome è presto spiegata e si lega alla massiccia presenza di palme sul territorio.

Ci sarebbe da scrivere a approfondire per almeno altri cento paragrafi ma non è questa la sede. Sicuramente queste righe rendono una minima idea della storia passata ma anche presente di questa cittadina che oggi conta circa 18.000 abitanti e possiede, nel suo territorio, luoghi e scorci davvero maestosi: dalla Tonnara alla Marina, passando per le tantissime grotte che caratterizzano la sua frastagliata costa. Ma Palmi, assieme a Gioia Tauro, è soprattutto la città più importante della Piana, quella che da queste parti è conosciuta come A Chjiana. Un territorio di origine alluvionale che costituisce un fondamentale indotto economico per la regione grazie alle sue innumerevoli coltivazioni di agrumi e ulivi, nonché, principalmente, per la presenza del porto di Gioia Tauro, scalo commerciale tra i più grandi e importanti dell’Europa Mediterranea. Quella tra le due tifoserie non è una semplice rivalità, ma è “la classica” rivalità italiana. Quella che poggia le sue basi sul campanile, sulle scorribande secolari tra ragazzi dell’uno o dell’altro posto. Quella che trova il suo sfogo naturale nel calcio. Dove non importa se – come in questo caso – nel match d’andata i viola abbiano ipotecato il passaggio del turno vincendo per 2-0 e la sfida di ritorno si giochi subito dopo pranzo in un giorno lavorativo. Tutto questo sebbene da qualche anno istituzioni, leghe, stampa da quattro soldi e novelli pensatori nerd pompati dai social network, si siano messi d’impegno per smantellare tutto ciò e omologare anche i rimasugli di un’identità e di un modo di essere che per decenni sono andati perfettamente a braccetto tra le gradinate, le strade e il folklore locale. Camminando per le vie di Palmi, tanti sono i ragazzi con maglie e sciarpe neroverdi addosso, mentre avvicinandomi allo stadio rimango subito soddisfatto, intuendo quanto la struttura sia retrò e vecchio stampo. Del “glorioso” Lo Presti, come viene ribattezzato da queste parti, ho soltanto ricordi relativi a foto e video d’epoca, in cui primeggiava uno splendido campo in terra e dove i derby del passato si svolgevano a dir poco agguerritamente. L’impianto palmese è stato inaugurato nel 1932 e nella sua storia ha ospitato diverse amichevoli di lusso, come quelle contro Roma, Verona e Fiorentina. Oggi si presenta con le sue due tribune in cemento – di cui quella coperta che affaccia sul mare – e il settore ospiti in acciaio, aggiunto successivamente e che deve il suo nome al partigiano Giuseppe Lo Presti, fucilato nell’eccidio delle Fosse Ardeatine.

I dintorni dell’impianto sportivo sono presidiati da diversi agenti e la cosa che senza dubbio mi colpisce di più è constatare come sia pressoché impossibile dividere le strade di chi occupa i settori di casa e di chi, invece, prenderà posto in quello dedicato agli ospiti. Non a caso i gioiesi verranno fatti entrare a partita iniziata, in seguito a un lento e meticoloso controllo. Dopo aver appurato la presenza del mio accredito, entro nella segreteria del Lo Presti, rimanendo ammaliato dalla vasta quantità di foto storiche e cimeli, nonché del prezzario stagionale, dove tra le varie categorie figurano anche gli ultras. Cosa che attesta come qui tutto sia ancora a misura d’uomo, benché sia abbastanza certo che se uno di quei buontemponi che da qualche settimana sta scrivendo e trattando l’argomento curve inerente ai fatti di Milano, vedesse questo cartello, parlerebbe immediatamente di “collusione” e “ultras padroni del pallone”. Del resto da quando è scoppiata la nota vicenda, è una gara a chi generalizza di più!

Il club neroverde è salito da qualche tempo alla ribalta per le attenzioni ricevute dai registi capitolini Manetti Bros, che proprio la scorsa settimana al Festival del Cinema di Roma hanno presentato il film US Palmese, in uscita nelle sale nel marzo 2025. Una commedia che avrà come oggetto proprio il sodalizio calabrese, incentrando la sua storia sul trasferimento di un fantomatico campione francese dalla Serie A al dilettantismo. La pellicola è stata interamente girata a Palmi e nelle sue zone circostanti e rappresenta, senza dubbio, un piccolo riscatto per un’area troppo spesso dimenticata nelle sue accezioni positive, nonché raramente raccontata al mondo esterno.

