La bellezza della Serie D, romantica quanto grezza, ha sempre fatto breccia nel mio animo. Sarà perché mi fa immedesimare in un calcio diverso che non ho mai vissuto e sicuramente perché mi concede l’opportunità di osservare da vicino un mondo, quello ultras, per certi versi meno deteriorato e più genuino rispetto ai campionati professionistici (di sicuro non per colpa di chi ne fa parte ma di chi, da qualche anno a questa parte, ha deciso di danneggiarlo in nome di una sedicente pericolosità). Nonostante ciò il calendario è fitto di appuntamenti e la quarta serie nazionale non smette di darmi l’occasione di seguire partite a pochi passi da casa con tifoserie di livello. Questa volta raggiungo l’Ottavio Pierangeli di Monterotondo, un impianto storico che prende il nome dal suo fondatore, un giovane ragazzo con la passione per il pallone che, nell’Italia del Ventennio, si divertiva assieme ai suoi amici, su un pezzo di terreno intorno alla Salaria, a giocare allo sport più bello del mondo.

Si sfidano, in occasione della decima giornata del girone G, il Real Monterotondo e il Terracina, due club con una situazione in classifica molto simile (un punto di differenza) ma che hanno iniziato il campionato con ambizioni diverse: i padroni di casa, ormai definibili esperti della categoria, si auspicavano verosimilmente un avvio migliore e neanche gli ultimi due successi consecutivi sono riusciti a salvare la panchina di Boccolini, sintomatico di come la dirigenza miri a più che una semplice salvezza. Discorso differente per gli ospiti che hanno certamente come obiettivo la permanenza nel semiprofessionismo dopo quel calvario chiamato Eccellenza durato ben cinque stagioni. Tutti questi anni di digiuno hanno scaturito nei tirrenici la volontà di far sentire la propria voce perché, ad attirare la mia attenzione, è come il volume del settore ospiti aumenti praticamente ad ogni rete segnata dai “rossoblu”. L’effettivo finale recita 4-0 e l’esito del match non è mai stato in discussione, per questo motivo è ancora più ammirabile la spinta incessante dei “tigrotti” sugli spalti, che iniziano incitando i propri ragazzi con annessi sfottò ai rivali sorani e in particolar modo a quelli di Latina, terminando la loro performance con simpatici cori autoironici indirizzati agli undici in campo (“vogliamo un tiro in porta”, “il pallone è quello bianco”) che nascondono però la frustrazione di chi ha compiuto sacrifici per essere lì e di chi avrebbe voluto esserci.

A livello estetico i “biancoazzurri” si difendono bene, sventolano incessantemente tre bellissimi bandieroni e verso la fine compiono una stupenda sciarpata sulle note del loro inno “Forza forza tigrotti”. Desolati, più che dal risultato dalla prestazione, i terracinesi chiamano i giocatori sotto la loro tribuna e, dopo una lunga tirata per le orecchie, li salutano con uno scrosciante applauso.

Capitolo tifosi di casa: come condiviso sul nostro sito, gli ultras del Monterotondo Scalo hanno rilasciato un comunicato dove esternavano la decisione di lasciare vuoti i gradoni della propria curva (tra le mura amiche e in trasferta) dopo che la società che seguivano, il Real Monterotondo Scalo, ha deciso di fondersi con l’Eretum Monterotondo, squadra che rappresentava Monterotondo “paese”. Chi come me ha frequentato il calcio giovanile di zona e, proprio perché giovanile strettamente territoriale, ha sempre visto lo “Scalo” e l’Eretum due opposti, arrivandolo a definire quasi un derby. Assolutamente comprensibile, quindi, la rabbia degli Scaligeni che, rimasti orfani di una rappresentanza del proprio quartiere, proseguono ad oltranza la loro protesta sotto forma di diserzione.

Dal mio punto di vista, in un calcio dove vincono tutti i valori tranne il rispetto per chi ha una fede, sarà molto difficile un ritorno alle origini, soprattutto per la questione stadio, dato che il “Fausto Cecconi”, una struttura situata sopra le colline della città e di conseguenza fuori dalla loro zona, potrebbe molto più facilmente rispettare i requisiti in un’ipotetica promozione. In ogni caso questo episodio ritrae in pieno la (inesistente) considerazione che nella maggior parte dei casi c’è nei confronti di coloro che si battono, anche economicamente, per la propria città.

Testo e foto di Simone Coltellese