Una falce adagiata su due mari. Le onde che si incontrano e simbolicamente fondono le acque del Mediterraneo e del Tirreno, sbattendo con armoniosa sincronia sulla Torre di Ligny. La luna contrastata da una velata nebbiolina, che si fa sempre più spessa salendo verso Erice. Dopo nove ore di pullman, mi ritrovo davanti a questo scenario, giungendo in uno dei luoghi più “estremi” d’Italia, geograficamente parlando. L’antica Drepanon, che conosce le prime forme di insediamenti umani sotto la “guida” del popolo italico degli Elimi, giace sinuosa sull’acqua, fedele al significato del suo nome, che in greco antico vuol dire “falce”. Falce, proprio come la forma su cui il centro abitato originario si estende, terminando di fronte alle Isole Egadi. Con Favignana, Levanzo e Marettimo che sotto la rossastra luce dell’alba e del tramonto, sembrano avvicinarsi alla terraferma. Un altro piccolo paradiso che la Sicilia possiede, tra le tante bellezze di questa regione a metà tra il vecchio continente e l’Africa. La “scusa” della partita è sempre un’ottima motivazione per vedere nuovi posti con gli occhi del viaggiatore, e non del turista. Peraltro capitare a queste latitudini a ottobre inoltrato – sebbene ancora ci siano gruppi di turisti stranieri – restituisce senza dubbio un posto più “autentico” e meno caotico. Dagli 840 metri del Monte Erice intravedo le luci di una città ormai espansa, immaginando il calore rassicurante delle estati infinite, ma anche il sudore versato per secoli nelle saline, che dovrebbero essere alla mia sinistra e che sono state alcuni tra gli elementi cruciali per l’economia locale, e il mare che si fa sempre più aperto verso il Canale di Sicilia. Chiudendo gli occhi riesco persino a figurarmi le coste tunisine e capisco appieno come sia possibile trovare, nelle svariate rosticcerie trapanesi, piatti come il cous cous. Il miscuglio culturale e storico qui è tangibile più che in altri posti e l’aria di “confine” come sempre mi dà quel tocco in più per esser contento delle mie scelte.
L’indomani, con la luce del giorno, il panorama di Trapani e di ciò che la circonda mi appare nitido, camminando nella zona del porto, tra i pescatori intenti a vendere la loro mercanzia e anziani signori segnati dal sole e dalla salsedine, che rattoppano le reti con una semplicità quasi disarmante. Siamo nella “patria” del tonno rosso e della sua pesca, che specialmente un tempo avveniva per mezzo della mattanza. Le Egadi e numerose zone della costa circostante, infatti, sono caratterizzate da tonnare. Molte delle quali oggi abbandonate. La vocazione peschereccia e commerciale della città fu il primo dei motivi per i quali i Cartaginesi – la cui egemonia si era affermata e rafforzata in seguito alle importanti vittorie conseguite contro Greci e Siracusani – trasferirono gradualmente parte della popolazione di Erice qui, facendo di Drepano un importante avamposto, cruciale anche nello sviluppo delle Guerre Puniche. Basti pensare che proprio nella Battaglia di Trapani i romani registrarono una delle sconfitte più catastrofiche, anche se, successivamente, nella Battaglia delle Isole Egadi, il Generale Gaio Lutazio Catulo distrusse la flotta cartaginese, mettendo la parola fine al confitto e consegnando la città nella mani di Roma, che la latinizzò chiamandola Drepanum.
Pur non volendo appesantire in maniera esagerata questo articolo con nozioni storiche, che nella fattispecie richiederebbero diversi paragrafi, mi piace sottolineare come Drepanum sia ampiamente menzionata anche nell’Eneide, con Virgilio che vi colloca la morte di Anchise, padre di Enea, e il ritorno dell’eroe troiano dopo la fuga da Didone per celebrare i ludi novendiali. Tradizionalmente la tomba di Anchise viene individuata in località Pizzolungo, poco fuori città e frazione di Erice, città che è simbiotica a Trapani, sia per la sua fondazione antecedente sempre legata agli Elimi, che per la sua importanza in chiave religiosa (speculare alla “potenza” politica di Segesta). Ancora oggi luogo a tratti magico, sia per la visuale a trecentosessanta gradi che offre su buona parte della provincia che per le numerose storie legate alla divinità più importante e sentita dagli autoctoni nel mondo antico: la greca Afrodite Ericina, poi divenuta Venere con il dominio romano. Va detto che per la ferrea fedeltà ai cartaginesi e la resistenza all’esercito romano, Trapani durante il lungo periodo in cui venne amministrata da questi ultimi, subì un periodo di decadenza e un netto spopolamento. Soltanto con l’arrivo degli arabi – che la ribattezzarono Itràbinis, Taràbanis, Tràpanesch – e dei normanni, la città conobbe un nuovo splendore e, successivamente, importanti Repubbliche Marinare come Genova e Pisa (ma anche Venezia e Amalfi) stabilirono qua i loro consolati. Una curiosità: è grazie alla continua presenza di marinai genovesi che venne importato il pesto, poi “rivisitato” con l’aggiunta di pomodori secchi e la “sostituzione” dei pinoli con le mandorle, dando vita così a uno dei piatti più famosi della zona: il pesto alla trapanese.
