Viaggiare è un caposaldo per gli ultras, la trasferta è l’occasione migliore ed imprescindibile per cementare i rapporti interni, creare nuove amicizie e fare gruppo. All’interno di un pullman l’individualità lascia spazio alla collettività, non esiste più la singola persona ma è il gruppo che si muove ed in quelle ore che ti separano dalla destinazione, non porti più addosso il nome proprio ma quello del gruppo, della curva, della compagnia di amici. Col tempo le modalità delle trasferte sono drasticamente cambiate, molto a causa degli agenti esterni che hanno abbattuto quello che contraddistingueva, a mio parere, l’apice della trasferta ossia il celeberrimo treno speciale, un convoglio organizzato dalle Ferrovie dello Stato che trasportava tifosi ed ultras dalla località di partenza fino alla destinazione senza fermate intermedie se non quelle obbligatorie per motivi tecnici. Un modus operandi che era in grado di trasportare contemporaneamente un gran numero di persone, le comodità erano ridotte al lumicino visto che le carrozze erano un gradino sopra al carro di bestiame ed un bel gradino sotto alla seconda classe ma tant’è, lo spirito che aleggiava in quei vagoni bastava per far sì che il divertimento fosse assicurato. Poi la tragedia dei tifosi della Salernitana ha cambiato le carte in tavola, come al solito in Italia si agisce di pancia e l’unica soluzione, se di soluzione si può mai parlare, è stata quella di vietare i treni speciali. Sono rimaste le trasferte in pullman, certamente più comode e sicuramente anche in questo caso focalizzate a creare rapporti, amicizie, conoscenze, tutti aspetti che si ripercuotono sul buon andamento della curva. Le limitazioni sul viaggiare, la tessera del tifoso, le continue problematiche sulle scorte e la tempistica per raggiungere le destinazioni hanno fatti virare su mini bus e van facendo perdere di fatto quell’atmosfera collettiva, riducendo il gruppo a poche decine di unità e, aspetto concreto, non riducendo il numero di persone che effettuano la trasferta ma semplicemente variegando il mezzo di trasporto con tutte le difficoltà del caso per gestire l’ordine pubblico. Quello che doveva essere un miglioramento dello stesso, si è di fatto rivelato un boomerang per chi deve gestire il flusso dei tifosi.
Viaggiare resta una priorità e quando vivi su un’isola il viaggio è sempre un’avventura che dura almeno un paio di giorni ma può arrivare anche a tre. I mezzi di trasporto sono i più svariati e l’organizzazione deve essere capillare, tra soste obbligatorie, scioperi e difficoltà logistiche è facile trovarsi di fronte ad imprevisti che devi necessariamente aggirare. Se non ti chiami Palermo o Catania è difficile poter parlare di invasioni, a livello prettamente numerico il bacino di utenza di tante tifoserie provenienti dalle isole non è così vasto, perciò la semplice presenza è sempre aspetto più che gradito e già di per sé meritevole di apprezzamento. Eppure negli anni ci sono tifoserie che pur tra mille difficoltà, difficilmente hanno saltato una trasferta, questo anche nelle categorie minori dove fai fatica a inglobare gente in quanto lo spettacolo è di per sé piuttosto scadente.
Oggi a Pontedera arrivano i tifosi della Torres e se la presenza è ovviamente assicurata, anche a livello numerico c’è da rimanere ampiamente soddisfatti. Qualcosa meno delle cento unità si ritrovano nel settore ospite dello stadio Ettore Mannucci, l’occasione per un incontro tra chi proviene direttamente da Sassari e chi per motivi di lavoro o personali, è costretto a vivere nel continente. Le origini non si disconoscono ed il calcio e la trasferta in particolare, diventano l’occasione per ritrovarsi, cementare i rapporti, sentirsi nuovamente partecipi di un collettivo, abbandonare quel senso di individualismo che quotidianamente ci accompagna per far parte (o ritornare a far parte) di una comunità. In barba a chi continua a tralasciare certi valori e certi aspetti, c’è ancora chi crede a rapporti umani basati sulla passione e sulla condivisione di idee, lo stadio non può che rappresentare, almeno in parte, tutto questo.
Ultras sardi che si sistemano nel settore, Nuova Guardia, Old Fans e Zero Testa si spartiscono i due spicchi. La divisione è visibile ma non è marcata, i gruppi remano dalla stessa parte, i cori non si sovrappongono se non in un paio di circostanze e l’unità di intenti non può che far bene al tifo stesso. Come da tradizione il sostegno dei rossoblu è di quelli asciutti, molto minimal, con voce e mani e colore fornito solamente da qualche bandierina. Sostegno che parte in concomitanza dell’inizio delle ostilità ed arriva spedito e senza soste fino al triplice fischio del direttore di gara. Non un secondo di silenzio, non una indecisione, cori che restano alti e continui anche per diversi minuti e aspetto da sottolineare, una bella e convinta partecipazione di tutti i presenti, anche di quelle persone che magari non si possono fregiare dell’appellativo di ultras, ma che in casi come questo non ci pensano un secondo in più per partecipare all’incitamento verso la propria squadra. Una prova veramente intensa con il fiore all’occhiello di diversi cori in dialetto, belli seguiti e che esulano per originalità dal resto del classico repertorio. Qualche coro contro le forze dell’ordine ed altrettanti verso i cagliaritani sono la chiosa di una prestazione che ha messo in risalto lo spirito di una tifoseria che tra i mille problemi, riesce ad essere presente e a lasciare il proprio marchio in giro per l’Italia.
I padroni di casa, invece, si ritrovano in Gradinata Nord. L’impegno e la costanza nel sostenere la squadra non mancano, i presenti si danno un gran bel daffare per farsi sentire riuscendo anche nell’intento in svariati momenti dell’incontro. Qualche bandierina dona un tocco di colore e ravviva un settore che poggia inevitabilmente sul nocciolo duro degli ultras, anche se magari servirebbe un po’ più di contorno che spalleggi chi tifa con costanza. La squadra, però, perde anche questa partita, per altro giocata in dieci per buona parte della stessa, e conferma di trovarsi in un inizio di stagione non proprio positivo.
Testo e foto di Valerio Poli