Il Derby della Piana torna a giocarsi dopo ben tredici anni. Questa “classica” del calcio calabrese, come detto, rappresenta da sempre un fiore all’occhiello in fatto di campanilismo. Soltanto undici chilometri dividono le due città e benché oggi l’acredine si limiti solo e soltanto al manto verde e agli spalti, in passato erano all’ordine del giorno risse e turbolenze tra le varie comitive in spiaggia, a scuola e nelle strade. A testimonianza di una realtà sociale tutt’altro che semplice e di un’Italia ben diversa da quella attuale. Una volta “conquistato” il terreno di gioco, mi concedo il solito giretto di perlustrazione per capire dove sarà meglio stazionare per fare foto e video. Nella tribuna di casa gli ultras si stanno compattando dietro le pezze di Boys Palmi e Nuova Guardia, cominciando a riscaldare l’ambiente e stimolare una squadra chiamata all’impresa per ribaltare il 2-0 dell’andata. Noto con un certo piacere l’elevato numero di giovani, addirittura ragazzini, che si preparano ad accogliere i rivali gioiesi. Certo, è vero: i numeri su ambo i fronti sono ampiamente “gonfiati” in queste occasioni rispetto alle gare contro avversari “normali”, ma ci sta. Fa parte del gioco e del fascino che queste sfide riservano. Si tratta comunque della conferma di quanto l’ardore della rivalità sia riuscito a trasmettersi di generazione in generazione e almeno per la parte più accesa del tifo, ci sia sempre e comunque voglia di primeggiare e confrontarsi con l’avversario.

All’andata sono stati circa mille gli spettatori – di cui duecento ospiti – a sostegno dei viola allo Stanganelli. Oggi il colpo d’occhio sarà altrettanto buono, anche grazie alle dimensioni più piccole e raccolte del Lo Presti. In campionato le due squadre veleggiano nel centro della classifica e attualmente sembra molto difficile rinverdire i recenti fasti della Serie D. I quattro derby stagionali saranno pertanto delle vere e proprie finali, almeno per contendersi la supremazia sulla Piana. La Palmese, fondata nel 1912 e tra i più antichi sodalizi della Calabria, nella sua storia ha quasi sempre militato tra la Serie D e l’Eccellenza, sebbene nel 1938/1939 e nel 1951/1952 i neroverdi siano riusciti a fare il grande salto in Serie C. Un percorso molto simile per i vicini gioiesi, che invece la C riuscirono a conoscerla soltanto nel 1947/1948. Tra le varie curiosità/leggende di questa rivalità c’è senza dubbio la sfida di Eccellenza tra Crotone e Palmese disputata allo Scida nella stagione 1994/1995 e finita 32-0 per i pitagorici, che quell’anno poi vinsero lo spareggio con la Silana approdando in D e cominciando a scrivere le prime pagine dell’era Vrenna, che li avrebbe portati diritti in Serie A. Una Palmese in totale disarmo, “abbandonata” da tutti i suoi giocatori causa stipendi non retribuiti, arrivò in riva allo Jonio con ragazzi “raccattati” all’ultimo momento. Il risultato rimane ancora oggi record assoluto per il calcio italiano e più di qualcuno adduce questa figuraccia non solo ai problemi societari, ma anche al presidente di quella società, un gioiese, e agli improvvisati giocatori, anch’essi quasi tutti di Gioia Tauro. Per la cronaca – come ebbe modo di raccontare Massimiliano Mirabelli, ex ds del Milan che in quel Crotone militò da calciatore – al ritorno la Palmese si impose per 1-0 e più di qualche giocatore rossoblù uscì malconcio dal Lo Presti. Storie del calcio periferico che fu, cose che non solo non facevano notizia all’epoca, ma rientravano appieno nella normale contesa e nella quotidianità di chi viveva il pallone sui campi polverosi del dilettantismo.