Camminando lungo le vecchie mura di Tramontana, l’odore del mare grosso sale potente e rende la visione della “falce” ancor più suggestiva. Inoltrandosi per le stradine del centro storico, invece, si ha un assaggio delle Trapani “moderna”, che tuttavia ha ormai valorizzato e rivalutato anche le sue bellezze cittadine, divenendo una delle città più in voga della Sicilia Occidentale, che ormai da diversi anni funge perfettamente da hub turistico sia per le vicine Egadi che per le proprie bellezze, con la vicina Erice a fare chiaramente da traino e fedele alleata. Ammetto che, benché sia la terza volta che vengo da queste parti, l’età fa sì che osservi ciò che mi circonda con uno sguardo diverso. Un qualcosa che oggi va ben oltre il semplice “contorno” alla partita. Anzi, le cose viaggiano probabilmente sullo stesso binario. Gli ultimi anni mi sono serviti per andare oltre il semplice – e spesso retorico – pensiero di vivere in un Paese bello. Sono voluto passare “ai fatti”, cercando di “verificare” quanto possibile questa bellezza, che oggettivamente è a tratti disarmante. Ma ho voluto e voglio farlo a modo mio. Senza cadere nelle trappole commerciali e nei grandi circuiti del turismo superficiale. Concedendomi sempre quel tocco di selvaticità e originalità che, in fondo, un po’ mi appartiene (nel bene e nel male).
Peraltro, quest’oggi, ad attirarmi sulle soglie del Provinciale, c’è un derby molto particolare da un punto di vista geografico. Si sfidano due estremi di questa regione, nonché le antiche Drepanon e Zancle. Siculi contro Elimi. Nulla è casuale, penso mentre addento l’immancabile pane e panelle, vanificando qualsiasi sforzo per mantenere un’alimentazione corretta. Impossibile da queste parti, con il cibo che provoca costantemente, riuscendo quasi sempre ad avere la meglio. Su Palazzo D’Alì, sede del Comune, sventola l’effigie cittadina rappresentata dalle cinque torri che storicamente difendevano il centro abitato: la Torre Pali, oggi scomparsa, Torre Vecchia, Torre di Porta Oscura, Torre del Castello di Terra, Torre Peliade o del Castello di Mare, detta anche “Colombaia”. Uno stemma che, soprattutto dagli anni novanta, appare con continuità anche sulle maglie del club calcistico e di quello cestistico. A tal proposito, Trapani sta vivendo una nuova ondata di entusiasmo con l’arrivo della proprietà Antonini e il rilancio dei due sport cittadini: calcio e basket. Un’euforia, almeno per quanto riguarda la sfera di cuoio, che ha riacceso un rapporto tra squadra e città che negli ultimi quindici anni si è giocoforza rafforzato dopo le promozioni, i cinque anni di Serie B e una Serie A sfiorata nel 2016, quando i granata persero la finale playoff contro il Pescara. Stagioni che hanno fatto avvicinare molti giovani, cominciando a togliere significativamente l’ingombro rappresentato dai tre grandi club del Nord. Questo è tangibile dalle presenze casalinghe, che ormai da diversi anni sono sempre contraddistinte da numeri importanti. Sicuramente il tallone d’Achille per il tifo trapanese restano le gare lontano dal Provinciale, sebbene la posizione geografica funga da forte deterrente. Basti pensare che per una trasferta “breve” fuori regione, ci vogliono almeno cinque ore (quattro solo per raggiungere lo Stretto) e, anche se negli anni l’aereo ha “avvicinato” la Trinacria al resto d’Italia, rimaniamo pur sempre in una zona dove le infrastrutture spesso scarseggiano e anche un’arteria principale come la Palermo-Messina (per fare un’esempio) viene – parere personale – indebitamente classificata come autostrada. Vista la sua tortuosità e le sole due corsie per carreggiata, resta un mistero la motivazione per cui vada anche pagata per essere percorsa! Se poi parliamo di ferrovie, conviene proprio farsi il segno della croce (per chi è credente): da anni interrotta la linea cosiddetta “via Milo”, che attestava sulle due ore i tempi di percorrenza tra Palermo e Trapani, attualmente la strada ferrata (via Piraineto) comporta viaggi tra le quattro e le cinque ore tra i due capoluoghi, annessi due cambi.
