Percorrendo la Via dei Laghi, a più riprese, ci si imbatte nel panorama maestoso dei due specchi d’acqua che caratterizzano i Castelli Romani: il Lago Albano e il Lago di Nemi. Il sole splende caldo e pacioso in questa mattinata d’ottobre e in molti hanno scelto le strade della campagna romana per pedalare o concedersi semplicemente una camminata fuori porta. Quando devo andare a Velletri in macchina prediligo sempre questo itinerario, che nella sua semplice bellezza mi restituisce dolci ricordi d’infanzia, quando spesso e volentieri la domenica significava gitarella sulle sponde lacustri al mattino, gelato dopo pranzo e dieci giri sulle giostre di Castel Gandolfo. Non sono né un nostalgico incallito, né un passatista della prima ora, ma ogni tanto è sempre bello inalare l’odore dei ricordi e lasciar vagare la propria mente all’indietro. Mi concedo questo lusso per quasi tutti i trentaquattro chilometri che mi separano dal centro veliterno, dove alle 15 è previsto il fischio d’inizio per il match tra i rossoneri e il Tor Sapienza.
Da qualche partita la VJS è tornata a giocare nel suo stadio, dopo che per anni aveva disputato le gare interne nel campo prospiciente allo stesso e sempre parte del medesimo centro sportivo. Un campo più piccolo e contenuto, dove gli ultras rossoneri occupavano una tribunetta che per certi versi li ha aiutati a compattarsi e fare gruppo. Tornare sulle gradinate dello Scavo, in uno stadio vero e proprio, ha certamente un sapore particolare: da una parte sa di rivincita verso una storia recente che aveva visto dapprima scomparire lo storico sodalizio castellano e poi ripartire dai bassifondi del calcio laziale, mentre qualcun altro, in città, aveva provato ad appropriarsi di una storia e di una tradizione sportiva che mai gli sono appartenuti. E infatti, malgrado altre società abbiano sin da subito giocato qui, il riscontro in fatto di pubblico è sempre stato prossimo allo zero. Dunque si può tranquillamente dire che rimettere la Banda Volsca sugli spalti pittati di rosso e di nero dell’impianto cittadino è solo un passaggio naturale relativo al rapporto e al legame della VJS con la sua città. E se la paura di riposizionarsi in questa cattedrale che può ospitare fino a 9.028 spettatori è quella di “scomparire” nella sua grandezza, la verità è che laddove batte il cuore degli ultras, dove ci si aggrega e dove per 90′ si canta e si fa colore, ci sarà sempre il fulcro dell’evento, l’anima di una partita che senza questo spettacolo si ridurrebbe a semplice evento sportivo. Uno come tanti.
In questi anni di flebili certezze, con la repressione e le campagne mediatiche martellanti contro il tifo organizzato, c’è sempre bisogno di un qualcosa che faccia respirare il nostro movimento. C’è bisogno di teste, del saper avvicinare i più giovani, ma anche di non inimicarsi gratuitamente tutto l’ambiente che ci circonda. Vengo, probabilmente, da una delle ultime generazioni per le quali il mondo esterno poteva e doveva rimanere tale, forse esageratamente ignorato e talvolta schifato. La realtà è che ci sono stati anni, decenni, in cui abbiamo potuto permettercelo. Forti dei numeri e del seguito. Ma anche di una macchina oppressiva non ancora ben oleata e funzionale da parte delle istituzioni. E comunque, qui lo dico e qui lo nego, il chiudersi a riccio spesso non è stata una grande idea, e ancora oggi qualcuno ne paga le conseguenze. Faccio questo ragionamento proprio mentre alcuni bambini della scuola calcio scendono in campo e si portano sotto al settore per ricevere, dai ragazzi della Banda, delle maglie del gruppo. Penso a quanto spesso i bambini vengano utilizzati con scopi propagandistici, anche in ambito stadio e sicurezza. Chi di voi, ad esempio, ricorda le pubblicità a favore della tessera del tifoso in cui venivano ovviamente utilizzati dei pargoli che predicavano la non violenza e accompagnavano gli adulti alla sottoscrizione della diabolica card ministeriale? Un qualcosa di vomitevole, che trova contraltare proprio in occasioni come queste. Senza troppe parole e senza voler indurre niente o nessuno a militare dietro gli striscioni. Ma il sorriso e la felicità con cui questi ragazzini mentre ricevono le maglie è simbolico di quale sia la parte giusta e sana da seguire e amare in questo pallone bucato e malato. Anche se la vita di tutti i giorni corre, pure se gli diranno che le priorità sono altre (“Produci, consuma, crepa”, parafrasando un Lindo Ferretti di qualche anno fa) e anche se il richiamo della Serie A affascina molti, un semplice gesto come questo getta un seme importante nell’instaurare un legame con la propria terra e i propri colori. Se in futuro, anche un solo ragazzo conserverà questa maglia e si avvicinerà ai gradoni, sarà comunque un successo e probabilmente un’anima strappata alla piatta omologazione quotidiana. Infine, in tutto ciò, un plauso va anche alla società castellana: in un contesto nazionale dove alcuni club prima “sfruttano” il tifo organizzato per campagne marketing o richiami alle armi in sfide cruciali, salvo poi abbandonarli nei momenti di difficoltà o quanto è più arduo mostrare la propria vicinanza, la VJS finora ha sempre sottolineato quanto sia importante poter contare sull’appoggio del sostegno organizzato.
