La partita è finita da circa un’ora e con uno sguardo certosino sto spulciando foto, trofei, biglietti e testimonianze presenti all’interno di uno dei bar dello stadio. Di tanto in tanto l’immagine di un minatore sbuca qua e là, evidenziando costantemente il legame di Essen con l’industria siderurgica. La sua natura operaia, che nel secolo scorso ha visto migliaia di volti anneriti dalle polveri delle miniere, scendere decine di metri sotto il suolo per far grande la Germania e non solo. In questo lembo di terra, infatti, tanti emigrati da tutto il continente (moltissimi dal nostro Paese) si sono avvicendati, costituendo una fondamentale forza lavoro. La Ruhr di oggi nell’immaginario collettivo è forse solo una ricca regione con infrastrutture all’avanguardia e importanti squadre di calcio, ma nella sua storia vanta e affonda radici industriali e produttive importantissime. Ed Essen ne è senza dubbio uno dei centri più importanti. Basti pensare che qui nasce la Krupp, azienda che nel 1999 si è fusa con la Tyssen di Duisburg, dando vita alla Tyssenkrupp, ancora oggi leader nella lavorazione dell’acciaio (da noi tristemente nota per l’incidente che a Torino costò la vita a sette operai, nel 2007, ma anche per la ventennale gestione delle Acciaierie di Terni, terminata due anni fa). Con i suoi 579.432 abitanti è la nona città del Paese, mentre con il suo particolare nome (che in tedesco vuol dire “cibo”) suscita da sempre più di qualche ilarità. Comunque per rendersi conto di quanto la natura industriale di questo territorio sia profonda, è sufficiente sapere che il sodalizio biancorosso nasce nel 1907 come SV Vogelheim, dalla fusione di SC Preussen e Deutsche Eiche. Dopo alcuni cambi di denominazione, è nel 1923 che viene assunto l’attuale nome di Rot-Weiss Essen, il cui acronimo è (non casualmente) RWE, corrispondente alla grande compagnia elettrica presente in città. Rimango affascinato da quanto la sua estrazione operaia venga esaltata e “pubblicizzata” anche all’interno dello stadio, a conferma di quel sentore comune che in Germania appella i cittadini locali come Essener Asozial, concetto che non credo abbia bisogno di una traduzione e che, soprattutto, si rispecchia appieno anche nel mondo del tifo, dove i supporter locali – malgrado le basse divisioni cui ormai sono costretti da anni – mantengono un nome di tutto rispetto per quanto concerne il confronto al di fuori delle gradinate. Il Rot-Weiss in città è una vera e propria istituzione, sebbene la Bundesliga manchi dalla stagione 1976/1977 e i ricordi legato all’unico titolo conquistato (1954/1955) siano ormai un privilegio per pochi.

Se è vero il trend tedesco secondo cui gli stadi di ogni categoria fanno registrare spesso sold out o, comunque, un alto numero di spettatori, è anche vero che vedere con i propri occhi l’impianto locale senza un posto libero, fa davvero impressione. Sintomatico sia per quanto si stia lavorando bene attorno alla sfera di cuoio, che per quanto lo status di tifoso possa godere di una certa considerazione e di una relativa libertà, che poi sono criteri fondamentali per richiamare spettatori sulle gradinate. Ci aggiungo un particolare: non sono un amante dei nuovi impianti, eppure debbo dire le modalità con cui vengono realizzati a queste latitudini, li fanno sempre sembrare sempre a misura di tifoso. In tal caso, lo Stadion Essen – che dal 2012 sostituisce il vecchio Georg-Melches-Stadion – con i suoi 20.000 posti (espandibili fino a 35.000) restituisce appieno l’immagine di un confortevole impianto in stile britannico, attaccato al campo, ma senza quella pretesa di voler opprimere i suoi astanti, anzi: settore ospiti ben ritagliato nella curva opposta a quella di casa, da dove la partita si può vedere bene e il tifo può essere protagonista, copertura “normale”, senza trovate pacchiane, e spalti senza barriere architettoniche. Sarà pure calcio moderno, ma almeno è sostenibile e non ha l’intento di uccidere qualsiasi forma aggregativa. Inutile poi parlare dei biglietti: in un Paese dove il settore ospiti per una semifinale di Europa League costa 15 Euro, accedere alla terza divisione non può essere un problema (e infatti nei settori di curva gli under 18 pagano 9 Euro, mentre gli altri 12 in prevendita e 14 il giorno della partita). A questo aggiungo che se si vuol essere certi di assicurarsi un tagliando, è consigliabile acquistare una membership card, che costa 90 Euro l’anno (30 per i ridotti e 45 se si vive all’estero). Ma questo non avviene certo casualmente o per la magnanimità di società e istituzioni, sebbene ci sia una base culturale importante che permette dialogo e confronto. Ma è ovvio che senza l’insistenza del tifo organizzato, senza l’esistenza dei Fan Project (una sorta di SLO, ma molto più grandi e strutturati per permettere un punto di incontro tra tutte le componenti dei frequentatori delle gradinate), probabilmente parleremmo di tutt’altro e la speculazione, da parte dei club, sarebbe senza dubbio più facile.