Con i suoi trentatré campionati di Serie C (non tenendo conto di quelli in C2), il Trapani è senza dubbio uno dei sodalizi ad aver partecipato più volte a questo torneo: la prima volta risale addirittura alla stagione 1932/1933. Favorito dall’interesse e dagli investimenti di alcuni mecenati, tra cui Sir Thomas Lipton – magnate del tè e creatore della Coppa Lipton, contestata dal 1905 al 1915 tra club siciliani e campani -, nonché di influenti politici locali come Giuseppe Platamone, il calcio si sviluppa in città all’inizio del secolo scorso, vedendo la creazione, nel 1905, dell’Unione Sportiva Trapanese, che inizialmente disputa le proprie gare in maglia verde, mentre solo negli anni quaranta verrà adottato definitivamente il granata. Dal dopoguerra in poi, come detto, i granata stazionano quasi sempre in Serie C, almeno fino all’inizio degli anni Duemila, quando la società fallisce ed è costretta a ripartire dall’Eccellenza. Anni bui, in cui il calcio a Trapani sembra non riprendersi, ripiombando in Eccellenza nel 2006. Il “cambio di marcia” avviene con l’ingresso in società dell’armatore Vittorio Morace. I suoi investimenti e la sua progettualità permettono ai siciliani di mettere le basi per una grande e storica scalata, che li porterà, come detto, a un passo dalla massima divisione. Il decennio d’oro del calcio trapanese termina nella stagione 2020/2021, quando la squadra riesce a scendere in campo soltanto nelle prime due giornata del campionato di Serie C, per poi ritirarsi e dichiarare fallimento. Si riparte dalla Serie D, acquisendo il titolo dell’ASD Dattilo – che già disputava le sue gare interne al Provinciale – e cercando di rimettere le basi necessarie a tornare nel professionismo. Nel 2023 alla guida del club subentra l’imprenditore romano Valerio Antonini, che si fa carico di ingenti investimenti sia nel football che nel basket, favorendo l’ascesa di entrambi. Si torna in Serie C e contemporaneamente la proprietà sciorina tutte le sue intenzioni di portare i granata in Serie A – cosa che nel frattempo avviene in ambito cestistico -, effettuando importanti lavori di restyling su uno stadio ormai decadente e aprendo varie attività legate al Trapani Calcio, su tutte un “vistoso” ristobar sul corso cittadino, dove tra caffè e aperitivi è possibile comprare materiale ufficiale.