Quando i bambini rientrano negli spogliatoi, accompagnati da alcuni dirigenti, anche i ragazzi della Banda Volsca cominciano a sistemarsi dietro ai propri striscioni. Mancano pochi minuti al fischio d’inizio ed è arrivato il momento di dar fiato alle proprie ugole per sostenere l’undici veliterno. Il contingente rossonero inizia la propria performance, fatta di manate, cori lunghi e a rispondere, tre bandieroni sempre al vento, torce di tanto in tanto e complessivamente un bel tifo per tutti i novanta minuti. Va sempre ricordato che in queste categorie, senza mai avere un avversario di fronte e spesso con la propria squadre che viene umiliata da dirimpettaie improbabili, trovare motivazioni non è esattamente scontato. Ma se, come in questo caso, si lavora sempre sodo e capillarmente sullo spirito di gruppo, allora subentra un’altra cosa, che poi dovrebbe essere alla base di chiunque decida di metter piede sulle gradinate: il divertimento. Con il divertimento si canta e si tifa per il puro gusto di farlo, al di là di qualsiasi vicissitudine sportiva. Durante la partita vengono esposti tre striscioni: uno per celebrare il ritorno di uno storico componente della Banda, un altro per un bambino di Sora appena nato e l’ultimo contro il Comune di Velletri, reo di essersi totalmente disinteressato ai problemi che riguardano lo stadio (attualmente privo di illuminazione). In campo le due squadre impattano sullo 0-0. Un punto che comunque soddisfa i tifosi veliterni, che dopo il triplice fischio dispensano cori e applausi ai propri giocatori. Aggiungo anche che, mentre nella maggior parte dei casi – e soprattutto nelle categorie superiori, dove il “divismo” impera – il classico teatrino di fine gara tra tifosi e squadra sembra un po’ forzato, in questa circostanza si scorge dal sorriso dei calciatori il piacere nell’avere costantemente una tifoseria al seguito. Parliamo pur sempre di Promozione Laziale, contesto dove non è affatto scontato poter contare su cori e appoggio ogni domenica.
Arrivato il momento di andare via, tolgo la pettorina e la riconsegno al magazziniere del club, passando direttamente nel tunnel degli spogliatoi. L’odore delle divise in lavanderia, misto a quello acre che solitamente pervade questi ambienti, è un’esperienza sensoriale da sempre magica. Anch’essa in grado di riportar la mente indietro di decenni, sebbene si ripresenti spesso per chi gira i campi e assiste alle sfide dal manto verde. Ma non ho molto altro tempo per filosofeggiare. Devo tornare con una certa urgenza a Roma e, manco a dirlo, stavolta troverò la Via dei Laghi intasata per buona parte da tutti quelli che hanno deciso di passare questa domenica alle fraschette o in qualche agriturismo dei Castelli. Stavolta il panorama dei laghi mi appare in discesa e da lontano vedo le luci di Genzano prima e Castel Gandolfo poi, rese più nitide dal sole che sta calando, andando a formare un bel crepuscolo rosso. Una domenica senza stress e senza centinaia di chilometri da percorrere è andata. Ogni tanto ci vuole anche questo, soprattutto per non dimenticare che pure a poca distanza da casa esistono situazioni e realtà valide, in grado di preservare la propria identità con le unghie e con i denti.
Simone Meloni