Oggi di fronte avranno un’altra nobile decaduta del Fußball teutonico, quel Monaco 1860 che fino a vent’anni fa era frequentatore abitudinario della Bundesliga e che negli ultimi due decenni ha invece dovuto fare i conti con una pesante crisi finanziaria che l’ha portato a toccare il fondo con la retrocessione in Regionaliga Bavarese (quarta divisione) e la cessione definitiva della metà dell’Allianz Arena realizzata assieme ai concittadini del Bayern (tanto è vero che oggi i Leoni giocano nello storico Grünwalder Stadion, uno dei primi terreni di gioco per le due società monacensi. E su questo va detto che non tutti i mali vengono per nuocere!). L’acquisizione del club da parte dell’investitore Ismaik, nel 2011, ha inoltre creato una frattura importante tra la tifoseria e la società. In Germania, infatti, in virtù della regola che vede i tifosi membri del club al 50% + 1, il potere dato agli investitori esterni è di fatto limitato. Ciononostante, con l’acquisizione del club sulla soglia della bancarotta, e la gravissima crisi del 2017, Ismaik ha utilizzato il suo 49 percento avente diritto di voto in maniera molto forte e soggettiva. Cavalcando l’onda di promesse fatte e non mantenute ogni anno (su tutte quelle della costruzione di un nuovo stadio e di una nuova scalata alla Bundesliga, dove – secondo l’imprenditore arabo – il sodalizio sarebbe arrivato ai livelli di Bayern e Barcellona), in maniera da indorare la pillola ai tifosi meno radicali. Quelli che – per intenderci – in luogo di una vittoria cambierebbero anche i colori della propria squadra. Sebbene il pubblico tedesco sia molto rigido su determinati criteri, soprattutto su quelli che rendono il calcio nazionale ancora a portata di popolo. Non a caso il comportamento dispotico di Ismaik ha trovato subito la controffensiva di buona parte della tifoseria, entrata in guerra con lui. Una situazione ovviamente estrema, che alla base vede la sofferenza di un popolo ormai relegato da anni nei bassifondi calcistici dai quali non sembra vedere luce. Recentemente si è svolta una votazione in cui sono stati eletti 12 rappresentati tra tifosi e ultras, cosa che è stata accolta come un grande successo da parte di tutta la comunità del 1860.

Arrivando a Essen con il treno, ho tutto il tempo di visitare il centro cittadino – sicuramente piccolo rispetto al resto della città, ma tutto sommato godibile – e poi avviarmi con la RuhrBahn (una sorta di metropolitana leggera) verso lo stadio. Il sole si fa sentire, facendomi completamente dimenticare il freddo patito due giorni prima in quel di Bruges e rendendo la giornata davvero bella da un punto di vista climatico. Quando le rotaie cominciano a uscire leggermente fuori dalla parte “vecchia”, subito si notano ciminiere e stabilimenti, celebrati anche da diverse statue e targhe erette in onore di lavoratori e aziende. Raggiunta la fermata dello stadio, un fiume di maglie biancorosse scende, incamminandosi verso gli ingressi. Ne approfitto per immortale qualche murales, per poi dirigermi al punto dove dovrebbero ritirarsi gli accrediti. Utilizzo il condizionale perché, in realtà, il mio pass non c’è. Tuttavia l’addetto stampa, senza alcun problema e con grande gentilezza, una volta vista la mia richiesta provvede a stamparne uno, augurandomi buona partita. Chissà cosa ne penserebbero quelle società che costantemente, anche nel dilettantismo più desolato, si ostinano a negare l’accesso in campo perché “va solo il fotografo ufficiale”. In men che non si dica sono dentro e, come di consueto quando si tratta di un nuovo impianto, comincio a girare in tondo, un po’ per capire dove mettermi durante il match, un po’ per respirare l’aria che tira sugli spalti.