Come detto, gli ultimi quindici anni sono stati molto importanti per avvicinare gente allo stadio, così come i recenti, notevoli, risultati, hanno fatto sì che le gradinate fossero sempre gremite. Ma ovviamente, parlando di tifo organizzato, anche qui i primi vagiti vanno cercati negli anni ottanta, quando nasce uno dei primi club con l’intento di sostenere i granata in casa e fuori: il Club Raimondo Massa. Non parliamo di un vero e proprio gruppo ultras, ma di un insieme di ragazzi attivi, che si davano un gran daffare. Sempre nei primi ’80 nascono i Panzer, con l’intento di dare una svolta al tifo organizzato. A seguirli, negli anni successivi, furono Boys Warrior, Brigate Granata e Gioventù Granata. Nel 1985 tutte queste componenti decisero di unirsi dietro un unico striscione, il Commando Ultrà Curva Nord. Quattro anni più tardi nascono gli Irriducibili, ricordati come una delle insegne più turbolente di quell’epoca in città. Panzer, CUCN e Irriducibili si pongono, dunque, alla guida del settore fino al 1993, quando il Trapani torna in C2 e nascono le Brigate e i Trina-Kria Korps (successivamente solo Korps), sicuramente gruppo più “quadrato”, che si rifaceva ai modelli nascenti di quel periodo. Da una costola delle Brigate nascono anche i Kaos. Il buon momento sportivo della città, anche in ambito cestistico, favorisce l’aggregazione sugli spalti, tanto che nel 1995, dopo un corposo ricambio generazionale, si decide di unire tutte le sigle dietro lo striscione degli Ultras Trapani. La catastrofe societaria e il fallimento del 2000 porta a uno scoramento da parte della tifoseria più “tranquilla”, che di fatto si allontana dallo stadio. Nel 2002/2003, con il ritorno in D, in Nord viene esposto nuovamente il lungo striscione Commando Ultrà Curva Nord, dietro cui si raggruppano Ultras Trapani 1995 e Gruppo Storico. Sempre quell’anno appare per la prima volta lo striscione dei VeTerani, mentre due anni più tardi, nel gennaio 2005, nascono i Sostenitori Trapani Ultras (S.TP.U.)
In seguito a un periodo di acuta repressione, si decide di esporre un solo striscione con la scritta Ultras Liberi Pensatori, fino all’avvento della Serie B, quando per compattare tutte le componenti – Ultras, Panzer e sigle neonate come Dinastia Falcata, Fimmine Granata e Un Covo di Malati – e affrontare la cadetteria al meglio, nasce il progetto Curva Nord Trapani. Mentre con l’ondata repressiva post fatti di Catania e l’imposizione della Tessera del Tifoso, gruppi come Vecchio Stile e Boys si posizionano in Gradinata. Si va avanti con questo ordine fino al 2017, quando di ritorno da Matera gli ultras siciliani vengono intercettati da quelli leccesi, perdendo il materiale e dovendo optare per lo scioglimento. Un episodio che, tra gli effetti collaterali, comporta anche la rottura del ventennale gemellaggio con i supporter della Turris, i quali recriminano ai granata di aver lasciato in mani salentine anche un drappo su cui era impresso il nome della loro città. Dopo un periodo interlocutorio, la curva si riorganizza da un punto di vista “estetico”, con il gruppo 2 aprile 1905 che prende posto al centro del settore, affiancati dalla Saturno Crew (nome che fa riferimento all’omonima piazza, ma anche all’antico Dio patrono di Trapani), dai Panzer, dalla Gioventù Granata, dal Rione San Giuliano e dalla Dinastia Falcata. Con questo “assetto” gli ultras siciliani hanno portato avanti il proprio settore negli ultimi anni, e anche stasera mi ritroverà di fronte a suddette sigle. La risalita dai dilettanti ha riportato in auge vecchie rivalità regionali, che complessivamente sono costate ai granata una cinquantina di diffidati. Numeri mai banali per realtà che non sono certo espressioni metropolitane. E a proposito delle acredini e delle inimicizie storiche, vale la pena ricordare quelle con i vicini marsalesi, nonché con acesi, aretusei (bello anche il richiamo storico che questa sfida offre), agrigentini, mazaresi. Mentre volendo volgere uno sguardo oltre lo Stretto, sicuramente merita menzione la recente rivalità creatasi con gli avellinesi, dopo un primo approccio amichevole tra le due tifoserie, e quella con gli spezzini, sempre ai tempi della cadetteria. Capitolo a parte lo merita Palermo, che a queste latitudini non è vista amichevolmente, anche a causa dell’amicizia – peraltro di lunga data – con alcuni gruppi del Catania. Cosa che, manco a dirlo, rende tesi anche i rapporti con i dirimpettai odierni.
