C’è profumo di grande sfida nella Vicenza che mi accoglie in questo afoso tardo pomeriggio della prima domenica di giugno. Il Menti è pronto a gremirsi in ogni ordine di posto e dall’Irpinia sono attesi molti tifosi, ben oltre il numero teoricamente consentito dal settore ospiti. La Serie C di questo periodo ruggisce e richiama ai suoi vecchi fasti, quando le gradinate traboccavano di passione e gli incroci tra città e tifoserie rivali costituivano il vero e proprio fiore all’occhiello del nostro panorama ultras. Oggi, con una categoria che si è svenduta alla televisione senza poterselo permettere e un tragicomico sistema di gestione dell’ordine pubblico, fa quasi impressione pensare di poter assistere a uno spettacolo con tutte le sue componenti, sobillato da una rivalità che muove i propri passi sulla classica acredine Nord contro Sud, dando alla sfida quel gusto del politicamente scorretto di cui un po’ tutti avremmo quotidianamente bisogno per scalciare nettamente lo spiccio moralismo di cui il calcio – e purtroppo non solo – è ormai ostaggio.

Che il capoluogo berico vanti una tradizione calcistica tra le più longeve e importanti nel nostro Paese non lo scopro certo io, pertanto non mi sorprende imbattermi in masnade di ragazzi e ragazze con maglie e sciarpe biancorosse al collo, mentre camminano per le vie del bellissimo centro storico. Ciò che mi colpisce sempre positivamente di questi posti, è la “possibilità” che gli autoctoni ancora hanno di vivere appieno il cuore della propria città. Qua puoi ancora trovare gente seduta all’ombra della Basilica Palladiana, mentre sorseggia uno spritz o un bianchetto, senza doversi prostrare al turismo feroce, che altrove si è vergognosamente impossessato dei nostri centri storici. Malgrado il Lanerossi annaspi ormai da diversi anni in Serie C, per tutti i vicentini resta la Nobile Provinciale che a tratti ha fatto letteralmente sognare e piangere di gioia una comunità. Pertanto basta una piccola scintilla per far divampare l’incendio di una passione che mai è stata in discussione. Mettiamoci poi che i dirimpettai di oggi rappresentano un altro nome pesante, che ha scritto parte della sua storia nella massima categoria e in Serie B, dovendo poi successivamente subire l’onta di fallimenti e ripartenze dal dilettantismo, ma potendo sempre contare sull’appoggio fedele di un popolo encomiabile in fatto di attaccamento ai propri colori. Ecco, senza voler sembrare demagogici e retorici: senza dubbio Vicenza-Avellino è una sfida che da un punto di vista del fascino riesce a intrigarmi più delle tre finali europee da cui sono reduce. Senza esser esagerati…ma vuoi mettere il Menti pieno e “bellicoso” in confronto a Wembley?

Quando col “buon” Sebastien cominciamo ad avvicinarci allo stadio, costeggiando i canali che lo lambiscono e seguendo la disordinata fila di ragazzi con bandiere in mano, nei pressi del settore ospiti un servizio d’ordine che sembra alquanto capillare ,sta attendendo l’arrivo dei tifosi irpini, per i quali sono state allestite navette apposite per trasportarli dal parcheggio – posto nei pressi del casello – al loro settore. Le turbolenze registrate col Taranto hanno acceso un campanello d’allarme nelle autorità locali, che da quanto ho sempre percepito non devono amare particolarmente lo stadio di Vicenza: incastonato nei vicoli, impervio per fare qualsiasi lavoro di filtraggio e sulla carta favorevole alla ricerca di “scorribande”. Insomma, uno dei classici stadi italiani costruiti all’inizio del secolo scorso, per il quale ci auguriamo vita lunga e ottima salute, alla faccia di quelli che vorrebbero demolirlo per erigerne uno a cinquanta chilometri dal centro storico. Il viatico per snaturare definitivamente il nostro football, in fondo, è proprio questo: annientare le sua arene storiche e avallare la costruzione di freddi teatri polifunzionali, dove il tifoso compie il trapasso ultimo, divenendo un “consumatore” seriale e le Questure possono finalmente (per loro) cessare totalmente qualsiasi normale operazione, cosa che ormai avviene già parzialmente.

