Nel calcio sempre più chiuso ai tifosi, assistere a un derby regionale con entrambe le fazioni appare sempre più un qualcosa di miracoloso. Tanto raro che ormai non c’è troppo tempo per ragionarci su: bisogna prendere e partire. In questo caso per lo stadio Liguori di Torre del Greco, dove manco esattamente da undici anni, più precisamente da una sfida di vertice per il campionato di Serie D tra i corallini e la Torres. Chi pensa che in questo lungo lasso di tempo le cose sarebbero dovute cambiare in meglio, che il nostro Paese avrebbe dovuto cominciare a (ri)gestire gli eventi sportivi anziché vietarli, ovviamente si sbaglia di grosso. Non solo le cose sono complessivamente peggiorate, ma ormai si va sempre più verso un’inesorabile parola “fine”, almeno se si parla di trasferte e seguito della propria squadra lontano dalle mura amiche. Il “modello greco” – prossimo al cento percento delle trasferte vietate – sembra sin troppo in ascesa e se da qui al prossimo futuro non si riuscirà a bloccarne il percorso voluto e perorato da istituzioni e leghe, nonché fiancheggiato in modo silente anche dalla maggior parte dei club e in modo involontario anche dall’incapacità del tifo organizzato di coalizzarsi contro il nemico comune, tra qualche anno ci ritroveremo a leggere questi articoli come epitaffi di ciò che fu e non sarà più.

Preso atto della benevolenza di Osservatorio, Casms, Ministero dell’Interno, Questure e Prefetture nei confronti dei loro “sudditi”, si può dunque partire con la grande curiosità di vedere all’opera i padroni di casa dopo così tanti anni. Torre del Greco è una di quelle piazze che difficilmente hanno fatto un passo indietro sui propri ideali e sulla propria militanza. Magari in pochi, magari in contestazione e magari poco affini ai compromessi (valore aggiunto, sia chiaro), ma sempre presenti al fianco dei propri colori e sempre clienti scomodi da trovarsi di fronte. Inoltre, la divisione in due fazioni composte da diversi gruppi, verificatasi dopo il ritorno in C con il posizionamento di una nella tribuna coperta e dell’altra nella curva, quest’anno sembra essersi quasi del tutto ricomposta, con tutto il contingente ultras schierato sui gradoni che per anni hanno accolto le tifoserie provenienti da fuori e oggi riconvertito a spazio per i tifosi di casa, con le tifoserie ospiti spostate laddove fino all’ultimo anno di Serie D prendevano posto gli ultras di casa. Cambiamento che ha ovviamente provocato molti malumori tra i torresi, con il riemergere di polemiche mai sopite riguardo all’impianto cittadino, ormai da anni ritenuto inadeguato. Tanto è vero che una delle scritte più grandi che campeggiano all’esterno – ben visibile anche quando si passa con i treni della Circumvesuviana – è quella che recita: “Questa città merita uno stadio”.

Ora, non me ne voglia nessuno. Né i tifosi di casa, né i cultori degli impianti nuovi e dotati di ogni tecnologia, ma a me il Liguori ha sempre trasmesso un’immenso fascino: stretto tra i palazzi, a trecento metri dalla stazione della Vesuviana, con sole due stradine attorno che fanno letteralmente impazzire chiunque si trovi a dover organizzare il servizio d’ordine. Potenzialmente una trappola per qualsiasi tifoseria ospite. Comprendo che con i tempi odierni uno stadio simile diventi il vero e proprio spauracchio per i nostri prodi eroi chiamati a gestire un evento pubblico, ma per gli amanti del calcio di una volta, la sua “inadeguatezza” è perfettamente commisurata alla sua attrattiva.

Al cospetto della Turris questa sera scende in campo un Avellino protagonista di un avvio di stagione disastroso: a secco di vittorie, con soli tre punti in cascina, pesantemente contestato qualche giorno prima dopo la sconfitta interna con il Latina e autore di un quasi azzeramento dello staff tecnico dopo suddetta debacle, tanto che questa sera siederà in panchina – provvisoriamente – Raffaele Biancolino, che molti ricorderanno come l’eroe dello storico spareggio per la B contro il Napoli, nella stagione 2004-2005. Panchina “pesante” anche per i padroni di casa, con l’ex Inter, Piacenza, Napoli, Vicenza e Sampdoria, Mirko Conte.