A proposito di questa sfida: pur non essendoci chissà quali precedenti bellicosi tra le due tifoserie e pur giocandosi la partita di venerdì sera, senza, quindi, il rischio di incontri “proibiti” con altre tifoserie sulla strada, le eminenze dell’Osservatorio hanno ben pensato di imporre l’obbligo di tessera del tifoso per i supporter peloritani. Cosa che se, da un punto di vista ultras, non scalfisce pesantemente il contingente ultras giallorosso (fatta eccezione per i Nocs, che non hanno sottoscritto la card), contribuisce senza dubbio a scoraggiare i tifosi “normali”, già di loro non invogliati dal periodo storico di un Messina contestato pesantemente tra le mura amiche, con la diserzione della Sud che ormai va avanti da inizio campionato. Inoltre, come già detto in precedenza, la distanza non va affatto sottovalutata e i 370 chilometri che separano i due centri, sono comunque notevoli, soprattutto se posti in un giorno lavorativo. Questo per dire che i duecentocinquanta tagliandi staccati dagli ospiti rappresentano comunque una cifra di tutto rispetto e mettono quel pizzico di attesa in più a questa sfida. Quando raggiungo le vicinanze del Provinciale manca poco più di un’ora al fischio d’inizio e sono davvero tanti i ragazzi che a bordo di scooter e motorini mi sfrecciano davanti con la sciarpa al collo. Alla fine si registreranno 7.000 spettatori, testimoni di quell’entusiasmo summenzionato. Lo stadio trapanese, sebbene restaurato e tirato a lucido sia sugli spalti che nelle mura esterne, resta comunque uno di quegli impianti tipici del Sud Italia, e ancor più della Sicilia: incastonato tra i palazzi, con poche vie di fuga e circondato da una masnada di esercizi commerciali. Un belvedere per chi, come il sottoscritto, non ha propriamente a cuore strutture dal sapore moderno. Un incubo – ma tanto ormai ci sono divieti e limitazioni – per chi deve fare ordine pubblico in gare più calde.
Ritiro con estrema facilità il mio accredito e la pettorina, mettendo piede sul manto verde e potendo concedermi il solito giro pregara, quello che mi fa prendere confidenza con lo stadio e mi “suggerisce” dove posizionarmi per scattare. Sono già stato due volte qua, ma in entrambe le occasioni (contro Perugia e Pescara) assistetti al match dalla tribuna. Quindi, in un certo senso, è una prima volta e devo dire che come sempre ho la conferma di quanto stare in campo, a contatto con i tifosi e a pochi centimetri dagli striscioni, sia tutt’altra musica rispetto all’osservare lo spettacolo dalla distanza – spesso siderale – della tribuna. E qua mi verrebbe da fare un lungo e polemico affondo su come funzionino le cose nel nostro Paese quando si vuol scattare in A e B, ma ve lo risparmio per non tediarvi e non andare incontro alla querela di qualche buontempone suscettibile (sic!). Prima del fischio d’inizio il presidente Antonini si porta sotto la Nord per deporre un mazzo di fiori in memoria di Tonino, storico tifoso granata scomparso in settimana. In suo onore la Nord si asterrà dal tifo nel primo minuto, prendendosi da sola quei sessanta secondi che ovviamente alle Leghe – così attente a richiedere rispetto per i “loro” morti – non passa neanche lontanamente nel cervello di concedere. Ma in fondo, considerata la scala di valori di queste ultime, è giusto così. Tutto lo stadio applaude il momento, preparandosi poi all’ingresso delle due formazioni, ormai prossimo.
Quando il direttore di gara dà il via alle ostilità, nel settore ospiti i gruppi organizzati ancora non sono arrivati. Pertanto sono gli ultras trapanesi ad aprire le danze per quanto riguarda il tifo. Vengono accese diverse torce, mentre i lanciacori arringano la folla, tra manate, cori a rispondere e canti tenuti a lungo. Appare logico come la costruzione della “nuova” Nord a ridosso del terreno di gioco – rispetto al vecchio, lontanissimo, settore – abbia giovato in maniera netta agli ultras di casa, permettendogli un migliore posizionamento ma anche un pathos più tangibile, potendo osservare la propria squadra a pochi metri. Certo, da amante del calcio che fu e soprattutto delle mie prime “visioni” ultras, osservare la vecchia curva, ormai abbandonata alle spalle di quella attuale, non può che rimandarmi agli indimenticabili Supertifo di una volta e alle foto provenienti proprio da Trapani! Tornando alla mia serata: la prestazione della Nord è senza dubbio buona, con bei picchi nel secondo tempo, quando si accenderà la sfida con i giallorossi. I bandieroni sempre in alto completano l’aspetto cromatico. Come già detto qualche paragrafo sopra, gli ultimi tre lustri hanno avvicinato tanta gente al Provinciale e oggi il pubblico trapanese raccoglie i frutti anche dei successi sportivi venuti nell’era Morace. A conferma di una regola che vale a tutte le latitudini: fede, perseveranza e militanza del tifo organizzato non si discutono né vengono intaccate da una sconfitta o da una retrocessione. Ma tanti anni di sconfitte, fallimenti e categorie insulse, non possono aiutare nessuno. Anzi, in taluni casi finiscono per distruggere anche piazze storicamente numerose e passionali. Vedere, quest’oggi, prendere parte un po’ tutti i tipi di spettatori nella Curva Nord, al di fuori dello zoccolo ultras, è per me un segnale più che positivo. Di attaccamento all’identità cittadina, ma anche per l’aiuto che possono dare nel sostegno. Sicuramente – mi ripeto – l’aspetto più critico per i granata resta quello delle trasferte, dove numericamente hanno sempre faticato a spiccare. Posto che i numeri non fanno la qualità né possono costituire il solo elemento per il giudizio su una tifoseria, ed evidenziate le difficoltà logistiche e geografiche, sono abbastanza certo che le nuove generazioni avranno modo e voglia di lavorarci su. Almeno questa è la sensazione che si avverte vedendoli all’opera.