Mancando da Vicenza da qualche anno, sono senza dubbio curioso di vedere quali evoluzioni ha avuto la curva locale. L’ultima volta, a memoria, avevo presenziato in occasione di una partita di serie cadetta, probabilmente il derby col Verona o la partita – sempre molto sentita – contro la Spal. Oggi i veneti si trovano a un passo da una finale che qualche mese fa sembrava solo una mera utopia, visto l’anonimo ruolino di marcia iniziale. Lo 0-0 dell’andata rende questa sfida un vero e proprio spareggio, in cui probabilmente le due squadre hanno entrambe il 50 percento di possibilità per passare il turno. Quando mancano una decina di minuti al fischio d’inizio il settore ospiti è già ben popolato, sebbene manchi vistosamente il contingente ultras. A quanto sembra le autorità stanno facendo qualche problema di troppo per le aste di bandiera, contribuendo, come sempre, ad accendere inutilmente un clima che già di suo è teso. Malgrado l’apposizione dei seggiolini, voluta fervidamente dalla Lega Pro in questi ultimi anni, abbia tolto molti posti al pubblico di casa e malgrado tre dei quattro angoli del Menti siano chiusi e inagibili, il colpo d’occhio è di quelli importanti, con i tagliandi che sono andati sold out. In tribuna coperta si nota anche la commistione con alcuni tifosi irpini, probabilmente residenti fuori regione. Inutile dire che questo accade sempre e comunque per l’inettitudine con cui vengono venduti i tagliandi nel nostro Paese: le limitazioni su base discriminatoria (proprio quella che gli ipocriti rappresentanti delle leghe rinfacciano ai tifosi curvaioli e non solo) costringono molti ad acquistare biglietti per settori dove successivamente si creano situazioni di promiscuità. Rendendo sovente difficile il mantenimento dell’ordine. Chiunque vada allo stadio (quindi non chi si occupa di regolarne afflusso, deflusso e logistica, sic!) sa bene che a volte basta poco, un rigore dato contro o un gol preso allo scadere, per accedere focolai. Che sarebbero completamente evitabili nel momento in cui a tutti i tifosi della squadra ospite fosse permesso di entrare in un unico settore. Ma siamo italiani e la logica non ci appartiene, ci sta poco da fare!

Tornando alla gara odierna, quando le squadre fanno il loro ingresso in campo la Sud vicentina si colora con una bella sciarpata, che viene prontamente “nascosta” dalla coltre di fumo prodotta da torce e fumogeni. Al diradarsi della stessa, fanno la loro comparsa tutti gli striscioni della tifoseria berica, affiancati da quelli dei gemellati reggiani e pescaresi. Da segnalare anche la bella sciarpata in Distinti, dove i Fedelissimi stasera possono contare su un bel gruppone, pronto a scambiarsi “opinioni” con i vicini ospiti. Nel frattempo anche gli avellinesi hanno preso il loro posto e salutano l’ingresso delle squadre in campo con una bella sbandierata, caratterizzata da tante piccole bandierine a strisce verticali biancoverdi. Materiale che richiama i vessilli in uso negli anni settanta e che produce sicuramente un bell’effetto. Le ostilità hanno inizio e lo scenario meriterebbe davvero un’altra categoria, cominciando dalla conformazione di uno stadio a dir poco perfetto per il calcio e per infondere calore ai propri beniamini. Su fronte ospite la Sud formato trasferta si posiziona con tutte le pezze tenute in mano e comincia a macinare tifo alla propria maniera: tantissime manate, cori a rispondere e tamburo battuto in modo da coinvolgere tutti i presenti. Appare ovvio come in queste occasioni la difficoltà maggiore sia riuscire a tirarsi dietro tutti quelli che allo stadio vanno due o tre volte l’anno, spesso poco avvezzi alle logiche curvaiole e più desiderosi di vedersi la partita. Tuttavia lasciatemi dire che, a mio modo di vedere, gli avellinesi degli ultimi tempi hanno avuto un vistoso cambio di marcia, sia in fatto di compattezza che di materiale. La scelta di preferire le pezze allo striscione unico col nome della città l’ho trovata vincente e anche il tifo ha riacquistato parte di quello smalto che ha sempre contraddistinto il contingente campano: tanto colore, buon utilizzo della pirotecnica e voglia di “affondare” i denti nel momento del bisogno. Il tutto confortato sempre da ottimi numeri in trasferta. E questo non solo in occasioni come queste, dove generalmente le curve meridionali possono contare su una buona dose di emigrati, ma anche in quelle con meno “appeal” nel Sud Italia, durante la stagione. Per una città di cinquantaquattromila abitanti (che, ovviamente, può anche contare su una vasta provincia, da sempre al fianco dei Lupi) che ormai da anni non naviga nell’oro calcistico, è sicuramente un dato di fatto incontrovertibile.

