Volendo sintetizzare il giudizio de “Il ruggito di Hampden” lo si potrebbe definire un lavoro capillare ed imponente. La sintesi però è quanto di più distante ci possa essere da esso, per cui proviamo ad analizzarlo in maniera un po’ più ampia partendo dai dettagli tecnici.

“Il ruggito di Hampden. Storia culturale della tifoseria scozzese dai Wembley Warriors alla Tartan Army”, questo il titolo completo, è stato scritto da Mauro Bonvicini, pubblicato dalla “Eclettica Edizioni”, presso il cui stesso store online potrete trovarlo in vendita a 19,30€. L’ordine di cifre non differisce tantissimo dagli altri portali di vendita, a fare la differenza potrebbero essere le spese di spedizione che taluni abbuonano. Se volete invece provare la strada del tradizionale libraio di fiducia, l’ISBN è 9788832165791.

Uscito a dicembre 2021, copertina flessibile, consiste di ben 456 pagine, alcune delle quali a colori per meglio valorizzare gli inserti fotografici. Anche se il ricorso alla carta patinata avrebbe forse funzionato meglio in questo caso specifico, ma poi giustamente i costi si sarebbero alzati ulteriormente. Ecco, a proposito di costi e visto che nel recente passato avevo giudicato con severità il prezzo della rivista “Fuori gioco”, sempre della stessa casa editrice, bisogna questa volta apprezzare il costo di questo libro specie in rapporto alla mole decisamente importante dello stesso.

Partendo da quest’ultimo dato, sicuramente a priori il suo spessore spaventa e se devo essere sincero, anche una volta giunti alla fine, non si può dire che sia stata una passeggiata. Non è insomma un libro che potrebbe leggere chiunque sotto l’ombrellone, fra un cocktail e un bagno rigenerante, ma un vero e proprio saggio letteralmente enciclopedico sulla tifoseria scozzese, che richiede un certo impegno e il non raro ricorso ad altre fonti di ricerca per meglio capire e circostanziare alcuni passaggi. Bonvicini ha comunque il pregio e la capacità di rifuggire le tendenze didascaliche, arricchendo ogni paragrafo con un’aneddotica davvero vasta e inaccessibile al lettore medio, persino all’appassionato di mondo del tifo che non abbia la stessa contiguità dell’autore all’argomento trattato. Mauro Bonvicini infatti è da sempre un grandissimo appassionato di tifo scozzese, nonché fondatore e animatore della NOITA (North of Italy Tartan Army), costola italiana appunto della famigerata Tartan Army. Senza che, questo va sottolineato con forza, il suo coinvolgimento emotivo possa in qualche modo inficiare il rigore della sua ricerca e della sua analisi storica. Siamo a livelli altissimi: questo libro, senza se e senza ma, ha la levatura e la forza di un lavoro accademico.

La trattazione degli argomenti procede su un binario cronologico, prendendo le mosse dai primi calci ad un pallone della nazionale scozzese e, attorno ad essa, dell’approssimarsi e radicalizzarsi di un pubblico affezionato. Il tutto inizialmente soprattutto nell’ambito dell’Home Championship, un torneo fra nazionali interbritanniche disputatosi dal 1884 al 1984 e che, specie in quei primi anni, quando non era ancora sviluppato un contesto internazionale di livello, rappresentava l’eccellenza in termini calcistici e il catalizzatore di tutte le attenzioni dei tifosi. Quando i confini delle isole si rivelarono sempre più ristretti, parallelamente alle competizioni FIFA che diventavano più importanti per seguito di pubblico e giro economico, è lì che lo zoccolo duro dei Wembley Warriors, cioè coloro che direzionavano tutte le loro attività verso l’atteso scontro in casa dei mal sopportati cugini inglesi del sud, ha poi conosciuto l’evoluzione e l’esplosione di cui la Tartan Army rappresenta appunto la destinazione finale.