Il sole splende alto e riscalda copiosamente il terreno sintetico, facendolo diventare rovente sotto i miei piedi. Quando le due squadre entrano in campo, nel settore ospiti ancora deve entrare il grosso dei tifosi. Come detto, la conformazione dello stadio rende quasi obbligatorio l’ingresso posticipato dei viola. Le due squadre cominciano a giocare, con il tifo palmese che si leva alto e sin da subito tenta di spingere in rete il pallone. I giocatori in più di un’occasione si accapigliano tra loro, confermando il clima rovente e dando vita a un derby nel vero senso della parola. Al 10′ si cominciano a intravedere i gioiesi che, dopo aver subito i controlli da parte della polizia, si compattano entrando tutti insieme nel settore e infuocando il clima. Finalmente il confronto tra “mezzusi” (così i palmesi chiamano i dirimpettai) e “rugnusi” (appellativo usato, di contro, dai gioiesi nei confronti dei rivali) è completo e, non a caso, il tempo comincia a passare velocemente. Avendo sempre e comunque bisogno di stimoli e di cose nuove, la sfida odierna per me è davvero un insieme di cose che suscitano la mia curiosità e mi inducono a osservare meticolosamente ogni passaggio. La Palmese trova il gol del vantaggio e l’esultanza delle due tribune è ovviamente sentita. Si spera nella rimonta, ma qualche minuto dopo la Gioiese trova il pari e, in rapida successione, altri due gol, chiudendo la prima frazione di gioco sull’1-3 che praticamente consegna nelle sue mani il passaggio del turno. Tra le due fazioni la sfida è serrata: le tifoserie non risparmiano voce, insulti e tifo. “Nui simu i parmisani”, si alza potente in più di un’occasione su fronte neroverde, uno slogan in dialetto per evidenziare tutto il loro senso di appartenenza (Pàrmi è il nome dialettale della loro città), mentre dall’altra parte, nel secondo tempo, tre conigli neroverdi vengono “portati a spasso” da una parte all’altra del settore, sotto lo striscione “Nasci, cresci, corri”. Gli ultras di casa rispondono con “Avete solo la Ciambra”, facendo riferimento al problematico quartiere/ghetto gioiese (sul quale, nel 2017, è uscito anche un film diretto da Jonas Carpignano). La Palmese accorcia le distanze, ma a questo punto il risultato è passato davvero in secondo piano e l’unica cosa a tenere banco è la fiera rivalità e il confronto canoro, in cui nessuna delle due contendenti si sottrae. Match genuino, ruspante e senza troppi fronzoli, anche nel contenuto dei cori, molti dei quali “vecchio stampo” e in grado di suscitare orticaria e sgomento presso i nuovi letterati e le novelle educande che si aggirano attorno alla sfera di cuoio. Meno male che, una volta tanto, il tutto resti circostanziato attorno alle quattro mura di questo stadio!

Al triplice fischio, dunque, sono i gioiesi a esultare per il passaggio del turno, mentre qualche malumore si evidenzia tra il pubblico di casa. Oltre alla sconfitta nella fattispecie, infatti, la Coppa Italia dà accesso alla fase nazionale, dove è in palio un posto per la Serie D. Pertanto è sempre importante non snobbare questa competizione, anche se il suo cammino è a dir poco arduo, lungo ed estenuante. I giocatori viola vanno a prendersi applausi e cori da parte della loro tifoseria, che continua nella gara degli sfottò con i palmesi. La gestione dell’ordine pubblico, una volta tanto, è semplice quanto oculata: il pubblico neroverde viene tenuto dentro e gli ospiti fatti defluire per primi, facendo sì che ogni “incontro proibito” sia praticamente impossibile. A suffragio di come basti un po’ di volontà e senso della ragione per far disputare anche i derby più accesi con entrambe le tifoserie. A suffragio, anche, di quanto il divieto sia da sempre utilizzato come strumento che certifica la voglia di non gestire e la vergognosa opzione di uno Stato in totale disarmo e senza la minima oculatezza/volontà per far svolgere appieno eventi pubblici come gli incontri di calcio, senza ricorrere a discriminazioni su base territoriale o a limitazioni da terzo mondo!

Resto ancora un po’ all’interno dell’impianto, osservando le sue gradinate vuote e fascinose. Dopodiché è tempo di tornare in stazione, per raggiungere Pizzo Calabro e concedermi l’ultima notte in riva al mare, prima di partire alla volta di Trapani. Stavolta nessun passaggio, la strada in discesa favorisce una bella camminata, con il panorama della distesa blu e delle coste calabre su di essa distese che annientano qualsiasi fatica. Malgrado l’ottobre inoltrato le piante di more sono ancora in fiore e non esito a coglierne qualcuna, schivando le spine e gustandone appieno il dolce sapore. Le ultime diapositive di questo derby mi corrono in mente e comincio a elaborare la giornata in tutte le sue sfaccettature. Mi siedo sul treno lasciando andar via l’adrenalina, conscio di aver visto una di quelle partite che negli anni ricorderò, per la sua particolarità e per il suo esser senz’altro di “nicchia”. Le stazioni di Gioia Tauro e Rosarno passano veloci. Una volta arrivato a Lamezia Terme Centrale cambio per Pizzo, dove il mio mercoledì finisce. Il costante rumore delle onde che si infrangono sulla battigia mi ha accompagnato per tutto il giorno e giustamente sono l’ultimo suono che sento prima di chiudere gli occhi e riposare, mandando in archivio il Derby della Piana, le sue storie, la sua ruvidezza e i suoi personaggi. Pezzi di vita vissuta impossibili da scalfire.

Simone Meloni