Quando arrivo nei pressi dello stadio, lo schieramento di polizia e carabinieri è ingente, sebbene mi lascino passare senza grandi problemi dal varco per gli ospiti a quello per i padroni di casa, dove è posizionato l’ingresso per i fotografi. Il rumore dei treni per Sorrento fa da sfondo alla fila disordinata che viene velocemente smaltita dagli steward. Manca una mezz’ora al fischio d’inizio e i due settori riservati ai supporter corallini si stanno lentamente riempiendo. Alla fine si conteranno circa 3.000 spettatori, di cui quasi cinquecento provenienti dal capoluogo irpino (la capienza del settore ospiti sarebbe di 772, ma “ovviamente”, è stata ridotta in virtù della gara a rischio). La prima differenza che noto è che nel settore dove oggi presenziano gli ultras della Turris, rispetto a quando era dedicato agli avversari, sono state quantomeno tolte le vetrate in plexiglass. Una cosa assolutamente da non sottovalutare, considerato quanto queste vanificassero praticamente anche il massimo sforzo nel fare tifo, fungendo da barriera anti-suono e rendendo alquanto difficile appendere pezze e striscioni (ricorderanno bene tutte le tifoserie che lì sono state destinate ai tempi della Serie C anni novanta).

Le due “anime” del tifo corallino si schierano nei due spazi “offerti” da un settore oscenamente diviso in due piccole tribunette. Il posizionamento ricalca la divisione che è stata in essere negli ultimi anni, sebbene adesso sembra esserci quel minimo di sinergia utile a seguire tutti la stessa strada, almeno quando si fa il tifo. Poi è chiaro che restano apparentemente invariate talune differenze, su tutte quelle relative alla tessera del tifo. Con i ragazzi posti alla mia destra, dietro la pezza Torre del Greco, che sia entrando in corteo che durante il match ricorderanno a più ripresa la loro totale contrarietà a tale strumento, e quelli schierati alla mia sinistra che hanno invece deciso dallo scorso anno di tornare in trasferta. Sta di fatto che, da osservatore esterno, la sintesi di tutti i presenti dice che in quel settore dello stadio si annidino tutti gli ultras torresi, cosa che, infatti, renderà i loro novanta minuti alquanto granitici e intensi.

Come facilmente immaginabile, all’ingresso in campo delle due formazioni, i sostenitori dell’Avellino non sono ancora presenti nel loro settore. In un impianto come il Liguori il copione della polizia è sempre lo stesso: attendere l’ingresso del pubblico di casa e poi far affluire quello ospite, soprattutto in caso di rivalità. Mi viene quasi la lacrimuccia nel pensare che qua, fino a meno di trent’anni fa, venissero giocati derby con Savoia, Juve Stabia o Casertana senza troppi problemi (o meglio, senza troppi clamori, perché di problemi, oggettivamente, se ne verificavano con estrema puntualità!), mentre oggi quasi si vorrebbe impedire l’accesso anche a gruppi dai numeri bassi e in nessun rapporto ostile con i dirimpettai. Quando i primi bandieroni verdi cominciano a intravedersi nei pressi dei cancelli, subito partono i primi cori ostili dei padroni di casa, con il confronto che prende forma all’ingresso definitivo degli avellinesi. Sempre bello vedere il clima accendersi perché in preda all’antipatia reciproca. Un’acredine che magari non sarà tra le più importanti e sentite della Campania, ma che certamente affonda le proprie radici in tempi lontani ed è rimasta in piedi come probabilmente solo “l’odio” sa fare. Non mancano cori contro i napoletani dal settore ospiti, che ovviamente trovano la reazione soprattutto da parte della tribuna coperta. Va ricordato, infatti, che Torre del Greco, con i suoi ottantamila abitanti, è sì un paesone, ma è anche un centro che dista appena 19 km da Piazza del Plebiscito e ancor meno dai primi quartieri partenopei come Barra e Ponticelli. Cosa che, giocoforza, rafforza ancor più il valore dei suoi ultras, chiamati a dover storicamente resistere al richiamo delle due curve napoletane per rimanere in piedi.