Nell’immaginario collettivo è stato forse proprio il mondiale di Italia ’90 l’apice della Tartan Army, ma era quello anche un periodo in cui, dall’Heysel in poi, ancora incombeva l’onda lunga delle gesta degli hooligan inglesi. La quasi antropologica necessità scozzese di voler essere (ed esser visti) diversi dai vicini inglesi ha, in parte consciamente e in parte involontariamente, operato sulla caratterizzazione antropologica del tifoso scozzese. Una sorta di autodisciplina che ha portato ad una versione contrapposta in tutto e per tutto a quella dell’hooligan che poi è diventata a sua volta ugualmente un cliché: quella del bonario tifoso in kilt pronto a sostenere vocalmente ed incondizionatamente la squadra, dedito a tracannare quantità industriali di birra ma senza mai procurare problemi all’ordine pubblico.

Molto interessante l’analisi critica di questo prototipo di tifoso (maturata all’interno della stessa TA) la cui estremizzazione è nel cosiddetto happy clapper, soggetto a cui si è giunti per il richiamo esercitato dal modello di tifo scozzese e che, qualsiasi cosa accada in campo, applaude comunque i calciatori. Anche dopo le dieci qualificazioni consecutive fallite agli Europei o ai Mondiali, cosa che secondo gli analisti se non si può dire sia la causa diretta della “cultura del fallimento”, senza meno non è stato da stimolo per uscirne e raggiungere nuovamente la qualificazione, come avvenuto nell’ultimo Europeo post-Covid. Oltre le ragioni puramente calcistiche poi, c’è anche da dire che questo approccio quasi hippie ha talvolta sconfinato nel masochismo vero e proprio allorquando alle tifoserie avversarie non è bastata la loro non belligeranza per desistere dall’attaccarli. E non reagire ha finito per esporli a pericoli maggiori di quelli scongiurati.

C’è veramente tantissimo se non tutto, oserei dire, sulla tifoseria scozzese, dai rapporti contraddittori con i tifosi di rugby o con i due poli dell’Old Firm, Celtic e Rangers, che con il loro strapotere condizionano inevitabilmente la vita dei club calcistici a nord del Vallo di Adriano e per forza di cose anche quella della Nazionale; passando poi per l’altrettanto poco sereno nesso con la scena casual locale o con la Federcalcio; finendo poi con simpatie e antipatie maturate nel corso degli anni con le altre tifoserie. Non mancano i riferimenti musicali oltre le cornamuse, le spiegazioni storiche e sociali del dress code e dello sterminato universo che c’è dietro il kilt. Le iniziative di solidarietà che dapprima in via estemporanea e poi in maniera sistematica hanno sempre contraddistinto il passaggio dell’Armata in ogni loro trasferta. Poi fanzine, sezioni straniere, storia politica e sociale, mitologia, riferimenti e spiegazioni di William Wallace e i clan, iniziative contro il calcio moderno i cui prodromi si registrarono quando altrove ancora si credeva di vivere nel migliore dei mondi (sportivi) possibili. Insomma, un lavoro a dir poco capillare, monumentale e che merita un inequivocabile e sincero applauso.

Volendo, per dovere giornalistico, segnalarne alcuni difetti, ci sono un po’ troppi refusi di stampa sfuggiti alla correzione delle bozze e personalmente non ho condiviso nemmeno la scelta di lasciare determinate citazioni in lingua originale: fra le tante note a piè di pagina, si poteva almeno prevedere una loro traduzione per non costringere i meno adusi alle lingue a ricorrere ogni volta ad un dizionario. Che poi alcune sono oltretutto in un meno accessibile Scottish English e anche chi mastica un minimo di inglese deve comunque chiedere l’aiuto di una fonte ulteriore per capirne meglio i contenuti. Però stiamo rimestando nel pagliaio a caccia di aghi e pur premettendo di nuovo che è un lavoro di una mole spropositata, non di certo consigliabile a chi cerca una lettura spensierata o facile, è però allo stesso modo quella che consiglieremmo a chiunque volesse sapere tutto, ma proprio tutto su una delle migliori (se non la migliore in assoluto in termini strutturali e di prossimità al tifo organizzato propriamente detto) tifoserie del mondo legate ad una nazionale di calcio.

Matteo Falcone