Da parte vicentina l’immediato vantaggio siglato da Della Morte al 14′ contribuisce ad accendere gli animi e coinvolgere le persone nel tifo. Sia la Sud che il gruppo in Gradinata soffiano sul fuoco dell’entusiasmo, e in barba a moralismi vari trovo sempre affascinante il provocare i dirimpettai su base geografica, ritirando fuori vecchie dispute campanilistiche mai sopite e ben radicate nella nostra società. Le quali trovano naturale sfogo allo stadio. Chi si offende – da una parte e dall’altra – non merita risposta, perché lo sfottò resta il sale di questo sport e delle gradinate. Di certo, poi, ci troviamo in una zona d’Italia dove non si va tanto per il sottile in fatto di epiteti, quindi che ben vengano serate come questa. Da un punto di vista del tifo, come detto il gol iniziale favorisce la performance della Sud, che si produce in tanti cori tenuti con una media intensità, riuscendo però in diverse occasioni a coinvolgere i lati. Bandieroni sempre al vento e una costante accensione di torce e fumogeni strizzano l’occhio a un modello, quello italiano, che ancora oggi – mi permetto di dire – non ha eguali e paragoni, malgrado gli attacchi subiti da ormai quasi trent’anni. Sempre bello veder sventolare diverse bandiere della Serenissima, a simboleggiare l’orgoglio di essere veneti. Araldica che in curva dona sempre un qualcosa in più e che permette, paradossalmente, a molti di informarsi e capire le proprie radici. Proprio questo miscuglio trasversale tra becerume, istinto, senso di appartenenza e richiami storici, rende unico il calcio grazie ai tifosi. E non certo il contrario. Dubito che qualcuno pagherebbe costantemente per vedere solo e soltanto ventidue mediocri calciatori, che spesso si credono pure la reincarnazione in terra di Maradona e Zico! Se devo fare un piccolo appunto ai berici, lo faccio sulla durata dei cori, a volte troppo corti nella loro esecuzione. Ma al contempo capisco che dare continuità a tante persone, in queste occasioni, non è impresa facile. Di certo, un po’ come evidenziato per gli avellinesi, anche loro nelle ultime stagioni hanno lentamente messo un mattone sopra all’altro, andando a consolidarsi e riuscendo attualmente ad annoverare un bel mix tra vecchi e giovani, che ha rinverdito i fasti della Vicenza Ultras anche al di fuori delle gradinate. La provincia italiana è un incredibile serbatoio, che non si arrende e non scompare neanche di fronte a leggi sempre più stringenti e a diffide divenute ormai macigni pesantissimi, che spesso equivalgono a incarcerazioni sottoforma amministrativa!

Quando al 63′ Costa firma il 2-0, con un bellissimo gol al volto sugli sviluppi di un calcio d’angolo, tutto lascia intendere che la contesa sia ormai chiusa, compreso il boato con cui il Menti festeggia la rete e le seguenti tensioni registrate nei pressi del settore ospiti. Tuttavia qualche minuto dopo ci pensa Patierno, su calcio di rigore, a restituire speranze alla propria gente, che esulta anche per l’espulsione di Golemic. L’inerzia sembra poter clamorosamente volgere dalla parte dei campani, ma quattro minuti più tardi anche Armellino si fa cacciare dal direttore di gara, ristabilendo la parità numerica. Gli ultimi minuti sono ovviamente una sofferenza inaudita per il Lanerossi che – stremato – resiste dietro le barricate fino al nono minuto di recupero, quando il triplice fischio decreta la fine del match e suggella l’approdo in finale dei berici, i quali affronteranno la Carrarese. Un risultato che galvanizza i tifosi di casa, impegnati a festeggiare con le sciarpe tese, sul classico coro “I biancorossi, sono dei gran bevitori…”, cavallo di battaglia del tifo biancorosso. Ovvia e palese delusione nel settore ospiti, dove in tanti recriminano per una partita d’andata che aveva visto gli uomini di Pazienza autori di una grande ma sfortunata prova. Tuttavia l’orgoglio prevale e dal pulpito dei lanciacori si levano gli ultimi cori per la maglia e la città, oltre a quelli contro i rivali vicentini. Che chiaramente rispondono per le rime.

Esco dal campo per raggiungere la tribuna stampa, passando in un tunnel dove si notano ancora i resti del vecchio parterre. Un pezzo di storia per qualunque calciofilo italiano. Le gradinate si stanno lentamente svuotando, con i contingenti ultras che lasciano per ultimi le proprie postazioni. Tra tre giorni qui arriverà la Carrarese e già in molti pensano alla caccia al biglietto e a come seguire la squadra nel piccolo e angusto impianto apuano. Mi ritaglio gli ultimi momento di una serata importante da un punto di vista ambientale e che aggiunge un pezzo di storia a questa categoria tanto bistrattata. Purtroppo, come già successo nel pre partita, anche al termine gli altoparlanti irrorano una fastidiosissima quanto tamarra musica. Del tutto inutile: sia per i vinti che per i vincitori. L’ostinazione nel trasformare questi eventi in grandi discoteche all’aperto – manco fossimo a Lignano Sabbiadoro – è ormai divenuta a dir poco vomitevole. A questo punto inviterei i fautori di tali porcherie a chiudersi in una stanza con i vari DJ Prezioso, Molella e Fargetta e sfogare là le proprie frustrazioni da pentagramma. Il rumore, il suono, le voci…lasciateli ai tifosi, che valgono un milione di volte di più dei vostri motivetti mentecatti!

Simone Meloni