Tornando al tifo: una volta sistematosi, il contingente irpino comincia il suo consueto spettacolo fatto di bandiere, battimani, cori a rispondere, buon utilizzo della pirotecnica e tanta voce. Passano le stagioni e si allunga la striscia di annate anonime in Serie C, ma Avellino e gli avellinesi dimostrano puntualmente di aver ricostruito degnamente un tessuto curvaiolo che dopo il fallimento sembrava scomparso e che – sebbene sia quasi totalmente cambiato nei protagonisti e anche nel modo di vivere alcuni aspetti della militanza – afferma costantemente il suo valore. Inoltre il vistoso ricambio generazionale avuto dalla Sud, non è affatto scontato quando si parla di una provincia dove l’emigrazione e l’allontanamento dei più giovani verso il Nord o il resto d’Europa è a dir poco notevole.

E se bene figurano gli ospiti, altrettanto ottima è la performance dei padroni di casa, che per tutti novanta minuti si mettono in mostra con una miriade di cori secchi e manate stilisticamente perfette. Rispetto al passato, inoltre, devo dire che i corallini hanno incrementato bandiere, bandierine e stendardi, apportando quel tocco di colore che completa appieno la loro prova canora. Come accennato all’inizio di questo articolo, quella biancorossa è una realtà che forse non ha mai brillato per numeri, trovando però una costante qualità a rappresentarla e renderla celebre oltre i confini comunali. Se sui gradoni lo spettacolo è vibrante e degno di nota, in campo le due squadre si annullano, andando ad impattare su un pareggio a reti bianche che fa sicuramente felici i tifosi della Turris, mentre innervosisce ulteriormente quelli irpini, che nel finale respingono i propri giocatori, che avevano provato a portarsi sotto il settore per ringraziare i presenti. Clima ovviamente diverso per i calciatori corallini, applauditi dal pubblico e dagli ultras per la prestazione.

Purtroppo non ho molto tempo a disposizione. L’ultima Vesuviana per Napoli delle 22:58 non aspetterà certo i miei comodi, così come il pullman che dal capoluogo partenopeo mi porterà, l’indomani, a Genova, per assistere al Derby della Lanterna di Coppa Italia (ma questa è un’altra storia, che racconterò a breve). Scatto le ultime foto, ripongo l’attrezzatura e poi mi insinuo tra la folla che defluisce, stressando il giusto alcuni funzionari della polizia che alla fine mi fanno passare per raggiungere la stazione. Mentre cammino alle mie spalle sento ancora i cori delle tifoserie e quando salirò su uno degli sgangherati treni in servizio, udirò appieno gli avellinesi, che per ingannare il tempo utile a farli uscire, continuano senza sosta a intonare cori per la maglia e la città. Malgrado il momento decisamente negativo sotto il profilo calcistico. Lascio alle mie spalle la città del corallo, quella che fu Turris Octavia sotto Federico II di Svevia e che passò alla storia come prima città, dopo Napoli e Foggia, a contare più di 18.000 abitanti nel Regno di Napoli. Ma Torre del Greco è anche la città che nello stemma comunale ha stampigliato il motto Post Fata Resurgo. Motto che mai potrebbe essere più adatto alla sua storia, fatta di continui disastri legati alle eruzioni ed eventi sismici del Vesuvio (che a più riprese l’hanno distrutta e ricoperta) ma anche di costanti ricostruzioni, resurrezioni per l’appunto. Vedo lentamente scomparire le luci della città Al Centro del Golfo, come recita una bandiera degli ultras corallini. E i binari farsi sempre più stretti, verso Piazza Garibaldi. Il vento trascina dal mare prima la salsedine e poi la pioggia, così non mi resta che affogare la mia stanchezza in una succulenta parigina e poi fiondarmi sul pullman, poco dopo!

Simone Meloni