La curva di casa, quando manca una mezz’ora al fischio d’inizio, è praticamente piena e comincia a farsi sentire con i primi cori. Anche qui, come in tutto il Paese, i primi vagiti di tifo sono riconducibili agli anni ’80, sebbene lo stile fosse esclusivamente di stampo hooligan. All’epoca il gruppo più attivo erano senza dubbio gli Essener Löwen (Leoni di Essen), a cui – per importanza – subentrarono poi gli Alte Garde Essen. Sigle che esistono tutt’oggi, sebbene con l’incedere degli anni e l’espandersi della concezione ultras, abbiano sicuramente perso la leadership, almeno parlando di seguito e numeri. I primi gruppi ultras nascono nel 2002, con gli Ultras Essen – affiancati da Ecstase e Wild Boys -, che hanno guidato la curva fino al 2015. Al momento sono quattro le insegne che si considerano ultras a guidare il tifo biancorosso: Vandalz, Rude Fans, Freaks e Junge Essener. Come è ben visibile da bandiere e sciarpe presenti, forti sono i gemellaggi con i ragazzi di Colonia e Dortmund (che a loro volta sono anch’esse gemellate), mentre un’amicizia di vecchia data sussiste con i ragazzi dell’Austria Vienna. Rivalità storiche con Schalke 04, Duisburg, Oberhausen e Aachen. In particolar modo un forte livore esiste con i primi, tanto è vero che uno dei cori che parte durante la fase di riscaldamento è proprio con lo 04. Da notare – impossibile non farlo – anche la presenza di un signore che, nella tribuna alle mie spalle, sta preparando il suo tamburo e la sua tromba che azionerà con una manovella, in pieno stile Italia anni ’50, sottolineando un po’ quella soglia sui generis di folklore che spesso in Germania prende il sopravvento, come mi è capitato recentemente di dire riguardo ai tifosi del Leverkusen, con indosso numerose sciarpe o le giacche da harleysti. Sebbene qua la differenza con il pubblico della BayArena sia abbastanza tangibile: sicuramente più inquadrati i curvaioli, meno kitsch i tifosoni da tribuna. Sarà la differenza tra i ricchi industriali delle medicine e i figli della siderurgia? Facciamo finta di crederci per avere una visione romanzata delle cose!

Il grosso dei tifosi ospiti comincia a fare il proprio ingresso a ridosso del calcio d’inizio. Sono molto curioso di vederli all’opera. Un po’ perché mi stuzzica sapere come si viva il calcio a Monaco di Baviera quando la rivale cittadina si chiama Bayern (peraltro nata un anno dopo il 1860, che in realtà ha avviato le proprie attività calcistiche nel 1899) e quando si è reduci da vent’anni terrificanti. Anche da un punto di vista prettamente calcistico mi interessa vedere in campo i Sechzger, di cui ho vividi ricordi da bambino, quando cercavo a tutti i costi di informarmi ogni domenica sui risultati e le classifiche dei principali campionati europei. Innanzitutto attira la mia attenzione la pezza “50+1 muss bleiben” (il 50+1 non si tocca), che ha chiari riferimenti alla disputa con Ismaik di cui sopra. Il ruolino di marcia del club in questi anni, ha prodotto anche molte fratture e frizioni all’interno del tifo, basti pensare che nel giro di pochi anni, due gruppi guida come Cosa Nostra e Giasinga Buam hanno chiuso i battenti. Attualmente il tifo è guidato dai Münchener Löwen, che sono riusciti a mantenere unita la tifoseria, forgiandola nei suoi effettivi e rendendola una delle migliori in queste categorie. Peraltro in Germania hanno anche un’ottima considerazione da un punto di vista hooligans (sì, lo so, per noi italiani questa scissione è inconcepibile…sic!). Molto sentite le amicizie con i ragazzi di Norimberga, Perugia e Kharkiv. Davvero bella la pezza contro la Uefa e lo svolgimento degli Europei in Germania. Uno dei tanti aspetti contro cui gli ultras tedeschi si scagliano costantemente. E un’altra grande differenza – stavolta in loro favore – con noi: il badare anche alle cose che possono sembrare più piccole e meno efficaci. Ma che, in realtà, costituiscono la base per non abbassare mai la guardia su nessun argomento. Bisognerebbe sempre ricordarsi che quando un iceberg affonda, lo fa perché la sua base (che non si vede) a sciogliersi per prima.

