Si dice che la piazza romana sia difficile. Si dice che sia da sempre un luogo isterico, non adatto a lavorare serenamente e terribilmente instabile, tanto da portare all’eccesso ogni emozione e ogni situazione. Si dice che fenomeni transitati qui siano scappati per la tifoseria che si sono trovati a “fronteggiare” e che giocatori di medio/bassa levatura siano stati trattati e considerati come Dei del calcio. Può essere vero: sicuramente la Roma calcistica è una città umorale, abituata a fagocitare se stessa e a vivere sin troppo intensamente gioie e dolori. Un mix incredibilmente opposto all’individualismo e al menefreghismo che sovente questa metropoli ti sbatte in faccia con sin troppa disinvoltura. Ma è altrettanto vero che detta follia collettiva è spesso usata come scusa. Una scusa per coprire i fallimenti o per sparigliare le carte in tavola. Una scusa per manipolare gente a volte troppo ingenuamente accecata dall’amore per i suoi colori e farle credere a qualsiasi gioco di potere o scaricabarile. Una scusa per utilizzare parafulmini e poi allontanarli di punto in bianco. Che poi è quanto successo con De Rossi. Allenatore che, se da un lato – e lo dico con tutta franchezza – nessuno si sarebbe sognato di assumere con un altro passato da calciatore, una volta allontanata una figura come quella di Mourinho, ha rappresentato il perfetto cuscinetto per evitare troppi malumori.

Tuttavia, senza entrare troppo in disquisizioni tecniche e calcistiche, la scelta della Sud di disertare per i primi trenta minuti quest’oggi, è figlia del momento contingente, rappresentato dall’esonero dell’ex centrocampista giallorosso e della Nazionale, ma anche di una gestione societaria che da qualche tempo sembra aver perso la retta via nel suo aspetto programmatico e sportivo. Nonché comunicativo, considerato che parliamo di una proprietà evidentemente non molto avvezza alle dichiarazioni ufficiali. Ci sarebbero, poi, a mio avviso, questioni prettamente identitarie da aggiungere ed evidenziare: materiale tecnico che ormai da qualche anno viene realizzato con fantasie e colori a dir poco stravaganti, vecchio logo che viene propinato in ogni modo tranne che sulle prime maglie e su tutto il resto del vestiario, prezzi dei biglietti singoli che restano alti e non popolari, mancanza di tatto nei confronti di figure storiche del club (vedasi assenza ai funerali di Giacomo Losi, lo scorso febbraio). E se è vero, come è vero, che rispetto alla precedente gestione nessuno si è mai sognato di delegittimare la Curva Sud o attuare politiche repressive (cosa non scontata, basti pensare ad altre società del massimo campionato che saltuariamente o con regolarità perorano battaglie contro la tifoseria organizzata) è altrettanto vero che gli ultras sono e restano il baluardo a difesa dell’essenza di un sodalizio calcistico. Questo comporta quasi automaticamente una costante – e sana – critica “a fin di bene” che può sfociare in contestazione. E considerato come a Roma il concetto di contestazione è stato interpretato fino a qualche anno fa, direi che tutto sommato agli attori attuali è andata più che bene.

Ricollegandomi al discorso sulle bandiere e sui personaggi che hanno fatto la storia della Roma, oggi è sicuramente la giornata in cui – a prescindere da risultati e malumori – va ricordato Ernesto Alicicco, storico medico sociale dei capitolini scomparso qualche giorno prima. Voluto dal presidente Anzalone nel 1978, Alicicco ha legato indissolubilmente il suo nome alla Roma di Dino Viola, lasciando la Capitale soltanto nel 2000, stagione precedente a quella del terzo scudetto. A lui viene dedicato un lungo striscione esposto al centro della Sud, seguito giustamente dal sentito applauso di tutto lo stadio. Quando al 30′ la curva entra, prendendo posto alla spicciolata in tutti gli spazi ed esponendo i propri striscioni, viene accolta dall’ovazione dei presenti, cosa che – mi sento di dire – suona quasi come una novità e fa capire quanto il giudizio e la percezione degli ultras sia cambiata (paradossalmente in meglio) da qualche anno a questa parte. Ricordo, infatti, diverse situazioni analoghe in cui il tifoso medio pensava bene di fischiare chi aveva deciso di disertare gli spalti o entrare a partita iniziata per mostrare il proprio dissenso. Vengono presi di mira praticamente tutti i giocatori, con particolare “accanimento” nei confronti del capitano, Pellegrini, mentre in Nord e in Tevere spuntano diversi striscioni per De Rossi. Da segnalare l’esposizione, nella zona di Nel Nome di Roma, dello striscione BFR (Brigata Fornaci Roma), che per l’occasione celebra i venticinque anni. Sigla alquanto storica tra la miriade di gruppi romanisti. Provenienti, per l’appunto, dal quartiere delle Fornaci (zona attigua al Vaticano), sono stati una presenza dapprima in Curva Nord (con il solo striscione Fornaci) e successivamente, con la “seconda generazione”, in Sud, affiancando il progetto AS Roma Ultras. Sempre per quanto riguarda le ricorrenze, prima della partita il gruppo Roma festeggia i propri dieci anni di attività con una piccola fumogenata su Ponte Duca d’Aosta, mentre sul Lungotevere i Boys rispondono ad alcuni striscioni esposti dalla Nord genoana nel precedente turno di campionato che ha visto la Roma impegnata a Marassi.

Per favorire la vendita ai romanisti del Distinto generalmente dedicato agli ospiti, i supporter friulani vengono fatti accomodare nella parte alta della Tribuna Monte Mario, come già successo con gli empolesi. Con i bianconeri autori di un ottimo inizio di campionato, i tifosi al seguito sono oltre duecento. Cifra di tutto rispetto se si pensa alla costante difficoltà logistica che riguarda le loro gare esterne. Sulla prestazione odierna posso soltanto dire che è stata l’ennesima dimostrazione di quanto la Nord sia una curva che sa davvero il fatto suo quando si parla di tifo e che se venisse maggiormente aiutata dall’aspetto numerico, sarebbe senza dubbio una di quelle realtà che in trasferta nulla avrebbero da invidiare a gruppi più blasonati e riconosciuti in fatto di sostegno canoro. Non mi sorprende perché li ho visti all’opera diverse volte, ma mi preme evidenziare come i bianconeri abbiano tifato da prima dell’inizio della partita fino ad almeno dieci minuti dopo il fischio finale. E tutto questo con un 3-0 sul groppone. Bandiere, un paio di sciarpate, qualche bandierone, movimento costante e tanta voce: uno spot per il modello italiano. Dopo il finale di partita, episodio tragicomico da segnalare: in un contesto di totale tranquillità, con le due tifoserie ormai legate da una solida e riconosciuta amicizia e dopo che per tutta la sera bianconeri e giallorossi si erano mischiati andando al bar insieme, steward e funzionari cominciano ad agitarsi invitando tutti i tifosi udinesi a rimanere nel proprio spazio e non andare neanche in bagno, onde evitare problemi. Un atteggiamento che potrebbe essere la sintesi estrema di come in Italia viene concepito l’ordine pubblico in occasione delle partite!

Finisce così questo “strano” pomeriggio dell’Olimpico. Con i tifosi ospiti festanti come se avessero vinto e il pubblico di casa a fischiare i propri giocatori. Paradossi di chi vive il calcio e il tifo prima con il cuore e poi con la ragione. Paradossi che, in fondo, sono il vero e proprio motore che inconsciamente fa essere lo stadio uno dei luoghi ancora più vissuti e frequentati.

Simone Meloni