Il posticipo domenicale mette di fronte una Roma claudicante e l’Inter Campione d’Italia, che in questo avvio di Serie A non è riuscita però ad avere continuità nei risultati. Su fronte giallorosso prosegue la protesta della Curva Sud, che anche staserà farà il suo ingresso con quindici minuti di ritardo. Settore ospiti che, di contro, presenta un buon colpo d’occhio, con il contingente ultras posizionato in basso, dietro due soli stendardi: Secondo Anello Verde e Diffidati. Scelta che ben risponde alle ultime, note, vicende, nonché alla nuova linea adottata dalla Nord interista, che tramite un comunicato ha annunciato il ritorno degli striscioni storici, quando la Questura di Milano toglierà il proprio veto dalla loro esposizione. Attualmente il tifo organizzato nerazzurro si riconoscerà, in casa, dietro la lunga insegna Dal 1969…uniti fieri mai domi!.

La protesta della Sud è seguita anche da tutti gli altri gruppi ultras disseminati tra Curva Nord e Tribuna Tevere. Cosa che rende lo stadio, per il primo quarto d’ora, terreno fertile per i canti degli interisti, che ovviamente non perdono occasione per provocare il pubblico di casa con bandiere biancocelesti e cori in favore dei gemellati laziali. Un classico per questa sfida, che nel lontano passato fu spesso segnata da pesanti incidenti, su tutti quelli risalenti al 22 novembre 1981, quando dopo alcune intemperanze e razzie – su tutte il furto dello striscione del club Aquile Nerazzurre – da parte dei romanisti, giunti in città e allo stadio con tante ore di anticipo rispetto al fischio d’inizio (alle 11:30 in molti erano già sulle gradinate), i bauscia aggredirono gli avversari selvaggiamente, ferendo con armi da taglio diverse persone e confermando quanto Milano all’epoca fosse una delle trasferte più dure e temibili. Incidenti da cui nacque il celebre coro poi cantato dai romanisti contro le due curve meneghine: “I fatti di Milano, non li dimentichiamo, un milanese preso, lo massacriamo”. Ironia della sorte – per chi pensa che questo slogan sia nato dopo la morte di Antonio De Falchi -, in quel pomeriggio tra le fila capitoline presero posto anche numerosi ultras milanisti, all’epoca gemellati. Incidenti dai quali, paradossalmente, il tifo giallorosso trasse spunti e insegnamenti importanti, che portarono a un vero e proprio “incattivimento” – che forse sarebbe giusto definire “migliore organizzazione” – dello stesso e alla trasformazione definitiva in quella curva rispettata e spesso sui generis che ha scritto importanti pagine negli anni ottanta. Leggere e ascoltare i racconti dell’epoca sarebbe davvero istruttivo per tutti i fenomeni che settimanalmente si spendono nel sottolineare come “una volta” il calcio fosse esente dalla violenze e le famiglie potessero tranquillamente frequentare gli spalti, armate di panino con la frittata e fiaschetta di vino!

Tornando ai giorni nostri – e nel caso di fattispecie a questa partita – quando sul cronometro scocca il 15′, ecco sbucare dai boccaporti della Sud, della Nord e della Tevere tutti i gruppi che, armati di striscioni e bandiere, si sistemano ai loro posti, compattandosi e cominciando a tifare. I novanta minuti sono segnati da numerosi striscioni esposti in memoria di Adamo Dionisi, attore ma soprattutto storico ultras laziale scomparso qualche giorno prima. Un personaggio che, con il suo carisma e la sua militanza, ha chiaramente valicato qualsiasi ostacolo relativo alla rivalità cittadina, essendo amato e rispettato trasversalmente. Il Marchese – com’era soprannominato – ha idealmente unito la città in suo ricordo, raccogliendo striscioni e messaggi davvero da tutti. Questo è anche il fine settimana in cui tutta l’Italia ultras ricorda la tragica scomparsa dei tre ragazzi di Foggia, portati via da un incidente sulla strada di ritorno dallo stadio Viviani di Potenza. Nel secondo tempo sono molteplici i messaggi che vengono esposti sia dalla Sud che da altri settori dello stadio. Messaggi che, assieme a quelli delle altre tifoserie, rappresentano l’unico – vero – attimo di rispetto e cordoglio per una simile sciagura. Inutile aspettarsi minuti di silenzio o atteggiamenti umani da parte di Leghe e Federazioni. Anzi, lo dico molto chiaramente: in fondo è anche giusto che questi signori non indicano sessanta secondi di silenzio per commemorare le vittime. Si tratta della perfetta cartina al tornasole del loro modus operandi, quasi sempre in spregio a chi rende possibile la loro esistenza e i loro lauti stipendi: i tifosi. Cosa ci si può aspettare da chi ogni settimana obbliga pubblico e squadre a stringersi attorno al dolore di personaggi che, spesso e volentieri, neanche c’entrano nulla con il pallone o sono quantomeno marginali (vedasi minuto di silenzio per il presidente della Federazione Italiana Golf). E dico questo senza voler mancare di rispetto a nessuno, ma con l’intenzione di evidenziare ancora una volta la distanza tra chi siede in uffici ordinati e profumati, lontani anni luce dallo sport calcio, e i suoi seguaci. Giusto, dunque, che il silenzio e il messaggio di vicinanza lo creino questi ultimi, facendo sicuramente un qualcosa di più sentito e genuino. Basta che nessuno venga a romperci l’anima, dicendo che la “morte è uguale per tutti”. Perché è evidente che per qualcuno non lo sia neanche per niente. Persino quando riguarda tre ragazzi che tornavano da una partita. E mi raccomando, riditeci che “il calcio è della gente”!.

Venendo all’ambiente dell’Olimpico: la Sud si prodiga in una bella prestazione, forse leggermente più altalenante rispetto a quella col Venezia, ma ugualmente di livello e soprattutto segnata da accortezze che quest’anno sembrano esser diventate priorità per chi dirige il tifo: mani tenute sempre in alto per spezzare o dare maggiore ritmo al coro, un paio di nuovi cori a rispondere che aiutano sempre a riposare la voce ma, contestualmente, dar forza al tifo, e repertorio corale che va a ripescare vecchi leitmotiv, mai realmente sopiti e oggi più che mai utili a favorire la partecipazione di tutti. Perché se un coro lungo e laborioso può essere bello, va anche detto che tante volte un battimani secco o un canto che “ritorna” dal passato, con poche parole, aiuta la performance. Come sempre ottima la prova dei ragazzi posti in Nord lato Monte Mario: tantissime manate, bandieroni di ottima fattura perennemente al vento, fumogeni qua e là e una verve che sovente coinvolge anche parte del settore. Menzione per la goliardica presenza, sulla vetrata bassa, dello stendardo Irina ti invidio, portato nella stagione 2000/2001 (quella dell’ultimo scudetto) in riferimento a Irina Fernandez, moglie di Gabriel Omar Batistuta. Su fronte interista, salvo il primo quarto d’ora e i momenti subito successivi alla rete di Lautaro che garantirà i tre punti ai nerazzurri, il tifo fa spesso difficoltà a decollare, non riuscendo a portarsi dietro il corposo stuolo di tifoso provenienti da ogni parte d’Italia che popolano la parte alta del settore ospiti.

Finisce dunque con il settore ospiti in tripudio e i fischi del popolo romanista a sancire una frattura con giocatori e società che ormai appare quasi insanabile.

Testo Simone Meloni