Quando sta per finire la prima frazione di gioco, ecco i messinesi fare capolino nel proprio settore. Dopo aver subito controlli e perquisizioni, decidono di entrare tutti assieme ricevendo, ovviamente, i fischi di buona parte dello stadio. Fischi che diventano copiosi quando, tra i primi cori, ne vengono scanditi un paio proprio contro i trapanesi, accompagnati da un paio di torce e un bombone che piovono in campo in segno provocatorio. L’ambiente si riscalda e adesso la sfida è completa. I peloritani, come loro consuetudine, non stanno a guardare e sfoderano una bella performance fatta di voce, bandiere sempre al vento, pirotecnica e voglia di sostenere una squadra che sta faticando oltremodo in campionato. Il Messina riesce persino a passare in vantaggio, malgrado l’inferiorità numerica, facendo esplodere i propri sostenitori, con un’esultanza che li va idealmente ad abbracciare. Il gol e l’illusione di tre punti insperati che dura fino a tempo scaduto, quando il Trapani perviene al pareggio, galvanizza il settore ospiti. La sensazione è che tra repressione e trasferte vietate, ormai anche partite che anni fa si sarebbero limitate a un paio di sfottò tra le opposte fazioni, diventino un vero e proprio “sfogatoio” a chi non sembra vero di trovarsi, di tanto in tanto, un avversario davanti. Certo, per un osservatore esterno il risultato di tutto ciò non è affatto deprecabile, sebbene nei giorni successivi più di qualcuno non la pensi propriamente così, stigmatizzando e condannando anche atteggiamenti che in genere ricadono nel normale confronto tra tifoserie rivali.
Al triplice fischio, però, l’ovazione è tutta per un Trapani che a un passo dalla sconfitta casalinga è riuscito a trovare il gol. Le squadre si portano sotto i rispettivi settori e dopo le ultime, vicendevoli, invettive, nonché dopo gli ennesimi cori dei messinesi contro il presidente Sciotto, il pubblico comincia a defluire. Anche per me è arrivato il momento di andarmene, dopo l’ennesima giornata lunghissima, segnata non solo dalla partita, ma anche da tutto quello che può girare attorno a una città, alle sue tradizione e ai suoi luoghi più belli. L’indomani mi aspetta il Cibali, dove il Catania ospiterà l’Altamura. Adesso mi attende una notte siciliana a tutto tondo, sulle strade che lentamente collegano le città e i paesi dell’isola. C’è ancora un po’ di tempo per tornare con i piedi e con la mente in un discorso mitologico che sembra avvolgere appieno questa landa del meridione italiano. Osservo con rilassatezza la “falce” adagiata sui due mari e immagino per quanti secoli la gente abbia tramandato la leggenda che la vuole caduta dalle mani di Cerere o di Saturno, mutandosi in quella lingua di terra su cui è sorta la città. La notte inghiotte le acque e, come la sera precedente, il sinuoso profilo delle Egadi. Si spengono anche le luci sul Provinciale e adesso, poco prima di andarmene, sembra di sentire solo ed esclusivamente il rumore delle onde infrangersi sulle mura e sugli scogli. Alcune lampare brillano lontanissime, come a volermi dire che in qualunque momento della mia vita tornerò, saranno là a testimoniare il millenario rapporto tra il mare e la gente del posto.
Testo Simone Meloni
Foto Paolo Furrer e Simone Meloni