Mentre elaboro tutte le mie considerazioni, ecco le due squadre fare il loro ingresso in campo. Nella curva di casa si leva lo striscione Festung Hafenstrasse (Fortezza Hafenstrasse, dalla via che passa affianco allo stadio), bandiere e bandierine che sventolano e il tifo che comincia a scaldare i propri motori. Avendo fatto un tempo per parte, penso di poter dare un giudizio alquanto obiettivo: se dovessi dire che gli Essener mi hanno fatto una grandissima impressione forse mentirei, ma sicuramente li ho trovati una realtà che sa il fatto suo. Magari non canterà tutta la curva (più che altro è la parte centrale a dare la spinta) ma sono tanti a partecipare al tifo, che complessivamente merita un voto ben oltre la sufficienza. L’impostazione estetica dei tedeschi, poi, riesce sempre a strappare una considerazione positiva in più, c’è poco da fare. Perché se l’abito non fa il monaco, sicuramente il materiale curato e messo con un criterio logico, entra diritto nelle credenziali che convogliano alla valutazione finale. Si ha comunque la netta sensazione di trovarsi di fronte a una tifoseria “tosta” per il suo panorama ultras. Anche qui è palese come la scena ultras teutonica sia in netta ascesa e – con tutte le sue contraddizioni – riesca sempre più a coinvolgere gente e a “spostare” le menti verso un pensiero che normalizzi la presenza del tifo organizzato all’interno degli stadi. Di contro, una gran bella impressione me la fanno i ragazzi di Monaco: tanta voce, bandieroni sempre in alto, intensità, cori a rispondere potenti e due fitte sciarpate eseguite nel secondo tempo che meritano una lode. Se volevo una risposta l’ho avuta ampiamente: la porzione azzurra della capitale bavarese è viva e vegeta. Non so se il livello e la “resistenza” potrebbero reggere oggigiorno una Bundesliga, di certo la quantità di giovani che si vedono nelle curve autoctone fa sempre ben sperare, anche in relazione a una città che – seppur debba fare i conti con lo strapotere sportivo del Bayern – conta oltre un milione e mezzo di abitanti. Alla fine vengono anche premiati dalla squadra, che espugna Essen per 0-1, andando a raccogliere l’abbraccio dei propri sostenitori, che alzano nuovamente le sciarpe al cielo. Inutile dire che il repertorio, su ambo i lati, sia ampiamente preso dalle curve italiane, benché alcuni picchi vengono raggiunti con cori che ormai sono diventati dei veri e propri must per le gradinate tedesche. Ultima considerazione sulla tribuna dell’Essen: pubblico quasi sempre in piedi, spesse volte rabbioso verso i giocatori, ma che – a differenza di altri Paesi, compreso il nostro – sembra sempre sapersi fermare un centimetro prima della vera “ignoranza”. Da quanto ho visto, questa sempre essere una costante per la Germania, che per alcuni aspetti (faccio l’esempio “stupido” delle torce, che qua non vengono mai tirate in campo una volta accese) è estendibile anche ai settori popolari.

Dopo aver scattato le ultime foto delle squadre che salutano i rispettivi ultras, anche per me è il momento di uscire dal campo. E prendere la via del bar, quello con cui ho aperto questo articolo. Il momento per conciliarsi con la storia e capire ancor più una zona e la sua gente. Approfitto del fatto che i treni circolino fino a tarda notte e mi intrattengo nella pancia dello stadio. Incurante del fatto che al mattino seguente non possa permettermi un sonno chissà quanto profondo: dovrò lasciare l’ostello e dirigermi a Gelsenkirchen, con il calcio d’inizio di Schalke 04-Hansa Rostock in programma alle 13. Ma non mi capita tutti i giorni di venire in Germania, analizzare e smentire i miei pregiudizi, forgiare le mie convinzioni e, perché no, farmi quattro risate su quelle che per me rimangono stranezze dei locali. Quando riprendo il treno per Colonia, lascio sulla banchina uno stuolo di tifosi del Monaco 1860, in attesa del loro treno che ha accumulato tantissimo ritardo. Ne approfitto per schiacciare un pisolino nell’ora scarsa di viaggio, riuscendo stavolta a prendere l’ultimo tram per l’ostello, evitando la lunga camminata della sera precedente. Piccolo soddisfazioni in terra tedesca!

Simone Meloni